menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

martedì 23 febbraio 2016

Tutto quanto fa cultura . . .


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Riccardo Bellofiore: La crisi capitalistica e le sue ricorrenze

univbergamo

La crisi capitalistica e le sue ricorrenze

Una lettura a partire da Marx

Riccardo Bellofiore

escher scaleIntroduzione
Nell’attuale dibattito sulla crisi due sono i filoni interpretativi principali che si richiamano a Marx e che proclamano una sua rinnovata attualità. Il primo, proposto da quegli autori che si vogliono marxisti “ortodossi”, è quello che legge la finanziarizzazione come conseguenza della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in quest’ottica individua una lunga tendenza alla stagnazione che comincia negli anni Settanta del Novecento. L’altra interpretazione, prevalente per lo più in quei marxisti influenzati dal keynesismo e dal neoricardismo, fa riferimento alla tendenza alla crisi da realizzazione, ovvero da insufficienza da domanda. Questo secondo filone evidenzia come, dopo la controrivoluzione monetarista degli anni Ottanta del Novecento, siano avvenuti profondi mutamenti nella distribuzione del reddito con la caduta della quota dei salari, e sostiene che in un mondo di bassi salari la ragione di fondo della crisi sia l'insufficienza della domanda di consumi: una prospettiva più o meno dichiaratemente sottoconsumista. In entrambi i casi, la crisi attuale coverebbe da molto tempo, e sarebbe la crisi di un capitalismo che si può ben definire asfittico, sostanzialmente e (ormai) perennemente stagnazionistico.
Ritengo che un’interpretazione marxiana della crisi non possa essere sganciata dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, ma che questa vada interpretata come una sorta di metateoria della crisi, che ingloba al suo interno le altre e diverse teorie della crisi che si possono trovare o derivare dal Capitale. Leggi tutto


Giacomo Di Lillo: “Globalizzazione e decadenza industriale”

cambiailmondo

“Globalizzazione e decadenza industriale”

Una recensione del nuovo libro di Domenico Moro

di Giacomo Di Lillo (*)

Recensione del saggio “Globalizzazione e decadenza industriale”. Domenico Moro, Globalizzazione e decadenza industriale: l’Italia tra delocalizzazioni,”crisi secolare” ed euro, Edizioni Imprimatur, Anno 2015, Pagine 249, 16 euro
globalizzazioneIl tema del rigoroso saggio di Domenico Moro,”Globalizzazione e decadenza industriale”, è l’attuale crisi del sistema economico italiano. Il testo tratta inoltre tre rilevanti fenomeni che sono strettamente intrecciati a tale vicenda, e cioè la realizzazione del mercato mondiale, la “crisi secolare” del modello capitalista, l’integrazione valutaria europea.
Oltre che da una introduzione, il volume è composto da cinque capitoli. Il primo ed il secondo riguardano la misurazione dell’entità della crisi nelle aree periferiche e in quelle centrali dell’Europa e del mondo. Il terzo capitolo analizza le cause delle crisi cicliche e della “crisi secolare” del modello capitalista. Il quarto descrive le caratteristiche dell’ultima fase della globalizzazione economica ed interpreta le notevoli trasformazioni che essa ha determinato. L’ultimo capitolo prende in esame il passaggio dalla critica al neoliberismo a quella del capitalismo globalizzato e la prospettiva della realizzazione di un nuovo modello di economia e di società.
Nella parte introduttiva si evidenzia che il nostro Paese sta vivendo, dal 2007, la crisi economica forse più profonda della sua storia, addirittura più grave di quella legata alla Grande depressione degli anni ’30. Tra i vari indicatori economici con andamento negativo, spicca quello relativo alla capacità manifatturiera, che si sarebbe ridotta tra un quarto ed un quinto del totale. Leggi tutto


Giuseppe Mazza: Perché festeggiare "Necrologhi"

doppiozero

Perché festeggiare "Necrologhi"

Giuseppe Mazza

necrologhi coverPrima di parlare del libro di Maria Nadotti (Necrologhi - saggio sull'arte del consumo, Il Saggiatore) e della sua importanza, stabiliamo il campo.
Gli uomini di lettere oggi non sanno niente della pubblicità. Non la studiano, non la annoverano tra i fenomeni d'interesse. Costoro si occupano volentieri di cinema, tv, giornalismo, design, fumetti, raccolte di figurine e di ogni altro linguaggio della modernità, ma quello della pubblicità rimane loro estraneo e lo lasciano volentieri allo studioso settoriale. Come dire che non è adatto a un discorso collettivo, dunque politico.
La crepa di questo distacco si è aperta nel tempo e inesorabilmente. La progressiva scomparsa dell'Italia industriale (Gallino) oggi ha separato gli intellettuali dal mondo della produzione e dai suoi linguaggi. Eppure nel 1961 un editore come Giangiacomo Feltrinelli presentava "La pubblicità" di Walter Taplin descrivendo luoghi comuni che sembravano sul punto di essere superati: "Uno studio senza divagazioni moralistiche sulla pubblicità come fenomeno tipico dell'economia moderna (...) un fenomeno-chiave della società contemporanea su cui tutti quanti son pronti a straparlare. Questo libro non si compiace di descrivere i pubblicitari come maghi o bari della psicologia di massa, ma conduce un ragionamento serrato misurandosi con i fatti – e con le teorie degli economisti, che sinora, non diversamente dall'uomo comune, hanno parlato della pubblicità in termini superficiali".
C'è nel nostro passato una relazione tra intellettuali e linguaggio delle merci. Il primo in Italia a parlare di umanesimo pubblicitario, cioè della necessità di un linguaggio alternativo alla "pubblicità autoritaria" fu Vittorini nel 1939. Anni nei quali era concepibile per l'uomo di lettere entrare nel mondo della produzione, cercare un rapporto tra l'oggetto fabbricato e le mani dell'uomo che lo realizzavano. A quel punto diventava naturale soffermarsi sul linguaggio pubblicitario, che del processo produttivo era la fase conclusiva. Olmi nel 1969 entra in un'agenzia pubblicitaria di Milano, non la guarda da fuori: la studia e ne trae il più informato e profondo film italiano su quell'ambiente professionale, Un certo giorno. Leggi tutto


Marta Fana: Fine 2015, ultimo treno incentivi

manifesto

Fine 2015, ultimo treno incentivi

Marta Fana

L'analisi dei dati Inps sul precariato. Boom di dicembre per i contratti a tempo indeterminato, tra nuovi assunti e trasformazioni: gli 8 mila euro scadevano per lasciare spazio ai meno attrattivi 3 mila. Quasi 115 milioni i voucher attivati nei dodici mesi
L’ultima pubblicazione dell’”Osservatorio sul precariato” dell’Inps relativa ai contratti di lavoro di dicembre chiude definitivamente il quadro dell’anno appena trascorso.
A dicembre, il numero di assunzioni a tempo indeterminato (al netto delle cessazioni) è aumentato vertiginosamente, facendo registrare un più 71.236 rispetto agli 8.118 contratti medi nei mesi precedenti. Sull’intero anno, il numero di nuovi rapporti “indeterminati” è 186.376 con una distribuzione territoriale assai variegata: il Lazio è la regione con più contratti netti a tempo indeterminato (51.492), seguito da Campania (41.894) e, con distacco, dalla Lombardia (19.571). In Veneto e Trentino Alto Adige le attivazioni di contratti sono inferiori alle cessazioni, presentando quindi un saldo annuale negativo.
La distribuzione per tipologia oraria mostra che le attivazioni di contratti a tempo indeterminato sono per il 58% contratti part-time.
Sul fronte delle cosiddette stabilizzazioni, le trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo “indeterminato” raggiungono nel solo mese di dicembre le 104.275 unità, il triplo rispetto alla media (30.840). Leggi tutto

Guido Viale: Da Moratti a Moratti

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Da Moratti a Moratti

Guido Viale

Da Moratti a Moratti: alla fine il bilancio della giunta Pisapia è questo. Pisapia era stato eletto sindaco nel maggio del 2011 sull’onda di una mobilitazione culminata nella vittoria dei referendum contro la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali e contro il nucleare. La sua elezione poneva fine a venti anni di potere della destra e altrettanti di dominio craxiano ed era stata sostenuta da una straordinaria partecipazione di base alla campagna elettorale: comitati per Pisapia (poi comitati per Milano, ma subito rinsecchiti) in tutti i quartieri della città, intellighenzia (quel che ne resta), creativi, borghesia d’antan, parrocchie e persino centri sociali. Poi, contestualmente a quella dei referendum abrogativi nazionali, la vittoria in cinque referendum consultivi cittadini. I quesiti di quei referendum e la loro articolazione non erano un piano di governo della città, ma ne fornivano importanti indirizzi, peraltro in linea con il programma della candidatura di Pisapia. Nessuno degli impegni previsti da quella consultazione ha trovato attuazione.
Si può capire, per il costo dell’intervento, che non sia stato realizzato il ripristino della rete dei navigli – limitandosi alla riapertura della darsena – anche se ben 40 milioni sono stati sprecati nel progetto delle nuove “vie d’acqua”, che avrebbero dovuto portare in barca all’expò i visitatori; ma che, strada facendo, si sono trasformate in una fogna per raccogliere gli scoli dei suoi padiglioni.
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Felice Mometti: Bernie for president?

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Bernie for president?

di Felice Mometti

Bernie for president 768x522È la seconda volta che Hillary Clinton, la candidata «inevitabile» alla presidenza degli Stati Uniti, vede la sua corsa ostacolata da un outsider. Sappiamo come è andata a finire la volta scorsa con Obama. La storia non si ripete, non si deve ripetere, questo il mantra recitato negli ultimi giorni dal potente staff della ex segretario di Stato. Ma i risultati delle primarie del Partito democratico in Iowa e nel New Hampshire hanno proiettato Bernie Sanders nel ruolo di antagonista credibile di Hillary, la «combattente globale» che difende i diritti civili, non disdegna gli interventi militari ad ampio raggio ed è molto vicina a Wall Street. È vero, e si sa, che le primarie americane, non fa differenza se democratiche o repubblicane, sono tutto meno che un esercizio di democrazia da parte dei cittadini elettori. Regole diverse e non sempre chiare e condivise nei vari Stati, mancanza di controlli su chi vota e chi ne ha diritto, lanci di monetine per determinare la vittoria in alcune circoscrizioni, interventi a tutto campo delle società di marketing politico sui social network e nei sondaggi che hanno lo scopo non di rilevare le intenzioni di voto ma di orientarle. Come se ciò non bastasse con la sentenza della Corte Suprema nel 2009 si è dato il via libera – togliendo qualsiasi limite di spesa e di rendicontazione – ai PAC e super PAC (Political Action Committes) e cioè a quei gruppi organizzati di imprenditori, banche, multinazionali, fondazioni che raccolgono denaro e fanno campagne perlopiù aggressive, usando tutti i media possibili, a favore o contro un candidato. Sempre però senza mai accordarsi e coordinarsi, così dice la sentenza, con il candidato che appoggiano.
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Giangiorgio Pasqualotto: Rottura della continuità storica o recupero della tradizione?

inchiesta

Rottura della continuità storica o recupero della tradizione?

Giangiorgio Pasqualotto

CINA TREProsegue con questo intervento di Giangiorgio Pasqualotto (titolare della cattedra di estetica dell’Università di Padova e cofondatore dell’Associazione “Maitreya” di Venezia per lo studio della cultura buddhista) , il dibattito a cura di Amina Crisma sul libro di Maurizio Scarpari, Ritorno a Confucio. I precedenti interventi di  Paola Paderni Luigi Moccia, Ignazio Musu e Guido Samarani sono stati pubblicati nella rubrica “Osservatorio Cina” di questa rivista . Il prossimo intervento è di  Attilio Andreini.
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Il più recente libro di Maurizio Scarpari, Ritorno a Confucio. La Cina di oggi fra tradizione e mercato (Il Mulino, 2015) è un’ opera importante: non solo per la consueta acribia analitica messa in gioco dall’autore, né solo per la sua chiarezza espositiva, né soltanto per la capacità di produrre sintesi con argomenti enormi (come quelli dell’incredibile sviluppo economico cinese e della millenaria tradizione confuciana), ma soprattutto perché ci risulta che il suo sia il primo tentativo di cercare le radici profonde di un’operazione che appare a tutti gli effetti – e non solo agli ‘occhi’ europei – assolutamente inedita ed inaudita: proporre gli antichi insegnamenti di Confucio come modello di vita e di sviluppo per la Cina del futuro.
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Classe operaia globale: insurrezione o lotta di classe?

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Classe operaia globale: insurrezione o lotta di classe?

iwwIl concetto di “classe” è nuovamente divenuto popolare. Dopo la più recente crisi economica globale, anche i giornali borghesi hanno cominciato a porsi la domanda: “Dopo tutto, forse che Marx non avesse ragione?”. “Il Capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty è stato nella lista dei bestseller degli ultimi due anni  – un libro che descrive in modo dettagliato e puntuale come storicamente il processo capitalistico di accumulazione abbia sortito il risultato di una concentrazione di ricchezza nelle mani di una stretta minoranza di possessori di capitali. Per di più, nelle democrazie occidentali le notevoli diseguaglianze hanno provocato un accentuato timore di rivolte sociali. Negli ultimi anni, questo spettro ha ossessionato il mondo – dai disordini di Atene, Londra, Baltimora, fino alle rivolte in Nord Africa, a volte con la cancellazione di governi statali. Come di consueto, in questi tempi di agitazione, mentre una fazione dei detentori del potere invoca la repressione armata, l’altra solleva la “questione sociale”, che si suppone dovrebbe essere risolta attraverso riforme o politiche redistributive.
* * *
La crisi globale ha de-legittimato il capitalismo; la politica dei padroni e dei governi per costringere i lavoratori e i poveri a pagare per la crisi ha alimentato la rabbia e la disperazione. Chi potrebbe ancora contestare il fatto che noi viviamo in una “società classista”? Ma questo che cosa sta a significare?
Le “classi” nel senso più stretto del termine emergono solo con il capitalismo - ma l’appropriazione indebita dei mezzi di produzione, da cui deriva la condizione del proletariato privo di proprietà, non è stato un processo storico eccezionale. L’appropriazione indebita è un ripetersi quotidiano all’interno del processo produttivo: i lavoratori producono, ma il prodotto del loro lavoro non appartiene a loro.
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Aldo Giannuli: Ancora sul caso Regeni

aldogiannuli

Ancora sul caso Regeni

di Aldo Giannuli

Sembra che ormai siamo al nocciolo della vicenda che è costata la vita al povero Giulio Regeni: l’Egitto inizia ad ammettere (per ora ufficiosamente) che egli è stato preso da un qualche corpo di polizia che lo avrebbe torturato per i suoi contatti con l’opposizione (si parla anche dei Fratelli Musulmani) e sarebbe morto più o meno casualmente. Dunque, ci stiamo avviando alla soluzione del caso? Neanche per sogno: questa versione non quadra affatto.
Il punto da cui dobbiamo partire è questo: in un paese dove 300 persone sono scomparse nel nulla, nonostante i parenti li cerchino, se trovi il cadavere torturato di qualcuno che è stato nelle mani della polizia, è perché te lo hanno voluto far trovare e non per caso. E, se il posto del ritrovamento è a due passi da una sede della polizia politica, la stessa cui una compagnia italiana ha venduto i programmi per le intercettazioni, non è perché non sapevano dove altro metterlo.
Per cui le spiegazioni possono essere solo due:
a- la cosa ha valore di “avvertimento” ad altri che vogliano mettere troppo il naso nelle vicende interne egiziane e la cosa parte dal governo
b- chi ha fatto trovare il cadavere voleva l’incidente diplomatico con l’Italia e non è affatto un sostenitore del governo, ma un suo avversario.
Prima ipotesi, quella dell’avvertimento:
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Alberto Bagnai: Pil, quelli che “Renzi ha portato la crescita all’1%”!

fattoquotidiano

Pil, quelli che “Renzi ha portato la crescita all’1%”!

di Alberto Bagnai

Premessa: non si tratta di andare a simpatie. A me, come ad altri, Renzi non è mai stato particolarmente simpatico. Questo però non mi sembra un buon motivo per dargli addosso nel momento in cui, fra tante cose sbagliate, ne sta facendo una giusta: chiedere che in Europa non si facciano sistematicamente due pesi e due misure a nostro svantaggio. Lo sta facendo tardi? Lo sta facendo per il motivo sbagliato (cioè per salvare se stesso, piuttosto che il paese)? Forse. Però lo sta facendo, e andrebbe sostenuto nel suo sforzo.
Certo, anche Renzi potrebbe cooperare, ad esempio non circondandosi di persone che di economia capiscono molto poco. Al cospetto di una squadra simile è difficile sfuggire alla sgradevole sensazione che, nonostante la sua buona volontà, il consenso di cui ancora gode, e il suo istinto di conservazione, il nostro premier non potrà che schiantarsi, portandosi dietro noi.
Volete un esempio?
Ricorderete che il governo aveva promesso nel 2014 che l’Italia sarebbe cresciuta nel 2015 dell’1% e oltre. Nell’aprile 2014 il Documento di Economia e Finanza (Def) prevedeva per il 2014 una crescita dello 0.8% e per il 2015 dell’1,3% (nella Tavola II.2A: Prospettive macroeconomiche). Tuttavia, a fine 2014 il governo aveva preso un bel bagno: invece dello 0.8% previsto, la crescita era stata del -0.4% (un errore di 1.2 punti percentuali).
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I curdi e l’isteria di Erdogan

piccolenote

I curdi e l’isteria di Erdogan

La battaglia di Aleppo è iniziata. Ed è iniziata con un attore inatteso: i curdi. Milizie curde, infatti, hanno conquistato l’aeroporto di Aleppo, da anni sotto il controllo delle agenzie del terrore. La città è ormai circondata dalle forze siriane che hanno chiuso i jihadisti nei quartieri da loro controllati. La conquista dell’aeroporto consente alle forze di Damasco e dei suoi alleati (curdi, russi, hezbollah e iraniani), di poter usufruire di un notevole supporto logistico, del quale hanno privato gli avversari.
L’attivismo curdo sta facendo infuriare la Turchia, che li annovera tra i suoi più acerrimi nemici, tanto che su di essi riversa le sue attenzioni attraverso raid che fanno strage di civili (l’ultima quella al villaggio di Cizre, sessanta vittime innocenti). Recep Tayyp Erdogan, infatti, rischia di vedere materializzata la sua più grande paura: la nascita di uno Stato curdo ai confini turchi, che potrebbe diventare un faro di attrazione e di mobilitazione per la minoranza curda del suo Paese, oggi considerata una minaccia alla sicurezza nazionale e perciò stretta nella morsa di un pugno di ferro.
Il problema, per Erdogan, è che i curdi si sono rivelati una risorsa preziosa per contrastare  l’Isis sia in Iraq che in Siria, tanto che si sono guadagnati un ruolo internazionale prima sconosciuto. E hanno ottenuto l’invito al tavolo negoziale di Ginevra (nato per trovare una soluzione al conflitto siriano), al quale non si sono potuti sedere per l’opposizione di Ankara.
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