menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
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martedì 10 luglio 2018

Lenin e la situazione rivoluzionaria - By Renato Caputo

Lenin e la situazione rivoluzionaria

È il fine stesso della lotta rivoluzionaria a imporre gli strumenti necessari per la sua realizzazione.

Lenin e la situazione rivoluzionaria 
Sebbene nessuno possa, necessariamente, sapere a priori se le condizioni rivoluzionarie oggettive si tradurranno in atto, il compito fondamentale dell’avanguardia – abdicando al quale perderebbe la propria ragione d’essere – è secondo Lenin: “svelare alle masse l’esistenza della situazione rivoluzionaria, mostrarne l’ampiezza e la profondità, svegliare la coscienza rivoluzionaria del proletariato, aiutarlo a passare alle azioni rivoluzionarie e creare organizzazioni corrispondenti alla situazione rivoluzionaria” [1], dal momento che in tali momenti risulta decisiva, in primo luogo, “l’esperienza dello sviluppo dello stato d’animo rivoluzionario e del passaggio alle azioni rivoluzionarie della classe avanzata, del proletariato” [2]. In ogni caso l’avanguardia potrà adempiere al proprio compito solo tenendosi pronta all’evenienza che si produca una situazione rivoluzionaria, anche perché, spesso, come insegna la storia, essa si viene a creare per “un motivo ‘imprevisto’ e ‘modesto’, come una delle mille e mille azioni disoneste della casta militare reazionaria (l’affere Dreyfus), per condurre il popolo a un passo dalla guerra civile!”[3].
Il partito rivoluzionario, per poter affrontare dei mutamenti repentini del corso storico indipendenti dalla propria volontà e che possono sfuggire alla propria capacità di previsione, deve essere addestrato ad utilizzare ogni forma di lotta, sapendo di volta in volta selezionare la più adeguata alla fase. Così, ad esempio, la Rivoluzione di Febbraio si è imposta, in una situazione di partenza molto arretrata, ovvero il dominio dell’autocrazia zarista, proprio grazie al suo aver coinvolto, in modo interclassista, ceti sociali anche molto differenti fra loro come la media e alta borghesia liberal-democratica e il proletariato urbano egemonizzato dai socialisti. Dunque, come chiarisce a questo proposito Lenin, “se la rivoluzione ha trionfato così rapidamente e in modo – apparentemente, al primo sguardo superficiale – così radicale, è soltanto perché una situazione storica singolarmente originale ha fuso insieme, e con un notevole grado di ‘coesione’, correnti del tutto diverse, interessi di classe eterogenei, aspirazioni politiche e sociali del tutto opposte” [4].
D’altra parte, generalmente, l’avversario di classe è sempre pronto ad avvalersi di qualsiasi mezzo utile, anche il più turpe, quando vede messi in discussione i propri privilegi. Così, come ricorda Lenin, “nella lotta contro il socialismo essi sono ricorsi a tutti i mezzi di cui disponevano, hanno utilizzato la violenza, il sabotaggio e hanno trasformato anche ciò che è il grande orgoglio dell’umanità – il sapere – in un’arma per lo sfruttamento del popolo lavoratore” [5].
Del resto non può che essere il fine stesso a imporre gli strumenti di volta in volta necessari per la sua concreta realizzazione. Così, ad esempio, più si avvicina, tramite lo sviluppo della coscienza di classe del proletariato, il momento dello scontro frontale, della guerra di movimento, più diviene necessario trovare la giusta dialettica ossia, per dirla con Lenin, “l’importanza della combinazione della lotta legale con la lotta illegale. Questo problema assume un grande significato sia generale che particolare, perché in tutti i paesi civili e progrediti si avvicina con rapidità il tempo in cui questa combinazione diventerà – e in parte è già diventata – sempre più impegnativa per il partito del proletariato rivoluzionario, per effetto del maturare e dell’avvicinarsi della guerra civile del proletariato contro la borghesia, per effetto delle furiose persecuzioni contro i comunisti da parte dei governi repubblicani, e dei governi borghesi in tutti i modi (l’esempio dell’America vale per tutti)” [6].
Dunque, quanto più ci si approssima al momento dello scontro finale fra oppressi e oppressori, tanto più tende ad aumentare la repressione violenta degli apparati dello Stato e la feroce persecuzione delle avanguardie dei subalterni, che impone al partito rivoluzionario di combinare i consueti strumenti di lotta legali con i mezzi illegali. Proprio perciò la possibilità, quasi sempre remota, di poter battersi per le proprie idee sul piano della dialettica politica, può comportare la momentanea rinuncia ai metodi generalmente necessari alla realizzazione della rivoluzione.
D’altra parte il pacifismo, la nonviolenza, in una società divisa in classi rischiano di essere pie illusioni – fughe idealistiche dinanzi a una deplorevole realtà, un abdicare del proletariato al compito storico di porsi quale classe universale [7] e addirittura un abbandonare lo stesso programma di dura lotta concreta per le riforme e i diritti democratici agli opportunisti o all’intervento dall’alto del governo, che le concederà per passivizzare le masse. Dunque, a parere di Lenin, la non violenza e il pacifismo comportano, nei fatti, un’abdicazione alla lotta per le stessa riforme di struttura. “Noi sosteniamo – osserva a tal proposito Lenin – un programma di riforme che è anch’esso diretto contro gli opportunisti. Questi tali sarebbero ben felici se noi lasciassimo loro in esclusiva la lotta per le riforme e, fuggendo la triste realtà, trovassimo riparo sopra le nuvole, sulle cime d’un qualsiasi ‘disarmo’. Il ‘disarmo’ è appunto la fuga dalla deplorevole realtà e non un mezzo per combatterla” [8].
Tanto più che, generalmente, sarà possibile liberarsi dallo sfruttamento capitalista e dalle guerre imperialiste unicamente attraverso la tragica esperienza della guerra rivoluzionaria. Perciò Lenin contesta le teorie pacifiste, non violente e del disarmo in quanto solo apparentemente costituiscono l’opposizione più risoluta alla guerra e al militarismo, mentre in realtà sono la manifestazione propria dei filistei piccolo-borghesi “di restare estranei alle grandi battaglie della storia mondiale” [9]. Come ricorda Lenin “solo dopo che avremo rovesciato, definitivamente vinto ed espropriato la borghesia in tutto il mondo, e non soltanto in un paese, le guerre diventeranno impossibili” [10], solo allora infatti non vi saranno più guerre imperialiste, di classe o di liberazione nazionale.
Detto questo, rimane essenziale, per un rivoluzionario, sapere distinguere le diverse tipologie di guerra, anche per smascherare i tentativi dei revisionisti che, come Kautsky e Plechanov, magari utilizzando in modo improprio - estrapolandole dal contesto - citazioni dello stesso Marx, tendono a giustificare il sostegno dato dagli opportunisti alle proprie borghesie nazionali in occasione di guerre di natura imperialistica. Osserva a questo proposito Lenin, richiamandosi alla risoluzione finale dell’ultimo congresso della II Internazionale, prima dello scoppio della prima guerra mondiale: “la risoluzione di Basilea non parla della guerra nazionale, né della guerra popolare – di cui si ebbero esempi in Europa, e che furono anzi tipiche nel periodo 1789-1871 – e nemmeno della guerra rivoluzionaria, guerre alle quali i socialdemocratici non hanno mai rinunciato. Ma essa parla della guerra attuale che si svolge sul terreno dell’‘imperialismo capitalista’ e degli ‘interessi dinastici’, sul terreno della ‘politica di conquista’ degli ambedue gruppi di potenze belligeranti […]. Plekhanov, Kautsky e soci ingannano senz’altro gli operai, ripetendo la menzogna interessata della borghesia di tutti i paesi, che tende, con tutte le forze, a presentare questa guerra imperialista, coloniale e brigantesca come una guerra popolare difensiva (non importa per chi) e che tenta di giustificarla con gli esempi storici delle guerre non imperialistiche” [11].
Perciò Lenin non può che giudicare filistei quei socialisti che tentavano di giustificare il loro sostegno a una guerra imperialista sulla base del fatto che sarebbe una legittima guerra difensiva, quale difesa della propria patria occupata dall’esercito nemico: “per il filisteo l’importante è di sapere dove stiano gli eserciti, chi adesso abbia la meglio. Per il marxista è invece essenziale il motivo per cui si combatte una guerra concreta, durante la quale possono risultare vittoriosi questi o quegli eserciti” [12]. Anche perché, pure le masse prive di coscienza di classe danno credito alle giustificazioni che i revisionisti tendono a dare del loro schierarsi con le borghesie nazionali nella guerra imperialista, richiamandosi a un sedicente “difensismo rivoluzionario”. In tal modo, in effetti, le masse non comprendono il legame che c’è fra il capitalismo, in particolare nella sua fase di sviluppo imperialista, e la guerra e rischiano di cadere nell’illusione dei pacifisti per cui sarebbe possibile giungere a una pace giusta e duratura, senza aver prima rovesciato l’imperialismo.
“Data l’innegabile buona fede di larghi strati di rappresentanti delle masse favorevoli al difensismo rivoluzionario, che accettano la guerra solo come la necessità e non per spirito di conquista, e poiché essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura, ostinazione e pazienza l’errore in cui cadono, svelando il legame indissolubile tra il capitale e la guerra imperialistica, dimostrando che è impossibile metter fine alla guerra con una pace veramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale” [13]. Perciò Lenin critica quelli che definisce i social-pacifisti, ovvero coloro che pur dichiarandosi socialisti portavano avanti una linea pacifista che, come mostra Lenin, è inconciliabile con il socialismo rettamente inteso. “Ecco l’argomento essenziale: la rivendicazione del disarmo è l’espressione più chiara, risoluta e conseguente della lotta contro ogni militarismo e ogni guerra. Ma proprio in quest’argomento essenziale risiede l’errore fondamentale dei fautori del disarmo. I socialisti a meno che cessino di essere socialisti, non possono essere contro qualsiasi guerra. In primo luogo, i socialisti non sono mai stati e non potranno mai essere avversari delle guerre rivoluzionarie” [14].
Proprio per questo Lenin critica, severamente, le parole d’ordine che proclamano il disarmo in una condizione in cui il mondo è ancora essenzialmente sotto il dominio di paesi imperialisti. La tendenza, che Lenin giudica meschina, degli Stati di piccole dimensioni di rimanere neutrali, anche grazie alla politica del disarmo, è paragonata alla pia illusione del “piccolo-borghese di restare estraneo alle grandi battaglie della storia mondiale e di approfittare di una posizione di relativo monopolio per continuare a vivere in uno stato di passività abitudinaria: ecco la situazione sociale oggettiva che può garantire all’idea del disarmo un certo successo e una certa diffusione in alcuni piccoli Stati. Beninteso, questa tendenza è reazionaria e riposa esclusivamente su illusioni, perché in un modo o nell’altro l’imperialismo trascina anche i piccoli Stati nel vortice dell’economia e della politica mondiale” [15]. Se anche nel caso dei piccoli Stati la politica del disarmo è insensata, proprio per la sua natura particolaristica, che non tiene nella dovuta considerazione le linee fondamentali di sviluppo della storia mondiale, tale prospettiva non può in alcun modo essere rivendicato da un socialista. “Il ‘disarmo’ è oggettivamente il programma più nazionale, più specificamente nazionale, dei piccoli Stati, ma non è in nessun caso il programma internazionale della socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale” [16].
Note
[1] I. V. Lenin, Il fallimento della II Internazionale (maggio-giugno 1915), in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 21, p. 194.
[2] Ibidem.
[3] Id., L’estremismo, malattia infantile del comunismo (aprile-maggio 1920), in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 493.
[4] Id., Lettere da lontano (marzo 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 101.
[5] Id., Discorso sullo scioglimento dell’Assemblea costituente alla seduta del Comitato esecutivo centrale di tutta la Russia (gennaio 1918), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 301.
[6] Id., L’estremismo, op. cit. pp. 467-68.
[7] A parere di Lenin il proletariato moderno è la classe universale poiché: “è la classe più forte e più avanzata della società civile; in secondo luogo perché nei paesi più progrediti esso costituisce la maggioranza della popolazione.” Id., La grande iniziativa (28 giugno 1919), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 418. Dunque, a parere di Lenin, “solo una classe determinata, e precisamente gli operai delle città, e in generale gli operai di fabbrica, gli operai industriali, è in grado di dirigere tutta la massa dei lavoratori e degli sfruttati nella lotta per abbattere il giogo del capitale, di dirigerli nel corso stesso dell’abbattimento, nella lotta per mantenere e consolidare la vittoria, nella creazione del nuovo ordine sociale, dell’ordine socialista, in tutta la lotta per l’abolizione completa delle classiivi: p. 416.
[8] Id., Il programma militare della rivoluzione proletaria (settembre 1916), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 92.
[9] Ivi, p. 94.
[10] Ivi, p. 86.
[11] Id., Il fallimento della II Internazionale (maggio-giugno 1915), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 9.
[12] Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economicismo imperialistico” (agosto-ottobre 1916), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 63.
[13] Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (aprile 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 109.
[14] Id., Il programma militare… op. cit., p. 84.
[15] Ivi: p. 94.
[16] Ivi: p. 95.

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30/06/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte: 

mercoledì 11 ottobre 2017

Cerchiamo ancora: Capitalismo e società all’inizio del XXI secolo

Cerchiamo ancora: capitalismo e società all’inizio del XXI secolo - Giovedì 19 ottobre l’incontro inaugurale del ciclo di seminari formativi organizzato dal CRS e curato da Alessandro Montebugnoli

Contenuti, ispirazione, propositi
Il capitalismo di oggi sullo sfondo del capitalismo di sempre, il capitalismo al tempo delle piattaforme digitali sullo sfondo del capitalismo ‘in quanto tale’; e poi la vita del sistema e quella della società, il funzionamento dei mercati e l’orizzonte normativo dello ‘sviluppo umano’. Ragioni sostanziali fanno sì che il quadro degli argomenti e degli interessi di ricerca difficilmente potrebbe essere più largo. Almeno in parte, però, l’ampiezza di un panorama può essere riscattata dalla specificazione del punto di vista o del layer – che si adotta. Meglio ancora, l’estensione di un territorio può essere compensata dalla comunicazione, prima di partire, del cammino che si pensa di percorrere.

Da sempre, il capitalismo ha impresso nella forma merce una verve espansiva che non prevede e non sopporta limiti; da sempre vi ha iscritto l’‘istruzione’ di plasmare quante più aree e quanti più aspetti sia possibile delle vite private e di quella collettiva. Alle soglie dell’età moderna, il mercato ne ha ricavato pretese di validità che in effetti, già nel concetto, configurano un’attitudine di tipo ‘imperialistico’. La messa a fuoco di quest’ultima – della sua natura, degli attori che ne sono interpreti, dei dispositivi grazie ai quali ha sempre dispiegato i suoi cospicui effetti – costituisce parte integrante delle finalità che il seminario intende perseguire.
Al tempo stesso, considerazioni del genere faranno da sfondo a un discorso più ravvicinato. Il grosso dell’attività seminariale sarà infatti dedicato alle pretese di egemonia della forma merce leggibili nell’evoluzione recente e nell’attuale configurazione del capitalismo: l’offensiva neoliberista nei confronti dei servizi pubblici, la colonizzazione mercantile dei mondi della vita quotidiana e della stessa ‘interiorità’, la manipolazione delle questioni legate ai planetary boundaries e altro ancora, compreso lo sfruttamento commerciale delle identità personali in più sensi associato al capitalismo delle piattaforme digitali. Dell’attitudine imperialistica del mercato, il seminario intende appunto documentare le principali manifestazioni che oggi la confermano, e alle quali, anche, appartengono le crisi che in questo inizio di Ventunesimo secolo, come tante altre volte nella storia del capitalismo, hanno fatto da contrappasso alla mancanza di misura delle sue pretese. Che la verve espansiva della forma merce sia insofferente d’ogni limite non significa infatti che non incontri ostacoli, né che sia sempre sicura dei propri mezzi e del proprio modo di procedere.
Così definito, l’argomento si presta bene a tenere insieme un approccio di tipo ‘analitico’ e uno di carattere ‘fenomenologico’.
In primo luogo, è chiaro che la dinamica della forma merce va descritta, ricostruita e spiegata come quel fatto sistemico che in effetti è. Per questo aspetto, il linguaggio del seminario sarà quello delle discipline pertinenti alla sua materia: in generale la teoria economica e la sociologia, aperte ai buoni venti della riflessione storica e condite con una certa dose di filosofia; ma anche discipline più ‘specifiche’, variamente chiamate in causa dalla suddetta operazione di documentazione.
D’altra parte, è pur vero che nella dinamica della forma merce avvertiamo che si tratta del modo in cui viviamo, con il suo inevitabile portato riflessivo – la “vecchia questione”, come dice Beck, del modo in cui vogliamo vivere. In questo senso, un argomento importante ‘per noi’, per il segno che ne ricavano le esperienze delle quali ci capita di essere partecipi, come tale suscettibile di essere affrontato in chiave comprendente. Così, l’impostazione del seminario prevede che vi abbiano diritto di cittadinanza anche le percezioni della realtà depositate nella soggettività dei presenti, ravvisando in esse la dignità di uno specifico modo di conoscere.
Come vogliamo vivere: la domanda fa sì che il discorso non possa non aprirsi a considerazioni intorno al ‘che fare’. Non tanto, o almeno non immediatamente, in chiave ‘propositiva’, quanto, innanzi tutto, in termini di orientamento dell’agire politico. Meglio ancora, nei termini di un orizzonte di senso che collochi il ‘che fare’ all’altezza delle attuali contingenze storiche.
Molti anni fa, su questa lunghezza d’onda, Claudio Napoleoni ebbe a sostenere l’idea che “si tratta di allargare nella massima misura possibile la differenza tra il capitalismo e la società”. Intuitivamente, fatta salva la necessità di dedicare alla ‘società’ un discorso non meno impegnativo di quello sul capitalismo, il collegamento con il tema della verve imperialistica iscritta nella forma merce non dovrebbe essere difficile da cogliere. Così, tra schiette ragioni di consenso e qualche (non trascurabile) distinguo, la parte del seminario più vicina alla politica farà perno sulla formula appena riferita – cercando di precisarne il contenuto ideale, di portarla a esisti più determinati e di mettere a fuoco, anche, il singolare mélange di radicalità e ragionevolezza che la contraddistingue.
Va da sé che il punto di vista che verte sull’imperialismo della forma merce non è l’unico possibile. Senza dubbio, la realtà del capitalismo si presta ad altre critiche, in certo modo, anche, più immediate: basti pensare agli insensati livelli di disuguaglianza raggiunti negli ultimi decenni, che in un certo senso si impongono da soli come argomento di studio e di denuncia. Nondimeno, quello selezionato sembra un punto di vista che non conviene disattendere, e anche abbastanza comprensivo. Prendiamo ancora, come esempio, il tema dell’eguaglianza: a parte la nota domanda di Sen, of what?, che in effetti si sposa bene con il mood del seminario, quest’ultimo comprende anche l’idea che gli attuali livelli di dispersione dei redditi non siano affatto privi di rapporto con le pretese di egemonia della forma merce, e che in effetti convenga partire da queste per arrivare a quelli, perché il percorso inverso non è altrettanto agevole. Cosa ancora più importante, la critica delle pretese di egemonia della forma merce non sembra affatto priva di rilievo dal punto di vista delle strategie da adottare per venire a capo dei problemi legati al binomio occupazione-redditi – che tanta parte hanno nel ‘che fare’ - Qui il PDF.

 L’articolazione tematica
Di seguito, i titoli dei 25 incontri in programma. L’ordine deve essere ritenuto indicativo, soggetto a variazioni. Cliccando sui nomi delle sezioni si accede a brevi illustrazioni degli argomenti che allo stato degli atti, fatto salvo quanto emergerà nel corso dei lavori, formano il percorso di ricerca che sarà proposto ai partecipanti. Il risvolto della brevità è una discreta densità, dovuta all’intenzione di consentire una presa di contatto abbastanza ravvicinata con le tesi dalle quali, di volta in volta, il seminario prenderà le mosse. Nello stesso spirito, questo link consente di accedere testo della relazione introduttiva che sarà presentata in occasione del primo incontro.
Centro per la riforma dello Stato

1. Cerchiamo ancora
Percorso 1
La visione del capitalismo
2. La figura del processo di accumulazione
3. Innovazioni radicali e profitti straordinari
4. Le “alte vette” della finanza
Le categorie del sociale
5. Il nesso di individualizierung e socializierung
6. La pluralità delle forme di riconoscimento
7. La rosa delle forme nella croce della vita materiale
La forma del problema
8. La differenza di società e capitalismo
9. I capitalisti in un’economia non capitalistica
10. Eticità e politica
Percorso 2
Problemi di storia recente
11. Dalla Golden Age alla Global Turbolence
12. La New Economy
13. Le crisi del 2001 e del 2008
Spazi di crescita e vincoli di ragionevolezza
14. Il paradigma digitale
15. La Green Economy
16. I servizi sanitari
17. Il “capitalismo culturale”
18. Il terziario povero
Cittadinanza, occupazione e reddito
19. Dagli Internal ai Transitional Labour Markets
20. Il contributo del settore pubblico
21. Il reddito e il lavoro nell’arco della vita
A scala globale
22. Le proiezioni geografiche del capitalismo
23. La fine del secolo americano
24. Dove va la Cina?
25. Problemi di ordine monetario internazionale

Docenti
La conduzione del seminario è affidata ad Alessandro Montebugnoli; sono previsti interventi di Cristiano Antonelli, Vincenzo Artale, Laura Bazzicalupo, Salvatore Biasco, Michela Cerimele, Giorgio Cesarale, Giulio De Petra, Alisa Del Re, Lelio Demichelis, Tristana Dini, Nerina Dirindin, Ida Dominijanni, Roberto Finelli, Elena Granaglia, Cristina Morini, Giorgio Rodano.

Per partecipare
L’iniziativa è rivolta a giovani studiose/i di economia, sociologia, scienze politiche, storia e filosofia, o comunque interessate/i ai temi illustrati nelle schede.
Gli incontri si terranno con cadenza settimanale, il giovedì dalle 17.00 alle 20.30.
Il seminario inaugurale si terrà giovedì 19 ottobre, alle ore 17, nella sala conferenze di via della Dogana Vecchia 5.
Sono chiuse le iscrizioni per il cui perfezionamento è possibile effettuare il pagamento della quota di euro 100 tramite bonifico da destinarsi entro il 23 ottobre a:
CENTRO PER LA RIFORMA DELLO STATO ONLUS
Banca di Credito Cooperativo – Agenzia di Roma 21
IBAN: IT96A0832703221000000002925
In alternativa è inoltre possibile effettuare il pagamento direttamente in contanti in occasione del primo incontro previsto per giovedì 19 ottobre.
Coloro che avranno seguito con continuità l’attività seminariale riceveranno un attestato di frequenza e potranno partecipare alla realizzazione di un volume collettivo, dedicato alla documentazione delle idee che avranno avuto modo di sedimentarsi nel corso degli incontri.

giovedì 13 luglio 2017

Pensiero politico sullo "Stato sociale" tra '800 e '900





MERCOLEDI’ 3 MAGGIO 2017: LE LACERAZIONI DELLA CULTURA LIBERALE DELL’OTTO E DEL NOVECENTO, TRA LAISSEZ FAIRE E POLITICHE SOCIALI
Un antecedente da ricordare: la polemica in Inghilterra sulla Poor law. La revisione in senso sociale delle categorie dell’economia politica in J. S. Mill. Dall’utilità alla giustizia morale: gli “idealisti oxfordiani” e i compiti dello Stato. Le esasperazioni dell’individualismo (Spencer) e le reazioni del liberalismo socialisteggiante (Hobhouse). I piani Beveridge. L’apporto liberale al welfare maturo.












Parigi 1848: Luis Blanc presiede
presso il Palazzo del Lussemburgo la Commissione sui problemi del lavoro
La Seconda Internazionale (1889): Eduard Bernstein e Karl Kautsky

MERCOLEDI’ 10 MAGGIO 2017: TEORIE SOCIALDEMOCRATICHE SULLO STATO SOCIALE, DAL RIFORMISMO OTTOCENTESCO ALLA “TERZA VIA”
Le prime rivendicazioni di un ruolo sociale dello Stato: la lotta per il diritto al lavoro. La socializzazione come esito di una lunga marcia riformatrice: la Scuola Fabiana. Il dibattito sulle tesi di Bernstein e l’approdo riformatore del socialismo della Seconda Internazionale. La socialdemocrazia novecentesca e la costruzione di un apparato ideale per il welfare. Altre ideologie solidariste: la componente religiosa dello stato sociale novecentesco. I problemi dello stato sociale e l’ipotesi della “terza via”.
Il video dell’intervento del prof. Claudio De Boni

Letture: socialismo




MERCOLEDI’ 24 MAGGIO 2017: LE POLEMICHE CONTRO LO STATO SOCIALE, DALLA DESTRA NEOLIBERISTA ALLA SINISTRA RADICALE

Destra: - Critiche allo stato sociale prima dello stato sociale (Albert J. Nock; Ayn Rand) - Individualismo metodologico e concezione della vita associata (Friedrich von Hayek) - Modelli di anarcocapitalismo (Murray Rothbard) - Il concetto ultraliberale di giustizia (Robert Nozick). Sinistra: - Le promesse non mantenute (e non mantenibili) dello stato sociale (Thomas H. Marshall) - Cittadinanza, disciplina e controllo nello stato sociale (Michel Foucault) - «Società a una dimensione» ed effetti di repressione (Herbert Marcuse) - Critiche al workfare nell’operaismo italiano (Mario Tronti, Antonio Negri).

Il video degli interventi del prof. Gianluca Bonaiuti e della prof.ssa Silvia Rodeschini

Letture: polemiche contro lo Stato sociale da destra e da sinistra






MERCOLEDI’ 31 MAGGIO 2017: IL NEW DEAL AMERICANO: COSA E’ STATO. SPECIFICITA’ IN CAMPO ECONOMICO E DI WELFARE

Il sonoro dell’intervento del prof. Tiziano Bonazzi


Discorso inaugurale di Franklin Delano Roosewelt

La legislazione del New Deal




MERCOLEDI’ 7 GIUGNO 2017: PER UN BILANCIO
DELLE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA, TRA PARADIGMA LIBERISTA E SOLIDARISMO

Il video dell’intervento della prof.ssa Giuliana Laschi

Luciano Gallino, Il modello sociale europeo e l’unità dell’UE





GIOVEDI’ 15 GIUGNO 2017: GIUSEPPE DOSSETTI: “MA IN OGNI MODO NON BISOGNA AVERE PAURA DELLO STATO”. LETTURA IN CHIAVE DI ATTUALITA DELLA RELAZIONE “FUNZIONI E ORDINAMENTO DELLO STATO MODERNO”, 1951

Il video dell’intervento del prof. Enzo Balboni

Contesto e parole chiave della relazione di G. Dossetti


http://www.istitutodegasperi-emilia-romagna.it/