menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

sabato 27 febbraio 2016

Era nuova

In quei “dieci giorni che sconvolsero il mondo” (come li definì John Reed) nell’ottobre-novembre del 1917 a Pietroburgo ha avuto inizio una nuova era: per la prima volta nella storia dell’umanità i lavoratori avevano conquistato il potere politico. Tutto era possibile in quel momento e da quel momento in avanti, in Russia come in tutto il mondo. Si poteva, non solo immaginare, ma finalmente lavorare per cambiare la vecchia società basata sull’individualismo egoista del capitalismo (come lo aveva definito Marx nel saggio fondamentale “Sulla questione ebraica”), in una nuova società basata sulla responsabilità collettiva, sulla solidarietà, sulla parità prima ancora che sull’eguaglianza. Il primo vagito, ancora immaturo e intempestivo, della Comune di Parigi del 1870 era diventato l’urlo dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Un nuovo ordine sociale, del quale l’economia, intesa come rapporti di dominio del mondo del lavoro, era solo la punta emergente, stava per essere fondato con al centro la liberazione della persona umana. Nessun idealismo utopistico, nessuna religione aveva sino ad allora predicato, immaginato e osato tanto. Ma il marxismo-leninismo è una scienza e non un’ideologia e insegna che intanto i diritti si possono garantire, in quanto si rendono disponibili i mezzi per poterli concretamente esercitare. La Russia allora era un paese sterminato e arretrato, devastato da sei anni di guerra, seguiti da venti anni di preparazione all’inevitabile invasione militare capitalista, quaranta anni di accerchiamento e di guerra fredda, poi il collasso di una esperienza fallita. Ma per ogni fallimento subito, ci ha insegnato Honecker nella sua autodifesa, l’umanità non ha mai smesso di riprovare. Ma soprattutto le nuove ere, seppure identificano il loro inizio in una evento cronologicamente determinato, in realtà richiedono un lungo passaggio temporale prima di affermarsi e superare definitivamente l’era tramontata. Dalla rivoluzione d’ottobre sono trascorsi appena 100 anni, un tempo assai breve per concretizzare il cambiamento di un’era. L’era del capitalismo è chiaramente in crisi irreversibile, l’era del socialismo stenta ad affermarsi, ma progredisce inarrestabilmente. Il testimone lasciato dall’Unione Sovietica è stato raccolto dalla Cina, non è caduto e non si è perso.

Ma torniamo a quel momento straordinario della storia dell’umanità che solo la scienza dei secoli futuri (i posteri manzoniani) potrà compiutamente apprezzare nella sua dimensione rivoluzionaria. Accanto alle prime misure sulla nuova amministrazione dello Stato e dell’economia, il governo sovietico varò la prima legislazione sulla liberazione delle persone umane e prime fra tutte, delle donne. A guidare questa rivoluzione epocale fu una donna, Aleksandra Kollontaj che varò la prima legislazione sulla parità dei sessi fondata sulla rottura, più che sul superamento, dell’istituto borghese della famiglia monogama patriarcale, o meglio padronale. Rompere il concetto di proprietà che era insito nel matrimonio borghese, così come in tutte le relazioni economiche e sociali del capitalismo, era il passaggio necessario per rendere libero e dunque paritario anche il rapporto affetivo e sessuale uomo-donna. Il progetto della Kollontaj si scontrò con due opposte, ma parimenti infondate, interpretazioni. Da un lato la borghesia illuminata interpretò l’azione della rivoluzionaria russa come una mera trasposizione del femminismo già attivo nell’Inghilterra post vittoriana; dall’altro l’ignoranza della incultura religiosa tacciò la nuova libertà di relazioni paritarie sovietica come libero amore letto, ovviamente, nella versione più lasciva della repressione misogena, sul piano esclusivamente sessuale.
Ben altro era il messaggio di libertà nelle relazioni anche sessuali che prefigurava il nuovo ordine sociale sovietico e il saggio della Kollontaj che pubblichiamo nelle pagine seguenti (per estratto) ne da una approfondita esposizione. Aveva scritto Trotsky che la nuova cultura proletaria non sarebbe potuta nascere dall’attuale miseria e povertà solo in virtù di ordini amministrativi, occorreva la ricchezza e il benessere economico anche per produrre una nuova cultura; così anche per la liberazione della donna non fu sufficiente emanare direttive, occorrevano asili, scuole, ospedali, case, servizi sociali e posti di lavoro sufficienti e adeguati alla componente femminile della società socialista. Allora non fu possibile garantire i mezzi necessari per rendere effettivo e concreto il godimento di quei diritti, ancorché formalmente affermati e giuridicamente tutelati. L’Unione Sovietica, non per sua sola colpa, non è stata in grado di fornire in misura sufficiente quegli strumenti anche se furono fatti passi in avanti giganteschi. Basti pensare che già nel 1918 le donne sovietiche godevano degli stessi diritti degli uomini, con le ulteriori tutele della maternità anche sole, mentre in Italia le donne hanno avuto il diritto di voto solo nel 1946, decenni più tardi quello ereditario (per chi non lo ricorda esisteva l’istituto ereditario del solo usufrutto sul quarto vedovile), quello della pari potestà dei genitori sui figli, il divorzio, l’aborto e solo nel 1981 è stata soppressa la vergognosa attenuante del delitto d’onore (maschile ovviamente). Il saggio della Kollontaj che pubblichiamo mantiene oggi, in una situazione di vergognosa recrudescenza della incultura del predomino maschile che si fonda sul concetto borghese di proprietà privata, una indubbia attualità, ma anche un progetto per il futuro di una società migliore. Il testimone non è caduto. La Cina porta avanti il suo progetto di società armoniosa e, con il sogno cinese, rilancia gli ideali socialisti della solidarietà, dell’amicizia, del rispetto, creando le condizioni economiche di una società “mediamente benestante” che potrà concretamente garantire i mezzi necessari. L’Eros alato della società socialista sta rimettendo le sue piume.
Di Sandro Ridolfi
La questione femminile nell'Unione Sovietica degli anni Venti del XX secolo: il pensiero di Aleksandra Kollontaj; la questione vuene trattata nella Tesi di Caterina Saracco. Il lavoro si propone di studiare il concetto di famiglia e di femminilità così come era concepito negli anni '20 dell’ultimo secolo, focalizzando l’attenzione su una donna molto particolare, Aleksandra Kollontaj, che fu femminista e bolscevica e anche, verso la fine della sua vita pubblica, quasi un oppositore del regime stalinista. Dopo una breve panoramica sulla posizione della donna nella società e dell’istituto matrimoniale nella legislazione comunista, è stato tracciata la parabola umana e politica di Aleksandra Kollontaj, analizzando il suo pensiero sulla famiglia, sull’amore e sul matrimonio, con un’analisi del saggio Dorogu krylatomu Erosu! Pis’mo k trudjaščejsja molodёži (Largo all’Eros alato! Lettera alla gioventù lavoratrice), che si ritiene essere il suo manifesto nella lotta “di classe” tra i sessi.
Aleksandra Kollontaj (1871-1952) è stata la prima donna ministro della storia. Di lei aveva scritto Maxim Gorkij: ci sono solo due comunisti in Russia: uno è Lenin, l’altra è Aleksandra Kollontaj. A Lenin la Kollontaj rimase sempre strettamente legata con una tale reciproca attestazione di stima che già nella formazione del primo governo sovietico la valse la nomina a ministro all’assistenza sociale. Tale rapporto privilegiato non le impedì, tuttavia, di contestare ripetutamente, anche con forti manifestazioni di dissenso quali le dimissioni dalla carica di ministro, diverse decisioni: dalla pace di Brest-Litovst alla Nuova Politica Economica, ambedue fortemente volute da Lenin, fondando e guidando anche una corrente di opposizione all’interno del Partito Bolscevico, denominata “Opposizione Operaia”, che contestava la burocratizzazione dei dirigenti politici in favore di una presenza, anche manageriale nelle industrie, prevalentemente operaia. L’attività politica della Kollontaj si concentrò sull’organizzazione della componente femminile nel partito bolscevico e nel nuovo Stato sovietico e la creazione del sistema dell’assistenza sociale ai bambini e alle donne lavoratrici. In ragione di questo particolare impegno la letteratura politica occidentale ha attribuito alla Kollontaj l’attributo di “femminista nel cuore del soviet”. L’affermazione è non solo molto riduttiva rispetto alla assai più ampia dimensione della militanza politica della rivoluzionaria russa, ma è soprattutto errata e fuorviante. La liberazione delle donne rivendicata dalla Kollontaj andava, infatti, ben oltre il riconoscimento alle donne degli stessi (o quanto meno simili) diritti goduti dagli uomini, ma coinvolgeva una radicale revisione dei rapporti sociali, dei quali i rapporti uomo/donna erano una derivazione condizionata. La nuova società degli uguali prefigurata dalla rivoluzione comunista non si proponeva solo di equiparare sul piano giuridico le donne agli uomini, ma di stabilire un nuovo patto sociale fondato sulla equiparazione naturale dei due sessi e sulla loro essenziale complementarietà. La Kollontaj ha scritto numerosi saggi sul nuovo concetto di amore della società socialista e alcuni romanzi reperibili in internet in italiano.
L’amore da compagni
La nuova società dei lavoratori, la società comunista, è fondata sul principio della solidarietà. Ma cos’è la solidarietà? E’ la “coscienza” non solo della comunanza degli interessi, ma anche dei vincoli spirituali e morali intessuti tra gli appartenenti al collettivo. Una struttura sociale edificata sulla solidarietà e la cooperazione esige dalla società un «potenziale d’amore» notevolmente sviluppato: in altre parole, che le persone siano capaci di provare dei sentimenti di autentica simpatia. Senza di che, la solidarietà non può essere durevole. Per questo l’ideologia proletaria tenta di far nascere e rafforzare in ciascun membro della classe operaia sentimenti di partecipazione alle sofferenze e ai bisogni dei suoi compagni di classe, di comprensione delle altrui aspirazioni, di profonda coscienza dei suoi legami con gli altri appartenenti al collettivo. Tutti questi sentimenti di simpatia, di compassione, di rispetto, sgorgano da un’unica, comune sorgente: la facoltà di amare, non nel senso strettamente sessuale, ma nella larga accezione di questo termine. In quanto emozione (sentimento), l’amore costituisce un elemento di coesione, e quindi un elemento organizzatore. Che l’amore sia una grande forza di coesione, la borghesia ne è perfettamente cosciente, e ne tiene conto. Ecco perché l’ideologia borghese, allo scopo di consolidare la famiglia rese «l’amore coniugale» una virtù morale. Il proletariato, da parte sua, non può non tener conto del ruolo psico-sociale che l’amore, in senso lato o nel campo dei rapporti sessuali, può e deve svolgere per il rafforzamento dei vincoli, non coniugali e familiari, ma riguardanti lo sviluppo della solidarietà collettiva.


Qual è dunque l’ideale amoroso della classe operaia? Quali sono i sentimenti e le emozioni che l’ideologia proletaria pone alla base dei rapporti tra i sessi? Nelle varie fasi dello sviluppo economico e sociale, il contenuto della nozione di amore è mutato. Da fenomeno biologico, l’amore è divenuto un fattore psico-sociale. Sotto l’azione delle forze economiche e sociali, l’istinto biologico di riproduzione, che ha determinato i rapporti sessuali nei primi stadi dello sviluppo dell’umanità, ha subito due degenerazioni in direzioni diametralmente opposte. Da un lato, per uno scopo riproduttivo, sotto la spinta di rapporti socio-economici abnormi, e in particolare sotto il dominio del capitalismo, il normale istinto sessuale, la normale attrazione tra i sessi, sono degenerati in “malsana libidine”. Nella sua forma attuale, l’amore è uno stato d’animo estremamente complesso, che si è da molto tempo allontanato dalla sua primitiva fonte (l’istinto biologico di riproduzione) e spesso si trova perfino in netto contrasto con essa. L’amore è una sorta di conglomerato, un complesso insieme formato di passione, di amicizia, di tenerezza materna, d’inclinazione amorosa, di comunanza di spirito, di pietà, di ammirazione, di abitudine e di molte altre sfumature sentimentali ed emotive. Di fronte ad una simile complessità è sempre più problematico stabilire un nesso diretto tra voce della natura, “Eros senz’ali” (l’attrazione fisica dei sessi), e “Eros alato” (l’attrazione carnale mista a emozioni spirituali e morali). L’amore-amicizia, nel quale non v’è alcuna componente fisica, l’amore spirituale per una causa o un’idea, l’amore impersonale per la collettività: tutti questi fenomeni sono la testimonianza di quanto il “sentimento d’amore” si sia distaccato dalla sua base biologica, di quanto si sia «spiritualizzato». L’amore è divenuto multiforme e multicorde. Ciò che l’uomo d’oggi, nel quale le fasi della cultura hanno sviluppato e accentuato nel corso di molti millenni diverse sfumature di amore, prova nel campo delle emozioni amorose non può essere racchiuso in un termine, «amore», troppo generico, e quindi inesatto.
Sotto il dominio dell’ideologia borghese e del sistema di vita capitalistico-borghese la dicotomia dell’amore, del sentimento, è causa di sofferenze ineluttabili. Per millenni, una cultura fondata sull’istinto di proprietà ha inculcato negli uomini la convinzione che il sentimento d’amore aveva anch’esso come base il principio della proprietà. L’ideologia borghese ha messo in testa alla gente l’idea che l’amore, compreso l’amore reciproco, dava il diritto di possedere interamente e senza spartizioni il cuore dell’essere amato. Quest’ideale, questo esclusivismo nell’amore, derivava naturalmente dalla forma di unione coniugale stabilita e dall’ideale borghese di «amore totale ed esclusivo» tra gli sposi. L’essere esclusivi in amore, l’esigere «totalmente assorbiti» dall’amore, non può costituire l’ideale dei rapporti tra i sessi dal punto di vista dell’ideologia proletaria. Al contrario, lo scoprire che “Eros alato” è multiforme e multicorde non produce nel proletariato né orrore né indignazione, come avviene per l’ipocrita morale borghese. Al contrario il proletariato tenterà con tutte le sue forze di indirizzare questo fenomeno nella direzione corrispondente ai suoi compiti di classe in un dato momento della lotta, in un dato momento della costruzione della società comunista. Il fatto che l’amore sia multiforme non è, di per sé, in contraddizione con gli interessi del proletariato. Al contrario, esso facilita il trionfo di quell’ideale di amore nei rapporti tra i sessi che sta già prendendo forma e cristallizzandosi in seno alla classe operaia.
Si tratta precisamente dell’amore da compagni. L’ideale d’amore della classe operaia, che discende dalla cooperazione nel lavoro e dalla solidarietà di spirito e di volontà dei membri di questa classe, uomini e donne, si differenzia naturalmente, sia per la forma che per il contenuto, dalle nozioni dell’amore proprie alle altre epoche culturali. Ma cos’è l’amore da compagni? Significa forse che l’austera ideologia della classe operaia, elaborata nell’atmosfera arroventata delle lotte per la dittatura del proletariato, vorrà scacciare senza pietà il tenero e fremente “Eros alato” dai rapporti sessuali? Assolutamente no. Non solo l’ideologia della classe operaia non ha intenzione di abolire “Eros alato”, ma al contrario essa libera la strada al riconoscimento del valore dell’amore come forza psico-sociale. La morale ipocrita della cultura borghese ha strappato senza pietà le piume dalle ali multicolori e sgargianti di Eros, obbligandolo a frequentare unicamente le «coppie legittime». Al di fuori del matrimonio, l’ideologia borghese lascia posto unicamente ad un Eros senza piume e senza ali: l’unione sessuale momentanea, sotto forma di carezze comperate (prostituzione) o rubate (adulterio). La morale della classe operaia invece, nella misura in cui ha già iniziato a cristallizzarsi, trascura completamente la forma esteriore che possono assumere i rapporti d’amore tra i sessi. Per ciò che concerne gli obiettivi di classe del proletariato, è del tutto indifferente che l’amore assuma la forma di un’unione duratura e legalizzata o che si esprima semplicemente in una relazione passeggera.
La ideologia della classe operaia non impone alcun limite formale all’amore. Al contrario, fin da ora essa guarda soprattutto al contenuto dell’amore, delle sfumature sentimentali ed emozionali che uniscono i due sessi. E in questo senso, l’ideologia della classe operaia darà la caccia a “Eros senz’ali” (la concupiscenza, la soddisfazione carnale egoista per mezzo della prostituzione, la trasformazione dell’atto sessuale in scopo a se stante) molto più rigorosamente e spietatamente di quanto non facesse la morale borghese. “Eros senz’ali” è contrario agli interessi della classe operaia, è di solito basato sull’ineguaglianza dei diritti nei rapporti sessuali, sulla dipendenza della donna nei confronti dell’uomo, sulla fatuità e sulla rozzezza maschili, il che può unicamente frenare lo sviluppo del sentimento di solidarietà fra compagni. La presenza di “Eros alato” agisce esattamente in senso contrario.
Va da sé che alla base di “Eros alato” troviamo la medesima attrazione di un sesso per l’altro che in “Eros senz’ali”, ma la differenza è grande: nell’essere che ama un altro essere, si risvegliano e si manifestano proprio quei tratti dell’animo che sono indispensabili agli edificatori della nuova cultura: delicatezza, sensibilità desiderio di aiutare l’altro. L’ideologia borghese voleva che l’essere umano manifestasse queste qualità unicamente nei confronti dell’eletto, o l’eletta, del suo cuore, in altre parole nei confronti di un unico essere. Ciò che conta innanzitutto per l’ideologia proletaria, è che queste qualità siano risvegliate e sviluppate nell’essere umano, e che si manifestino non solo nei rapporti con l’eletto del cuore, ma anche nelle relazioni con tutti gli appartenenti alla collettività. Il riconoscimento, anche nell’amore, dei diritti reciproci, la capacità di tener conto della personalità dell’altro, un fermo e mutuo sostegno, una sollecitudine attenta e una reale comprensione di ciascuno per i bisogni dell’altro, congiunti alla comunanza degli interessi o delle aspirazioni: ecco l’ideale dell’amore da compagni che l’ideologia proletaria sta forgiando per sostituire il caduco ideale di amore coniugale «assorbente» ed «esclusivo» della cultura borghese. L’amore da compagni costituisce l’ideale di cui il proletariato ha bisogno nel periodo gravido di responsabilità e di difficoltà in cui lotta per fondare e consolidare la propria dittatura. Ma non v’è alcun dubbio che, quando la società comunista sarà divenuta una realtà, “Eros alato” si presenterà sotto un aspetto interamente rinnovato, completamente sconosciuto a tutti fino ad oggi. In quel momento, i «vincoli di simpatia» tra tutti i membri della nuova società si saranno sviluppati e consolidati, la «forma dell’amore» sarà molto più grande, e l’amore-solidarietà avrà un ruolo motore analogo a quello della concorrenza e dell’amor proprio nella società borghese. Il collettivismo dello spirito e della volontà riporterà la sua vittoria sulla fatuità individualista. La «fredda solitudine morale», alla quale le persone, nella società borghese, tentavano spesso di sfuggire attraverso l’amore e il matrimonio, sarà scomparsa; molteplici e svariati vincoli uniranno le persone in una vera comunanza spirituale e morale. I sentimenti degli uomini s’indirizzeranno verso lo sviluppo della coscienza sociale, mentre l’ineguaglianza tra i sessi, affondata nella memoria dei secoli passati, e ogni forma di dipendenza della donna dall’uomo saranno scomparsi senza lasciar traccia. In questa società nuova, collettivista sul piano spirituale ed emozionale, Eros occuperà, sullo sfondo di una gioiosa unità e fratellanza tra tutti i membri del collettivo, un posto d’onore, come sentimento destinato a decuplicare la gioia degli uomini. Quale sarà quest’Eros nuovo, trasfigurato? La più ardita immaginazione non saprebbe tracciarne il ritratto. Ma una cosa è chiara: maggiore sarà la solidarietà in seno all’umanità nuova, maggiore sarà la coesione morale in tutti i settori della vita, della creatività, delle relazioni umane, e minore sarà il posto per l’amore inteso nel senso attuale del termine.

Ma per il momento ci troviamo ancora in una fase di svolta tra due culture. Durante questo periodo di transizione, insieme alla lotta accanita dei due mondi su tutti i fronti, compreso quello ideologico, il proletariato ha interesse a favorire al più presto e con ogni mezzo l’accumulazione delle riserve di «sentimenti di simpatia». In questo periodo, l’ideale morale che determina i rapporti sentimentali non è il mero istinto sessuale, bensì una grande varietà di emozioni amorose e di solidarietà, tanto per gli uomini quanto per le donne. Per rispondere agli imperativi della nuova, nascente morale proletaria, queste condizioni devono essere fondate su tre principi basilari: 1. uguaglianza reciproca (nessuna predominanza maschile, né schiavitù e annullamento della personalità della donna nei rapporti d’amore); 2. riconoscimento reciproco dei diritti dell’altro, il che esclude la pretesa di possedere interamente il cuore e l’anima dell’altro (sentimento di proprietà creato e conservato dalla cultura borghese); 3. sollecitudine da compagni, attitudine ad ascoltare e comprendere i moti dell’animo dell’essere caro (la cultura borghese esigeva questa sollecitudine nell’amore unicamente da parte della donna). Pur proclamando i diritti di “Eros alato” (l’amore), l’ideologia della classe operaia subordina l’amore reciproco tra i membri della collettività ad un sentimento più imperioso: l’amore-dovere verso la collettività stessa. Per quanto grande sia l’amore che lega i due sessi, per quanto numerosi siano i legami di cuore e di spirito che intesse tra di loro, i vincoli dello stesso tipo con l’intera collettività debbono essere ancora più forti, più numerosi, più organici. La morale borghese esigeva: tutto per l’essere amato. La morale proletaria prescrive: tutto per il collettivo. Rigettando la «morale» borghese nel campo dei rapporti amorosi e coniugali, l’ideologia proletaria non può non forgiare a sua volta la propria morale di classe, le sue nuove regole nelle relazioni sessuali, meglio rispondenti agli interessi della classe operaia. Nella misura in cui si tratta dell’amore forgiato e sviluppato dalla cultura borghese, incontestabilmente il proletariato strapperà molte piume alle ali dell’Eros di formazione borghese. È chiaro che in luogo delle vecchie, l’ideologia della classe in ascesa saprà sistemare nuove piume sulle ali di Eros: e saranno piume di una forza, di una bellezza e di una lucentezza ancora mai viste. Se, nei rapporti d’amore, la passione cieca, assorbente, esigente, perde vigore, se il sentimento di proprietà e il desiderio egoista di vincolare a sé «per sempre» l’essere amato deperiscono, se la prepotenza maschile e la mostruosa rinuncia della donna al proprio io scompaiono, si assisterà allo sviluppo di altri preziosi aspetti dell’amore: il rafforzamento del rispetto della personalità dell’altro, la attitudine a prendere in considerazione i suoi diritti, lo sviluppo della comprensione reciproca, la crescita dell’aspirazione ad esprimere l’amore non solo con i baci e le carezze, ma anche con l’azione congiunta, con l’unità delle volontà, con la comune opera creativa. Il compito dell’ideologia proletaria non è quello di scacciare Eros dai rapporti sociali, ma solamente quello di riempire la sua faretra di frecce di nuova tempra, di educare il sentimento dell’amore tra i sessi nello spirito della nuova grande forza psichica: la solidarietà fra compagni.
di Aleksandra Kollontaj
 

Nessun commento:

Posta un commento