menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

giovedì 2 novembre 2023

L'umanità “canina” secondo Luc Besson

Con “Dogman”, nelle sale dal 12 Ottobre 2023, Luc Besson, il regista, sceneggiatore e produttore nato a Parigi nel 1959, ci consegna un'opera stilisticamente perfetta per quanto riguarda il ritmo narrativo, lo scavo psicologico dei principali protagonisti delle vicende rappresentate, una descrizione della pessima qualità etica rintracciabile in alcuni microcosmi umani della società contemporanea,  i chiari riferimenti alla “banalità del male” [[1]] declinato come vendetta per soprusi subìti, laddove si perde la misura umana di razionalità che può consentire di mandare avanti forme civili, dignitose di convivenza, quindi il film è ampiamente fruibile.


Tuttavia, resta difficoltosa da interpretare e, quindi, da apprezzare nell'interezza la “storia” che il film propone, di cui Besson è anche sceneggiatore, intrisa densamente d'emarginazione e riscatto, e la correlata, suggestiva “poetica” animalista che sollecita.

A nostro giudizio, il lungometraggio resta quasi insondabile nell'apparato dei princìpi sottesi, nella riflessione che implica il racconto in una fin troppo evidente, quasi edulcorata, agăpe, un convito intimo fra “amici” di specie diverse che vivono insieme una crudele sorte.

L'immanente metafora non è agevole da decodificare, perché lascia molto all'intuizione dello spettatore circa il “come” si sia potuta instaurare una relazione affettiva e solidale ed una conseguente efficace comunicazione, sincera e compartecipante, nonché operativa, tra il protagonista ed un gruppo di cani, anch'essi privati della libertà d'azione.

Il principale personaggio in una prima sequenza è interpretato da Lincoln Powell, il Doug in età infantile e preadolescenziale, imprigionato in gabbia con gli animali ed in un corpo martoriato; nel prosieguo del film, recita Caleb Landry Jones, il Douglas "Doug" che matura nel corso di frustranti vicende che lo attanagliano, compreso un amore profondo non corrisposto, peraltro legato ad una donna – la dolce e coinvolgente Salma, interpretata da Grace Palma - conosciuta in un ricovero per giovani senza genitori che contribuisce a motivarlo culturalmente convincendolo a dedicarsi ai testi di teatro e all'attorialità, interpretando diversi ruoli e tornando momentaneamente a godere di sprazzi di gioia.

Del resto, non poteva non accadere, viste le sofferenze iniziatiche di Doug, compresa la fuga della madre dall'insostenibile coartante situazione familiare, che l'innamoramento fosse concepito come disarmante e salvifico, e in seguito, come di prassi, destinato ad essere frustrato.

L'imprinting dell'originaria violenza del padre – Mike, interpretato da Clemens Schick - è purtroppo rinsaldato dalle esperienze dei duplici “abbandoni”, materno e da parte della donna della quale s'innamora.

Ancora bambino, dunque, all'inizio del film, Doug viene privato della libertà ed è gettato in una gabbia con tanti cani maltrattati anch'essi.

Il legame, certo possibile, con le bestie in cattività, alcune addestrate all'aggressività dal padre di Doug, psicolabile e violento, in combutta con il fratello maggiore Richie, interpretato da Alexander Settineri, emaciato cerebralmente, quest'ultimo, da una malintesa religiosità, è tratteggiato, nel racconto bessoniano grazie all'adozione di uno stile hollywoodiano. Infatti, il regista d'origine francese, congegna in modo spettacolare, introducendo alcuni effetti speciali, la possibilità di una complicità tra Doug e la sua nuova famiglia canina come effetto della mera prossimità, del comune e indegno maltrattamento fisico, della reclusione e denutrizione e di una condivisa condizione di completa abiezione e sporcizia.

È alla vicinanza fisica con gli animali, alcuni dei quali addomesticati per il combattimento, appartenenti, quindi, all'ordine dei carnivori, alla famiglia dei canidi, che Besson attribuisce il “miracolo” dell'intesa. É la stessa condizione sopravvivenziale, ci dice il regista, che causa l'alleanza tra il fanciullo ed i cani.

Questo ibrido nucleo familiare in catene ed ospitante nel quale è precipitato Doug, comprende cani di statura media o piuttosto piccola, corporatura diverse. Doug è attorniato da teste allungate e a punta, con rinario spazioso, umido, e orecchio triangolare, eretto e in generale non esageratamente grande; è accarezzato da code di lunghezza media e comunque non toccanti terra, ben rivestite. Sono cani febbrilmente indaffarati nello scampare da pericoli ed insidie, nel salvarsi la pelle, aiutandosi vicendevolmente.

Questi cani abbandonati e resi galeotti, di specie differenti, di colore più o meno fuligginoso, rappresentano una vera comunità impegnata nella prima socializzazione dell'imberbe Doug, liberatoria dall'oppressione paterna.


I cani che circondano il disperato e rabbioso Doug hanno la capacità di attendere e ascoltare, di misurarsi con il dolore e le fatiche, abilità che egli ha momentaneamente perso e che loro, istintivamente, aiutano a far recuperare, alleviando ferite fisiche e morali.

Doug, collaborando con essi, fa arrestare il padre e il fratello ed insieme si affrancano dal giogo, ma non dalla solitudine. Sono stati per tanto, troppo tempo in essa reclusi restando per sempre out, intossicati da una gran quantità di crudeltà metabolizzata.

La postura esistenziale di  Doug si configura come rigetto dell'umana identità, dapprima, grazie alla forzata convivenza con i cani, poi diviene convinta preferenza del mondo canino rispetto a quello civile e, crocifisso su sedia a rotelle, intraprende un cammino dalle tinte oscure, feroci, nonché catartico.

Appare come una riedizione splatter, simile al “peggior” Quentin Tarantino – chi ricorda, del regista statunitense,  Le Iene - Cani da rapina un film del 1992 ? - dell'antico Ginnasio di Cinosarge, il luogo di riunione dei giovani ateniesi figli di madre non cittadina in cui insegnava Antistene, o dallo stile di vita (κυνισμός) ad «imitazione del cane» che i cinici professavano.

É l'iniziazione alla vita di un uomo scisso, schizofrenicamente propenso  alla “giustizia” riparatrice di torti che non lo riguardano necessariamente personalmente – riesce, ad esempio, a sterminare, con l'aiuto dei suoi killer-cani, una intera banda di criminali – con a capo El Verdugo, interpretato da John Charles Aguilar - che taglieggiava una commerciante -, da un versante, e, dall'altro, si dedica con trasporto spirituale al canto in un elegante locale ove si esibiscono travestiti, travestendosi lui stesso assumendo le sembianze d'una sosia, malinconica ed in carne, di Marilyn Monroe in sedia a rotelle.

La violenza, non gratuita, come invece fa capolino in Pulp Fiction (Tarantino, 1994)  volutamente e necessariamente eccessiva, geometrica, a volte farsesca è l'elemento che Besson introduce in modo da rappresentare una convergenza tra le sensibilità in gioco, quella canina e quella umana. Tale amalgamato dissimile “sentire” sembra fondersi in un paradossale dominio razionale sulle passioni, divenendo una sorta di predicazione da attuare nella restante porzione di vita.

Non è però chiaro come questa metamorfosi possa psicologicamente avvenire, come empaticamente si possa generare la simbiosi che il film si sforza di raccontare, tra Doug ed i cani. Più comprensibile è lo stato di dissociazione psichica che lo fa transitare dall'identità di un Dottor Henry Jekyll al suo alter ego, Mister Edward Hyde [[2]], evolvendo fino alla catarsi finale.

Questo vuoto del racconto fa smarrire il senso degli avvenimenti, tumultuosi ed avvincenti come sono nella loro autonoma successione, bensì del tutto privi di valenza etologica ed antropologica.

Più realistico ci appare l'approccio dell'omonimo film “Dogman” (2018), diretto da Matteo Garrone, nel quale il riscatto morale avviene in modo trasparentemente giustificato, senza escludere quegli aspetti duri e cupi, rischiosi e violenti, “veristici” e di espiazione che a priori escludono letture mitologiche, essendo, tra l'altro, ispirato ad un lontano fatto di cronaca nera. In questo caso, il rapporto con i cani è generato dal loro essere accuditi amorevolmente nel negozio di toelettatura. Si ricorderà che il film di Garrone inizia con il ringhio di un pitbull da combattimento e con il terrore contrapposto degli altri cani chiusi dentro le gabbie del negozio, enucleando così quelle dinamiche di sopraffazione e sottomissione che sono la regola di vita del quartiere.


L'assonanza del “Dogman” di Besson, invece, forse sussiste con il film “Joker” (2019) di Arthur Fleck, che narra di un attore comico fallito ed ignorato dalla società, vagante per le strade di Gotham City iniziando una lenta e progressiva discesa negli abissi della follia, sino a divenire una delle peggiori menti criminali della storia.

Le sequenze filmiche del “Dogman” di Besson condannano i cani a manifestazioni omologate quasi circensi, frutto d'addestramento e non d'esplicito, consapevole e confortante accordo empatico con Doug. Il gruppo di cani, inverosimilmente, agisce come una gang, risponde alle richieste del “capo” stratega, ed assumono condotte geometricamente efficaci.

A Besson piace pensare che ciò sia possibile, ma non spiega bene in quale modo possa accedere. Certo non basta riferire dell'afflato emotivo che li stringe a coorte, seppur contagioso.

Seguendo il film ci si sofferma ad ammirarli, ma non si fa in tempo a capire il “perché” i cani in questione non siano ostili all'ingresso in gabbia del fanciullo. Sembra che siano in grado di percepire il dramma e, quindi, lo soccorrono come fosse uno di loro, quando il padre, esasperato dal ringhiare del ragazzo, a dimostrazione della resistenza e preferenza per il mondo canino rispetto alla famiglia, gli spara addosso tranciandogli un dito della mano con una pallottola che rimbalzando perfora il midollo osseo impedendo, da quel momento in poi, la possibilità di deambulare e di stare in piedi.

Questo stato di estrema fragilità potrebbe inesorabilmente toglierli la vita se osasse eccedere nei movimenti o insistere immobile sulle gambe imbragate, da quel drammatico momento in poi, da apposite protesi metalliche.

I cani di Besson hanno sensi acuti, udito particolarmente fino e olfatto insuperabile; tra le loro facoltà intellettuali eccelle la capacità di adattarsi e imparare, facoltà che ha fatto di parecchi di loro i più fidati e indispensabili artefici di rapine ed omicidi eseguiti per devozione e referenza nei riguardi di Doug.

Vivendo ora allo stato libero, grazie a lui e, a seconda della specie, gregarî, oppure agiscono solitarî o a coppie, ormai sono girovaghi, bravi nuotatori, di abitudini notturne, crepuscolari o diurne. Predano animali vivi, uomini che Doug odia, esercitando talvolta il cannibalismo - come nel caso di soppressione dello pseudoassicuratore dei ricchi rapinati, Ackerman,  interpretato das Christopher Denham -, ma preferiscono le carogne; si contentano talvolta di ossa e perfino di escrementi.

In un certo qual modo Besson non tradisce se stesso considerato che ha esordito nel 1982 con Le dernier combat, opera ispirata al ciclo di Mad Max, in cui ha cominciato a mettere in risalto una personale visione della violenza.

Besson è stato spesso autore di un cinema che esalta la fisicità, in molti casi influenzato dai film d'azione hollywoodiani; al tempo stesso è però presente in lui una visione malinconica, quasi pessimista dell'esistenza. Il tema della difficoltà di comunicazione tra gli individui e un atteggiamento disperatamente romantico vengono estremizzati in Subway (1985), Nikita (1990) e soprattutto in Léon (1994), The fifth element (1997) e Jeanne d'Arc (1999) [[3]].

In modo coerente con il suo sentire la vita, va ricordato anche che è stato anche autore dei documentari subacquei Le grand bleu (1988) e Atlantis (1991).


La sua lettura della realtà sociale, non costituisce un impedimento all'aspirazione manageriale che si concretizza nel 2000, quando fonda la Società di produzione e distribuzione EuropaCorp con l'intento di sviluppare una nuova corrente cinematografica per il grande pubblico.

Dopo Anna (2019), Besson riprende quest'anno a narrare le forme dell'amore e dell'odio, le contraddizioni intime che alludono alla pietas convivente con la degradazione umane, le forme di purificazione e d'aspirazione al bello e al buono, la transumanità che sui corpi “diversi” meglio sembra insediarsi e brillare, con un ammirevole ed efficace piglio descrittivo.

La capacità analitica di Besson si coglie, in particolar modo, nella fitta comunicazione tra Evelyn, interpretata da Jojo T. Gibbs, la psichiatra con la quale il protagonista adulto del film, acciuffato dalla polizia, parla e convintamente si concede alla rammemorazione delle prove estreme che la vita gli ha imposto d'affrontare e superare, in una dialogicità importante che si nota anche o soprattutto dagli sguardi che accompagnano silenzi reciprocamente indagatori consentendo di desumere le affinità elettive di entrambi in quanto depositari di laceranti dolori.

Un ragazzo, Doug, “ucciso” dalla vita, trova la sua salvezza e maturità attraverso l'amore dei e per i suoi cani. La psichiatra Evelyn, lesa dalla personalità del marito, allontanatosi perché dedito all'uso di droghe, che la perseguita rivendicando la figlia, riversa tutta la protettiva  tenerezza di madre sulla piccola per non perdersi in un fallimento che resta fuori dall'uscio di casa.

Si percepisce nettamente l'odore del dolore che tra loro si diffonde durante i colloqui, dolori personali eppure condivisi immediatamente. Ciò da sollievo, grazie agli ancoraggi prescelti, gli animali per Doug, la figlia per Evelyn. Il dolore ristruttura la gerarchia dei “valori” in forma tale da trasformare l'approccio cinico e banditesco in generosità robinhoodiana. Fin qui, il compito è svolto egregiamente da Besson.

A nostro avviso, non sussistono, però, le condizioni di identificazione da parte del pubblico, come quando si resta storditi un pò di fronte ad una policroma tela che attira gli occhi, della quale s'intuisce, però, la pura enfasi decorativa dell'artista.

Il patimento del protagonista di “Dogman” si trasforma in esaltazione eroica ed egotica, comprensibilmente, tuttavia, in relazione alla “storia” come essa è narrata, il termine “persecuzione” avrebbe potuto risuonare  in modo molto più acuto.

Con le mortificazioni che Doug subisce per lo stato di menomazione, sarebbe stato più persuasivo, più appropriato, comportando le vicende profonde ferite psicologiche arrecate da terzi, indirizzare le energie del protagonista verso obiettivi davvero salutari e non suicidari.

La mortificazione ha un suo valore implicito nella misura in cui pone di fronte ad un problema da superare. Il successo o meno in relazione a questo sforzo riabilitativo può spingerci verso una vita degna d’esser vissuta o nelle pastoie del disturbo nevrotico.

                                                                                               Giovanni Dursi


Scheda film

“Dogman”, film di Luc Besson con Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Christopher Denham, Grace Palma, Clemens Schick. - Genere: drammatico - 2023

Produzione:

Virginie Besson-Silla, LBP, Europacorp, TF1 Films Production

Durata:

114’

Lingua:

Inglese

Paesi:

Francia, USA

Interpreti e personaggi:

       Caleb Landry Jones: Douglas "Doug"

     Jojo T. Gibbs: Evelyn.

     Christopher Denham: Ackerman.

     Clemens Schick: Mike.

     John Charles Aguilar: El Verdugo.

     Grace Palma: Salma.

     Alexander Settineri: Richie.

Regia e sceneggiatura:

Luc Besson

Fotografia:

Colin Wandersman

Montaggio:

Julien Rey

Scenografia:

Hugues Tissandier

Costumi:

Corinne Bruand

Musica:

Eric Serra

Suono:

Yves Levêque, Guillaume Bouchateau, Aymeric Devoldère, Stéphane Thiébaut, Victor Praud

Effetti visivi:

Mikros Image / MPC

 



[1] La definizione è debitrice del sublime scritto “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” (1963) di Hannah Arendt (1906-1975), filosofa tedesca, allieva di Heidegger e Jaspers, emigrata nel 1933 dalla Germania in Francia a causa delle persecuzioni contro gli ebrei. Trad. it. Feltrinelli Edirote, 1992.

[2]  Rif. al racconto gotico di Robert Louis Stevenson, Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, 1886.

[3] Vanno ricordate, altresì, tra le sue opere: Angel-A (2005); Arthur and the Minimoys (2006); Arthur et la vengeance de Maltazard (2009); From Paris with love (2010); The extraordinary adventures of Adèle Blanc-Sec (2010); Arthur et la guerre des deux mondes (2010); The Lady(2011); Taken 2 (Taken. La vendetta, 2012); The Family (Cose nostre - Malavita, 2013); Lucy (2014); Valerian and the city of a thousand planets(2017); Anna (2019); da ultimo, Dogman (2023).