menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
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giovedì 5 dicembre 2019

«Occāsŭs» di Diomira Gattafoni (Edizioni Tracce, Pescara, 2019)

Il termine occāsŭs vuol riferirsi, nel medesimo momento, al tramonto, al declino, alla rovina, all'occidente e all'occasione. Tutte le accezioni (… Niente di sorprendente accade a chi scrive. Si muore pensando alle parole, scrive, in LINGUE MORTE, con appassionato pragmatismo, l'autrice di «Occāsŭs», Edizioni Tracce, Pescara, 2019), non tanto e non solo per una perizia etimologica, sono dentro la silloge poetica di Diomira Gattafoni, opera d'esordio contraddistinta da un'evidente, fisiologica, originalità d'invenzione e di riflessione propria di versi che l'autrice dona, cercando manifestamente un contatto non banale con il lettore, cesellandoli in modo erudito.

I componimenti fanno i conti, alludendo al fotogramma aurorale della conseguita consapevole maturità di donna, con la scrittura smart e performante di aedi improvvisati. I testi di tal fatta socialmente egemoni, adatti all'attuale “mercato della bellezza” ed avvezzi al permanente happing pseudoculturale, sono messi in ombra, senza timore alcuno, dall'impegnativa tenzone che Diomira Gattafoni con «Occāsŭs» ingaggia vincendo su criteri di scrittura e lettura piegati alla volgarizzazione dell'arte poetica come luogo di elitaria, edonistica socializzazione e, fatto ancor più importante, convincendo il lettore.

Il paradosso d'una coraggiosa estraneità mai saccente che riverbera autenticità e purezza, in modo sublime, viene così espresso in ANNI LUCE: Sento di non appartenere al mio tempo, Sento che il mio tempo non esiste. Una menzogna intrappolata nell'etere, Una menzogna che non so definire ; le risonanze affettive e spirituali dell'essere nel mondo sono intenzionalmente ed apprezzabilmente consegnate all'estro creativo. Le immanenti “possibilità” della prosa poetica di Diomira Gattafoni, quindi, si dispiegano ridisegnando ed arricchendo la gamma di significati che raggiungono, per questa via, l'universalità del sentire, emancipandosi, in forma gradualmente esuberante, dalla robusta radice biografica.

I ventisei componimenti brevi, alcuni brevissimi, quasi sperimentali haiku, di Diomira Gattafoni, infatti, sono densi, non solo letterariamente, non inclinano affatto al compiacimento di invadenti committenti. Essi, non del tutto estranei alla tradizione post-crepuscolare (… Sempre amico imperfetto, Adesso aoristo disseminato di stelle cadenti …, scrive Gattafoni ne IL TEMPO, lirica d'apertura della raccolta oggetto della presentazione), si candidano, altresì, ad indicare una coraggiosa possibile fuoriuscita da un lungo processo di dissoluzione di forme artistico-letterarie dominanti in Italia.

L'opera cerca palesemente inediti sentieri verso universi linguistici efficacemente votati all'apertura di “senso” del dire e della narrazione poetica, ma – soprattutto – dell'esistenza (come l'autrice verga con enfasi nell'aforistica SIGIR: Amicizia, che grande parola, quella che unisce voi umani disumani. Terribile la vostra storia di ipocrisia e di sopraffazione. Non c'è azione innocua negli adulti che possa rispondere al solo Amore. Amore, Amore, Amore ch'a nullo amato amar… Perdona! Chi perdona?), in maniera anche spietata, morale, scuotendo lo spirito, lodevolmente, senza concessioni alla “maniera”. Scrive l'autrice in D’INCANTO: Vorrei fotografare d'incanto Ogni scorcio adombrato Della tua anima. Sospirare ogni tuo respiro Avvolta nel manto della tua presenza; null'altro che conoscenza e frequentazione degli “altri”, comprensione e confidenza indispensabili a ripudiare e contrastare l'inerte ripetizione di aridi antropologici luoghi comuni.

«Occāsŭs», tuttavia, non esaurisce il suo pregio nella ricerca prospettica d'una prosa poetica come indirizzo estetico nuovo; tutt'altro (citiamo nuovamente, esemplificando, da ANNI LUCE: “ … Sento di aver attraversato tutti i meandri del mio tempo. Quello rimasto abita nel vuoto cosmico. Dimmi che non ti sto cercando invano, mia amata Libertà ...).

L'autrice, usa il linguaggio alto, aulico (come in IMITATIO IMITATIONIS con i corroboranti, espliciti riferimenti a Diogene Laertio, Omero e Tommaso Campanella; come in AΔΙΆΦΟΡΑ, con l'esaltante verso di chiusa pregna di suggestione epica: ... La morte si profila ecosistema che funziona a decomporre gli alibi dell'amore; come in [N]EGO o in LIMES VITAE ed altre liriche contenute nella raccolta) non solo perché lo conosce perfettamente, ed è ermeneuticamente attrezzata, bensì per riconnettere le sensibilità del presente, devastato da sincopati neologismi e da prepotente colonialismo lessicale, alle autentiche radici greco-latine ed etrusche dell'VIII secolo a. C.; tali etimi scaturiscono dai vari antichi sermo plebeius trovando nell’insieme delle varietà un coagulo di convergenze idiomatiche tanto ancestrali quanto genuine in una lingua in grado di programmare il riscatto del “dire” e del “pensare” dal reiterato rischio dell'omologazione ideologica e dello stesso spazio intimo.

Uno degli oggettivi pregi dell'opera risiede proprio nella mirabile amalgama che i versi realizzano tra l'essenza immateriale (il pensiero; il riferimento emblematico è alla splendida TOTENTANZ: Leggevo di un tronco legato alla scure di un desiderio ghiacciato. Il sole lo strinse per il cuore di sughero condannandolo a bruciare. Il ghiaccio che avvampa si chiama amore. Danza solitario il gas nobile gonfio di nomi che sono stati vivi.) e la dimensione tangibile (visibile e sonora) delle parole scritte, come in SANGUE FREDDO (… Non c'è nessuno con cui poetare), in CATASTERISMO DELLA FINE (… Beviamo il giorno, ingoiamo la notte con un nome buttato al vento degli eventiAndiamo nell’ombra dove il sole può violentare dove le tenebre resistono inoffensive al vanto della luce che ci strugge perduti e vinti ...), in DIVINA PAX ( … L'aroma terso che attutisce la più cupa malinconia disarma la contesa ed annuncia la pace dei sensi. L'armonico gusto è l'inestimabile meta dal fulmineo approdo nel senso della pace: regno di satiro e di baccante dell'autentica natura).

«Occāsŭs» è l'opera che svela e trova Diomira Gattafoni pronta ad uscire dal cono d'ombra rappresentato dai non-sense costruiti di Antonio Porta, dal solido “realismo” descrittivo di Elio Pagliarani, dall'esuberante, infocata “narrativa poetica” di Edoardo Sanguineti, intrisa di sapori concettuali e sarcastici, per costituire una soluzione di continuità rispetto alla già corrosiva lirica crepuscolare che ha saputo rifiutare la poetica dannunziana, superomistica e mitizzante, preferendo cantare, in forme dimesse e colloquiali, la stanca condizione umana, o la chiusura nel proprio silenzio personale. Diomira Gattafoni, al contrario, non intende essere passiva rispetto al coriaceo potere della realtà, vuole agire - conscia e insoddisfatta - su di essa, sulla falsariga dell'incomparabile Ada Merini, a sua volta assimilabile allo stile letterario di Dino Campana, procedendo per accostamenti di immagini – riuscendo nell'ardua e gratificante saldatura di ῎Ερως, πάϑος, ἦθος e λόγος -, senza il sostegno di alcun stereotipato collegamento logico, rivelando, viceversa, ad una seconda necessaria lettura, un'identica “fantastica irruenza” saldata ad una genuina esigenza narrativa che l'accomuna senza dubbio alla poetessa milanese.

In LABIRINTO (Pensieri girovaghi si insinuano nell’antro di un uscio precluso. Prospera l’anima autodistruttiva, apice di ogni negazione: ricordo che non potevo volere … Spingevo più in là il destino di detenzione senza sollevare l'ostacolo dell'inibizione ...), la trentaduenne poetessa abruzzese condensa saggezza ed arte, il saper fare e il saper diventare, la ragione che allontana e il corpo che attira, in un guardarsi sincero dentro che diventa cifra dell'umano trascorrere e fonte genuina della sua ispirazione.

Il lettore resta attonito, rilegge avido e resta nell'entusiastica attesa di altri capitoli a venire (… questo occāsŭs è pien di voli ..., Carducci) in un tempo non lontano nel quale il sole di questa scrittura pare non debba tramontare.

Giovanni Dursi



Il testo qui pubblicato appare nel volume come postfazione




lunedì 13 agosto 2018

Claudia Provenzano, scrittrice di nitido talento

Claudia Provenzano è autrice del romanzo Le ragioni degli altri, ma non solo: ecco infatti la sua bibliografia.


Storia di Miryam (2007- pubblicato da Armando Curcio nel 2016)- vincitore del premio Franz Kafka Italia 2017, è la storia laica e profana della maternità di Maria di Nazareth, nota come la madre di Gesù, senza arrivare però a toccare il momento della natività. In questo libro la sua figura di donna è resa utonoma, completamente svincolata dalla quella del figlio cui è tradizionalmente sempre associata. Storia di Miryam è una ricostruzione letteraria della biografia di Maria e della sua gravidanza spiegata attingendo alle fonti storiche del Vangelo e dell’Antico Testamento, senza fare alcun riferimento a spiegazioni divine e spiritualistiche. Maria è la controfigura reale dell’icona eterea della Madonna della tradizione religiosa cattolica. E’ una giovane donna di spiccata sensibilità esistenziale, che si interroga sulle credenze e i costumi del suo tempo, sui principi teologici del bene e del male e sull’esistenza di Dio con la freschezza di un’intelligenza incontaminata, fino a sfidare con determinazione, non senza paura, le convenzioni e le regole imposte dalla cultura patriarcale dell’epoca. In questa storia si disegna il profilo di una ragazza di quattordici anni dai tratti umani e del suo amore per Gabriele, un ragazzo reale, in carne ed ossa. Si narra del concepimento naturale e illegittimo di un bambino e della difficile scelta che Maria, nel contesto della società ebraica antica, con la complicità di Giuseppe, l’uomo onesto, generoso e lucidamente razionale che le fu destinato in marito, compie per salvare se stessa e il suo bambino. 
Miryam è la ragazzina ebrea narrata nei Vangeli in pochi scarni passaggi il cui profilo e le cui vicende vengono ricostruite dall’immaginazione femminile di una donna contemporanea che vede nell’amore terreno il vero senso dell’esistere umano e che trova nel libero arbitrio l’esercizio della propria ragione in relazione a domande metafisiche e alla fede. Una storia universale che va oltre il tempo per raggiungere ed entrare in risonanza con gli animi delle donne di oggi. Storia di Miryam è la storia del concepimento del figlio di Maria come non si è mai sentita prima.  Una giovane donna, due uomini, una madre, un’amica in un intreccio emozionante di amore, passione e ribellione.

Le ragioni degli altri (2015- pubblicato da Armando Curcio nel 2018) – Si tratta di un moderno racconto corale, in cui le vite dei vari personaggi si intersecano fra loro scambiandosi i punti di vista, parlando uno dell’altro in un reciproco gioco di specchi teso a dar voce alle ragioni degli altri. Tuttavia i vari personaggi non hanno lo stesso peso, ma si irraggiano da un unico centro, quella della protagonista, Clodel e di suo figlio. Un libro articolato sia per l’intreccio dei personaggi sia per l’incastro delle voci narranti. Strutturato su continui sbalzi narrativi dalla prima alla terza persona, conduce il lettore nel labirinto di un gioco prospettico fatto di salti dentro e fuori la psicologia dei diversi caratteri. Rovesciamenti del punto di vista che hanno lo scopo di fornire una rappresentazione a tutto tondo del personaggio, descritto sia dall’interno della sua soggettiva consapevolezza, sia dallo sguardo esterno più completo ed oggettivo di un ipotetico osservatore. Sono qui rappresentate, in uno spaccato di grande attualità, varie esistenze: storie di donne che concepiscono da sole i loro figli con l’inseminazione artificiale e di donne ebbre di autonomia che consumano gelide esperienze di sesso in una notte, storie di relazioni omosessuali, di trans-gender, di bulli e vittime di bullismo, di autolesionisti, di uomini-oggetto sessualmente usati come dispensatori di seme e di uomini figli del cambiamento dei tempi non più capaci di gestire la loro virilità, fino a tematiche più tradizionali come il delitto passionale, la sottrazione della patria potestà, l’adozione, l’occultamento della paternità biologica, l’adescamento e l’abuso di minori. Temi talvolta drammatici non privi di accenti ironici ed umoristici e mai caratterizzati da risvolti nichilistici. Il ritmo del racconto è spesso incalzante e la narrazione viene qua e là insaporita da momenti spiccatamente erotici e talvolta truculenti.

Libri in corso di stesura finale

Figli mancati (2017) : affronta le storie difficili di una serie di ragazzi con famiglie problematiche il cui trait d’union è la comune professoressa di psicologia di un istituto professionale: i ragazzi frequentano tutti, taluni negli stessi anni, taluni in anni diversi la stessa scuola. Daniel, il bambino ‘esposto’, figlio abbandonato davanti al negozio di McDonald che viene adottato dal poliziotto chiamato al momento del ritrovamento. I tre fratelli Arianna, Iacopo ed Elia, i figli di Giunone, tre fratelli sottratti dall’assistenza sociale alla madre obesa dichiarata incurante per le sue difficoltà a muoversi. Amal e Ikram, le ragazze senza velo, due sorelle algerine nate in Europa punite dal padre con la rasatura dei capelli per il rifiuto del velo. Agnieszka, la bambina ‘selvaggia’, bambina ucraina ritrovata dall’assistenza sociale allo stato selvaggio nel fienile della casa del padre, suo unico famigliare. Liang, il ragazzo nella cruna dell’ago, una studentessa liceale cinese nata in Europa sottratta alla famiglia dal padre per lavorare nella fabbrica nonostante i suoi risultati eccelsi a scuola. Danush, il ragazzo dei materassi, la storia di un bambino immigrato ad un anno con la madre dall’Albania, che dopo 12 anni di stenti morirà lasciandolo sulla strada. Bianca, la bambina di cera, la ragazza di famiglia borghese che scappa di casa e diventa una punk’a’bestia,


Libri in corso di seconda stesura

Le gravi madri (2017): Tre madri e i loro figli. Madri figlie di altre madri. Madri presenti, assenti, troppo presenti, ossessive, noncuranti, ipercuranti. Storie di vita che si intrecciano in un arco di tempo che va dagli anni ’70 del Novecento ad oggi. Storie di carriere in ascesa o in rovinosa caduta, storie di eterni adolescenti alla ricerca del proprio posto nel mondo, storie di amori e delusioni, di fedeltà e tradimenti, di gravidanze non volute, di adozioni mai rivelate, di distruttive battaglie legali per l’affido dei figli, di perfidi scambi di neonati nella culla, storie di stalking e di molestie pedofile, di ragazzi abusati, storie di senzatetto e di persone ai margini della società, storie di donne sole e di donne sempre alla ricerca. Storie tutte a loro modo segnate dalle tracce che, pur senza volerlo, “gravi madri” hanno lasciato sui loro figli. (“I nostri genitori hanno determinato  le nostre ferite, le nostre ferite ci sono genitrici”. James Hilman.)

Libro in corso di prima stesura

Il corpo parla: la vita di persone il cui malessere esistenziale si esprime attraverso il corpo.

Convenzionali ha il piacere di intervistarla per voi.

Da dove nasce Le ragioni degli altri? Che cosa rappresentano gli altri per lei?

Questo romanzo nasce dallo stupore per Le vite degli altri, che poi, in effetti, era il suo titolo originale. Ad un certo punto mi sono resa conto di aver collezionato un ventaglio variegato di storie di vita, osservazioni e testimonianze che avevo avuto modo di raccogliere nelle mie diverse esperienze di viaggio, nei miei studi all’estero, nel mondo dell’arte prima e dell’insegnamento dopo. Ogni incontro era per me una sorpresa, una gemma che ad attenderne l’apertura sbocciava sotto i miei occhi e a scrutarla mi rivelava il suo meraviglioso interno. Reale e immaginario. Ogni esistenza è un mondo denso e intenso che l’esperienza tesse col filo di seta, prezioso e resistenze, dei vissuti. Di questi mondi della nostra contemporaneità io volevo raccontare, fantasticare sulle loro ragioni. Perché non c’è verità nella nostra conoscenza. Ciò che cogliamo nelle storie delle vite degli altri non è che un’interpretazione soggettiva fatta della materia delle nostre credenze, delle nostre aspettative, dei nostri desideri e delle nostre paure, che vi proiettiamo dentro. E il romanzo è lo strumento che meglio coglie questa verità: verità interpretata. Dunque volevo ricostruire, inventandone le ragioni, le cause, l’origine, quelle vite che incrociando sulla mia strada mi avevano attratta, ammaliata, accalappiata.  E volevo renderle prototipo. Caso particolare che testimonia di tanti casi analoghi e simili, che ritornano sotto altri nomi ed altre fisionomie, ma che alla fine nel loro nocciolo essenziale si ritrovano nel minimo comun denominatore di un modello universale. Storicamente universale. Poiché ogni esemplare di vita è il precipitato storico della sua epoca. La lesbica, il transgender, il bullo, lo stalker, l’autolesionista, il pedofilo, il tossicodipendente, l’immigrato, il senzatetto, le donne single, le madri che concepiscono con l’inseminazione artificiale, le famiglie omosessuali, ricomposte, monoparentali… sono figure legate al loro tempo. Alcune sono sempre esistite ma assumono caratteri diversi a seconda dell’epoca in cui vivono, altre sono novità assolute sorte dalle innovazioni tecnologiche e culturali della modernità.


Parlando con le persone, scavando nei loro racconti, interrogando e frugando nei loro vissuti ci si rende presto conto che ogni esistenza non solo è un microcosmo complesso, un coagulo affascinante di emozioni, pensieri, bisogni e aspirazioni tutto da scoprire, ma anche che a seconda del punto di vista da cui la si guardi assume colori e forme diverse. E questo è il personaggio di un romanzo: il prototipo di una vita nella quale i lettori possono ritrovarsi. Più ci si addentra nella vita di un individuo, poi, più ci si accorge che, attraverso una fitta rete di relazioni, si intreccia a quella degli altri individui. Quelle vite degli altri che tanto mi intrigavano diventavano così un poliedrico gioco di specchi in cui l’essere di ognuno si definisce non solo in base a sé stesso, ma anche in base a ciò che gli altri vedono di lui. Ecco allora Le ragioni degli altri.

Dov’è la ragione quando si dialoga, si litiga, ci si lascia?


La ragione ha il suo luogo nel soggetto. Dunque non c’è una ragione, ci sono una, nessuna, centomila ragioni. È proprio questo che ho cercato di esprimere nel mio Le ragioni degli altri. Ed ho cercato di farlo tanto a livello dei contenuti quanto a livello narratologico utilizzando una voce narrante poliedrica, che continuamente balza da un narratore esterno ad uno interno, da un narratore che si rende complice del lettore ad uno che lo tradisce e balza fuori dal noi che prima li univa svelandogli dettagli e retroscena di cui lui solo sa.

La nostra è una società capace di empatia?


No. Sebbene le teorie sperimentali della psicologia abbiano verificato l’esistenza di neuroni specchio, il che dimostrerebbe il fatto che l’empatia è innata, tuttavia ogni comportamento innato nell’uomo, a differenza di quello animale che è rigido ed immodificabile, è plastico, modificabile in base all’esperienza che compie. L’apprendimento, la capacità di cambiare adattandosi all’ambiente, è infatti la caratteristica peculiare dell’essere umano, che non a caso ha predominato e vinto, indiscusso dominatore del mondo, su tutti gli altri esseri viventi. Pertanto anche l’empatia lo è. Modificabile, intendo. Se è vero che ha una base innata è pur vero che è modificabile dall’ambiente, dunque dal contesto storico-sociale in cui si esplicita. Nel nostro, nella società occidentale liberista, forgiato sul principio morale – e biologico– dell’egoismo, dove cioè la sopravvivenza sociale giustifica il primato dell’io sugli altri, l’empatia trova il suo spazio d’esistenza nella sfera del privato, nell’intimo delle proprie emozioni e dei propri affetti, ma nei confronti dell’altro in senso puro – l’estraneo –  no.

Il suo romanzo tocca molti temi: che importanza riveste al giorno d’oggi l’amore?

L’amore nel senso tradizionale del termine, nel senso in cui il filosofo Platone ha disegnato per noi all’origine della cultura occidentale, l’amore ideale, solido, eterno, l’unione con la metà mancante che ci completa, al giorno d’oggi, è utopia. Letteralmente, sentimento senza luogo.  È miraggio, desiderio etereo cui si tende. Cui ci si avvicina, lo si sfiora, forse si riesce a toccarlo perfino, ma che non si riesce ad afferrare e tantomeno a trattenere. Nella contemporaneità, per dirla con il sociologo Bauman nella società liquida, l’amore è esso pure diventato liquido. Non dura, galleggia sulla zattera di un sentimento che ci transita da una fase ad un’altra della vita, si consuma, ci consuma, e muore. E poi viene sostituito con uno nuovo, insieme a noi, che rinasciamo a nuova vita.  La legge e i costumi, che si adeguano al movimento del reale, sono cambiati e ce lo consentono. Ci legittimano a viverlo in questo modo senza più paure e sensi di colpa.

Il sesso? Il desiderio?

Il sesso da sempre è la vitalità che innerva la carne del nostro essere animale. È desiderio, brama. È piacere che conduce al benessere se appagato, frustrazione che conduce a malessere e all’aggressività se inappagato. Il sesso in senso più genuinamente freudiano è il desiderio per eccellenza, è l’energia che sta alla base di ogni nostra azione, di ogni nostra scelta, è ciò che ci muove, ci scuote, sbattendoci poi vilmente a terra o lanciandoci, sublimati, verso il cielo. Dipende da come, verso cosa canalizziamo quell’energia. Senza questa energia psico-sessuale non ci sarebbe l’arte (energia canalizzata nella creatività), la scienza (energia canalizzata nell’attività intellettuale), il volontariato sociale, la religione perfino. Il desiderio, con Freud, e con tutta la psicanalisi che ne segue, è sessualità. O meglio la sessualità non è altro che desiderio. Libido. Eros. Energia psichica che scorre nelle vene del nostro corpo. Perché corpo e psiche sono un tutt’uno. Non c’è l’uno senza l’altro. Non c’è vita senza desiderio. Ma nella nostra società della mercificazione, dove tutto è ridotto a merce, è anche la più preziosa merce di scambio e il più potente strumento di ricatto.

La colpa?

Colpa o senso di colpa? La colpa è il venir meno di una responsabilità che si è coscientemente e liberamente assunta. La si può riconoscere. La si può non riconoscere. Gli altri possono imporcela, scaraventandocela addosso come proiezione della loro propria assunzione di responsabilità, che però non ci riguarda. In questo senso, allora, ci sono due tipi di colpa. Una in senso morale, interna alla coscienza, quella che si è formata in noi con l’educazione dei genitori, che è puramente personale e non perseguibile. E c’è una colpa in senso legale, convenzionale, stabilita, oggettiva, quella che serve alla conservazione della società, e che perciò viene perseguita con la legge. Le due colpe spesso entrano in conflitto, si pensi al mito di Antigone.  È  ciò che sta alla base della distinzione fra diritto naturale e diritto positivo. Il senso di colpa invece è quel peso opprimente con cui la nostra coscienza morale ci schiaccia per frenare le nostre pulsioni (quell’energia sessuale di cui si parlava sopra) quando queste non riescono ad essere canalizzate e dirompono allo stato puro, nella loro più cruda animalità. Di questa animalità ho parlato in Le ragioni degli altri attraverso un paio di personaggi secondari, che compaiono fulmini e… fulminanti, proprio per la truculenza della loro pulsione non governata.

L’ossessione?

L’ossessione è la fissazione assoluta e coatta su un’idea. Alla sua origine sta ancora quella pulsione erotica, di cui abbiamo parlato prima, desiderio, mancanza che chiede di essere colmata. Quell’ energia psichica che muove, smuove, ci agita e percuote, che non può essere ignorata, ma che nondimeno può essere indirizzata. Può essere diretta verso oggetti vili e allora diventa malattia, pericolosa nevrosi, oppure verso oggetti nobili e allora diventa fonte di creatività e devozione. L’ossessione è quella che spinge ai suoi delitti il serial killer, ma è anche quella che muove in modo sorgivo la mano dell’artista, dello scienziato, del missionario. L’ossessione è il rapimento della psiche da parte di un’idea che dapprima si insinua e poi si insedia nella coscienza. È un assedio invadente e tenace, prepotente ed esondante. L’idea ti chiama a sé con seduttiva dolcezza, ti solletica l’orecchio, sussurra, suggerisce, ti invita a seguirla, e poi ti cattura. Pretende tutto per sé. Attenzione, tempo, cura. È tirannica come un neonato. (Ma ti è cara,  la ami). Non ti lascia mai, di giorno, di notte, entra nelle tue azioni, nei tuoi pensieri coscienti, in quelli inconsci, anima i tuoi sogni, ti penetra fra le fibre del corpo, si fa largo sgomitando in mezzo alle tue relazioni. Non hai un momento per i tuoi figli, per il tuo compagno, per i tuoi amici, non per Gabriele Ottaviani che ti chiede un’intervista. Non ti dà tregua. Finché non l’hai divorata, spolpata, ridotta al midollo, finché non l’hai consumata, finché non ne è rimasta neanche una briciola, non puoi fare altro.

Poi, ti senti bene. Come dopo un parto.

La violenza?

È ancora una pulsione. È una delle modalità in cui la nostra energia psichica si manifesta.  Violenza è la pulsione sessuale (desiderante, libidica, erotica) che non riuscendo a trovare una via ‘umana’ per sfogarsi in modo alternativo, si sfoga in modo arcaico, bestiale. La violenza non è solo fisica ma anche psicologica, e questa, fra le due, di certo è la più subdola perché non porta la stigmate di un livido, di un’escoriazione, di un braccio rotto, e nondimeno comporta sofferenze anche più gravi.

La paura?

La paura è il senso di impotenza di fronte ad un pericolo che mette a rischio la nostra vita, pericolo individuato che sappiamo riconoscere come tale e dal quale possiamo pertanto tenerci a distanza. La paura non è dei vili è degli oculati, è lo strumento di cui ci equipaggia la biologia per difenderci dal rischio e tener salva la nostra vita. Chi non ha paura non è coraggioso come si crede, bensì un avventuriero che non ha cara la vita.

La speranza?

La speranza è il peggiore dei mali. Fra tutte le emozioni e i sentimenti umani è quella che resta sul fondo del vaso di Pandora, proprio perché la più temibile. La speranza induce ad attendersi qualcosa di meglio eppure è vano aspettarsi un futuro migliore perché nel momento in cui si realizza ci delude sempre, perché nella speranza noi proiettiamo tutti i nostri desideri impossibili.  E la delusione ci abbate, ci schianta al suolo, ci ammazza. Tuttavia l’uomo non può vivere senza questo effimero sentimento perché è ciò che ci proietta verso il futuro e, come ci ha insegnato l’esistenzialismo, non c’è presente senza tensione verso il futuro.

Il dolore?

Il dolore è mancanza. Vuoto, lacuna, fame. È il bisogno non appagato, è frustrazione, gioia mancata, privazione. È illusione delusa.

Il pregiudizio?

Il pregiudizio è uno stereotipo sovraccaricato di un giudizio di valore assoluto. Buono-cattivo, bello-brutto, sano-malsano, giusto-ingiusto. Lo stereotipo non è altro che uno schema irrigidito che non ammette eccezioni.  Se lo stereotipo è il cemento armato nel quale rimaniamo imbrigliati poiché inibisce la nostra curiosità, la spinta ad esplorare e a conoscere tutto ciò che è nuovo, ovvero ciò che fuoriesce dagli schemi, il pregiudizio ci autorizza a disprezzare, ovvero allontanare ed annientare, ciò che è diverso da noi. Nuovo e diverso si identificano nella nostra mente nel minimo comun denominatore di ciò che è ignoto e che in quanto tale temiamo. Tant’è vero che quando ci avviciniamo e curiosi ci lasciamo andare all’esplorazione di ciò che non conosciamo ecco che, visto da vicino, ci diventa familiare e non ci spaventa più. Stereotipi e pregiudizi nascono dalla paura dell’ignoto e del diverso, e dal bisogno di autoaffermazione di chi, sapendo di valere poco o nulla, non trova alto modo di prevalere se non affondando gli altri. Facile.

Perché scrive?

Scrivo per eccesso di libido. Sempre in senso psicanalitico, intendo. Desiderio, voluttà, bisogno vitale. Scrivere è una forma d’arte. Tutta l’energia che a fiotti mi scuote, sopraffacendomi con un eccesso di vitalità, io la scarico nello scrivere. Questa è la fonte del perché su cui mi interroga. La meta è il lettore. La possibilità di entrare in risonanza con gli altri attraverso le mie parole, veicoli di umani sentimenti e pensieri e desideri che agogno condividere con gli altri. Cosa possibile se il personaggio funziona, se è credibile, se è riuscito. Per dirla con Hemingway, un personaggio è riuscito se riesce ad essere umano. Solo così si innesca quel fenomeno psicologico definito identificazione.

Qual è il ruolo dello scrittore nella contemporaneità?

Bella domanda. Qual è il ruolo dello scrittore nell’epoca contemporanea non saprei dirlo. Ci sono tanti ruoli, così è sempre stato, in base alla poetica letteraria che lo ispira. Non c’è un ruolo che la società gli possa delegare, non in un paese libero almeno. Non c’è un unico ruolo che i lettori gli richiedano di svolgere perché ogni lettore è diverso dall’altro e cerca nella lettura cose diverse. Potrei dire quale vorrei che fosse il mio. Cioè: il narratore delle vicende umane.  Vorrei riuscire, e vorrei riuscirci davvero bene, a dare voce alle emozioni, ai pensieri, ai sentimenti, alle ambizioni e ai cedimenti che impregnano quelle vicende e farne di ognuna un prototipo nel quale i lettori possano riconoscerci. E perciò sentirsi meno soli e meno insignificanti nel marasma e nell’infinita sconfinatezza dell’esistenza. Io cerco questo.

Qual è la situazione culturale italiana?

Domanda da porre ad un sociologo. Per poter rispondere dovrei fare una ricerca storica e sociale, attingere alle statistiche di enti accreditati, rielaborare tutti questi dati raccolti, rifletterci sopra e infine riuscire ad elaborare una tesi mia. Cosa che richiederebbe troppo tempo ed io il mio lo impiego per scrivere e per compiere ricerche sui soggetti di cui scrivo. Se mai scriverò un libro che abbia a che fare con la situazione culturale italiana le risponderò.  (ride)

Il libro e il film del cuore, e perché?

Ho un libro ed un film del cuore per ogni fase della mia vita. Nel momento in cui ho scritto Le ragioni degli altri il libro era Il bacio della medusa di Melania Mazzucco, perché ho sentito risuonare nella sua la mia scrittura: quella tensione della creatività per cui le parole si riversano in modo alluvionale dall’anima. L’abbondanza delle emozioni che tracimano dai pensieri, la ricchezza della frase non secca, non anoressica, ma grassa di aggettivazioni, di figure retoriche, di ridondanze, di attenzione alla melodia, alla sonorità delle parole. Affinché affiorino sfumature, slittamenti di senso, evocazioni. Un romanzo in cui la potenza della parola sia affidata alle briglie capaci dello scrittore, pur senza togliere spazio alla libertà di immaginazione del lettore. Perché non è solo con l’asciuttezza dell’eloquio, con l’alveo vuoto della parola, che si può scatenare l’immaginazione. Concepisco il romanzo come il luogo in cui chi legge può scivolare nelle parole come sulle onde di un mare che non si assopisce, indugiando su quelle che più sente affini, affezionate o affascinanti per usarle come trampolino per la propria creatività immaginifica e lanciarsi “verso l’infinito ed oltre” (per citare un famoso cartone animato). Il film, per sua natura più sintetico ma anche più visivo, non è stato uno solo. Ma in quel periodo pensavo molto a America oggi e The Hours, per l’intreccio dei personaggi, per la molteplicità poliedrica dei punti di vista, per l’architettura narrativa e a Pulp Fiction, per gli aspetti di violenza parossistica cui mi sono ispirata.

By Gabriele Ottaviani

Convenzionali

domenica 29 ottobre 2017

Nicola Mariuccini: Nighthawks

Un locale che si riempie di avventori silenziosi o desiderosi di fare quattro chiacchiere; un barista che sa offrire il cocktail giusto per ogni momento. Ci troviamo a Monsaraz, in Portogallo, in una nazione ancora alle prese con la memoria del proprio recente passato. Nicola Mariuccini, con una “ragnatela” intessuta con una fitta trama di dialoghi, ci introduce a una sequenza di eventi che possono mettere in forse anche le vite apparentemente più solide.
copertina del romanzo Nighthawks di MariucciniNelle grandi epoche di crisi e di passaggio assistiamo a una trasformazione del linguaggio che non sembra più in grado di fare presa sulla realtà.
Parole, espressioni e paradigmi, che fino a ieri riuscivano a render conto di una situazione e si mostravano fondamentali sul piano della comunicazione, appaiono improvvisamente inutili.
Uno degli aspetti più sconcertanti di un’epoca di passaggio è, a ben vedere, proprio la difficoltà a raccontarsi, a narrarsi e a offrire un ordine del discorso che si faccia atto di conoscenza e di progettazione politica.
La filosofia – così come la sociologia – e la letteratura sono, in questi passaggi storici, frequentazioni quanto mai utili, perché contribuiscono all’azzardo di narrare il nuovo, intuire il mutamento e costruire “ponteggi” per avvicinarlo.
Questo sforzo di avvicinarsi a ciò che ancora non è definito produce, nei casi migliori, un patrimonio di parole, espressioni e formule che finalmente ci aiutano a capire che cosa sta accadendo, e contribuiscono a “assegnare un nome” ai fenomeni che si stanno preparando.
Dove ci conduce, quindi, la lettura di questo romanzo di Nicola Mariuccini?
Citazione 1
Ma scusi lei non era un letterato, un uomo di letteratura, un poeta?”.
Signorina Angela, per tutta la sera ho cercato di spiegare che purtroppo non sono riuscito dalla poesia ad avere le soddisfazioni che forse avrei potuto avere”.
E quindi? Cosa ha fatto nella vita, l’agente segreto?”.
Fuochino, ho fatto il giornalista in una agenzia di stampa”.
L’Aginter Press!”.
Si, Caetano. Fare l’inviato per certe missioni richiede un addestramento particolare. Ora auguro a tutti la buonanotte”.
Il Nighthawks è un locale che deve il proprio nome a un quadro di Hopper. Il Nighthawks si trova a Monsaraz, in Portogallo e deve la sua fama alla volenterosa opera di un barista che insegue un sogno.
Le porte si aprono e la gente entra per fare i conti con i propri incubi notturni o con i sogni che non sempre trovano forza.
Alcuni avventori sono abituali fino al punto da creare una piccola comunità che trova il suo centro nella “filosofia” del drink: con gli occhi abbassati si sorseggia nel silenzio, scrutando il liquido che ci tiene compagnia; con gli occhi ben alzati si può ammirare la bellezza di una donna perduta o presente e incontrare gli altri, come amici per un tratto di strada, o come nemici da eliminare o evitare.
E così le serate passano, aggiungendo dettagli a dettagli, costruendo un quadro sempre più nitido dei personaggi che Mariuccini ci fa incontrare.
La realtà mostra crepe sempre più evidenti e tutto quello che sembrava chiaro assume un tono diverso.
Il Portogallo con la sua storia piena di violenza; la vita di un uomo che, nell’apparenza della sua tranquillità, nasconde intrighi di vario livello; donne segnate per sempre da incontri con uomini senza amore vero: una galleria di personaggi, tanti ingredienti ben calibrati per questo cocktail da definire con un solo nome, Nighthawks.
Il romanzo è tutto costruito da dialoghi diretti, senza alcun intervento a descrivere o commentare. È una tessitura di voci, di rimandi, di richiami; è una tessitura che vuole restituire il “sonoro” di personaggi che s’incrociano per bere qualcosa, di volti che si scrutano, di attese che si fanno pressanti. Una parola dopo l’altra, una conversazione dopo l’altra i personaggi si presentano nelle parole di chi siede appena accanto.
Citazione 2
Tu non fai testo, invece mi dica Caetano, ho sentito molte risposte diverse alla domanda su chi abbia inventato questo cocktail”.
Se ha sentito molte risposte è perché è un cocktail molto famoso e ognuno, pertanto, ne rivendica la paternità; una delle ipotesi più accreditate è che lo abbia inventato Cheryl Cook, la barmaid di un ristorante famoso che volle provare un nuovo prodotto, l’Absolut Citron, ma anche un barman italiano di cui non ricordo il nome ne rivendica la paternità, però…”.
Se è lecito giocare un poco con le parole, senza utilizzarle soltanto in occasioni di riflessione sull’oggi, si potrebbe dire che in una “società liquida” – formula questa che è quasi entrata nell’uso comune per designare alcuni aspetti della nostra epoca – il Nighthawks si presta in maniera perfetta a chiederci quale sia il cocktail della nostra esistenza.
Superate le barriere e le certezze ideologiche, venute meno le grandi certezze sociali e politiche dell’ultimo secolo, ci ritroviamo seduti, a volte allo stesso tavolo, a dover costruire un terreno comune di scambio che sappia tener conto del nostro passato e ci possa proiettare, senza troppe contraddizioni o rinunce, verso un futuro che abbia ancora qualche tratto di utopia.
Il quadro di Hopper richiamato nel titolo è forse quello più celebre dell’artista americano e offre, fin dal suo apparire nel ormai lontano 1942, un’atmosfera rarefatta e sospesa, con un effetto di luci che tiene insieme la solitudine dei protagonisti e il loro disperato bisogno di andarsi ancora incontro, di dirsi ancora una parola, di esercitare, almeno per una volta ancora, il proprio fascino e illudersi almeno di una possibile compagnia.
Nel finale del suo romanzo Mariuccini, uscendo infine dal chiuso del locale, ci ricorda con pochi tocchi e le giuste osservazioni dei protagonisti che la vita continua e che tanti ancora proveranno a inseguire i propri sogni. È tempo di andare, si direbbe; è tempo di uscire all’aperto e inseguire ancora qualche sogno.
Citazione 3
Può essere, ma in tutti i modi c’è qualcosa che non mi torna in questa vicenda”.
Ma quindi Caetano, spiega anche a me che di queste cose non ci capisco nulla, cosa vuoi dire? Secondo te perché montare un caso di stampa su una cosa che è lontana dalla verità?”.
Forse per evitare di riempire i giornali con ipotesi che potrebbero buttare fango sul governo?”.
Come se ne servisse altro; ora è esplosa pure la vicenda della laurea del premier”.
Sì, quella è proprio fantastica, ha provato a difendersi ma ha tirato in cattiva luce anche la facoltà che ha rilasciato il titolo”.
Antonio Fresa
mentinfuga
Nicola Mariuccini Nighthawks
Castelvecchi, 2017
Pag. 134; € 16,50

domenica 3 settembre 2017

Giorni selvaggi - Inizia la stagione torinese della letteratura internazionale

La grande stagione torinese della letteratura internazionale sta arrivando!
A partire da Settembre, il Circolo dei lettori con il Salone Internazionale del Libro portano a Torino il meglio della letteratura proveniente da tutto il mondo.
→ giovedì 7 settembre ore 21 | Circolo dei lettori RICHARD MASON Il respiro della notte (codice)
con Francesco Pacifico, scrittore
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→ lunedì 11 settembre ore 18 | il Circolo dei lettori FERNANDO ARAMBURU Patria (Guanda)
con Michela Murgia, scrittrice
in collaborazione con Guanda
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→ lunedì 11 settembre ore 21 | il Circolo dei lettori WILLIAM FINNEGAN Giorni Selvaggi (66thand2nd)
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→ martedì 12 settembre ore 18.30 | il Circolo dei lettori ELIZABETH STROUT Tutto è possibile (Einaudi)
con Elena Varvello, scrittrice
in collaborazione con Einaudi, Il Tempo delle donne e Pordenonelegge
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→ mercoledì 13 settembre ore 18 | Biblioteca Civica Centrale YU HUA Il settimo giorno (Feltrinelli)
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→ sabato 16 settembre ore 18 | il Circolo dei lettori NORMAN MANEA Corriere dell’Est (il Saggiatore)
con Andrea Bajani, scrittore ed Edward Kanterian, filosofo
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→ sabato 21 ottobre ore 21 | Scuola Holden COLSON WHITEHEAD La ferrovia sotterranea (Sur)
→ mercoledì 25 ottobre ore 18.30 | il Circolo dei lettori PATRICK MCGRATH La costumista (La Nave di Teseo)
→ martedì 21 novembre ore 21 | il Circolo dei lettori GEOFF DYER Sabbie bianche (il Saggiatore)
→ ottobre | il Circolo dei lettori ANDREW SEAN GREER Less (La Nave di Teseo)
Partner Scuola Holden Storytelling & Performing Arts, COLTI – Consorzio Librerie Indipendenti di Torino, Biblioteche Civiche Torinesi, Torino Rete Libri, Babel Libreria Internazionale
Tutti gli incontri sono a ingresso libero fino a esaurimento posti.

martedì 6 giugno 2017

Claudio Lolli: Il grande freddo

copertina dell'album Il grande freddo di Claudio LolliOtto brani e uno strumentale quelli che compongono Il grande freddo. Lo si potrebbe definire in tanti modi. In particolare per i testi che spesso galleggiano in quel fiume chiamato poesia. Filosofico, cinematografico, politico e personale sono gli aggettivi che potremmo usare ascoltando Il grande freddo che si presenta in tutta la sua delicatezza e profondità fin dalla grafica con cui l’artista salentino Enzo De Giorgi ha visualizzato i brani dell’album, “finestre pittoriche” come le ha definite lo stesso De Giorgi.
Claudio Lolli ritorna, in bello stile, dopo otto anni da Lovesongs (Storie di Note, 2009) e dopo undici da La scoperta dell’America (2006), l’ultimo disco di canzoni originali. E ci torna con Danilo Tomasetta (sassofoni) e Roberto Soldati (chitarre) musicisti del Collettivo Autonomo Musicisti di Bologna con cui produsse l’indimenticabile “Ho visto anche degli zingari felici” del 1976. Con loro troviamo anche Felice Del Gaudio (basso e contrabasso), Lele Veronesi (batteria e percussioni), Pasquale Morgante (piano e tastiere) e Paolo Capodacqua (chitarra).
Claudio Lolli
Un disco armonioso, costruito con atmosfere leggiadre e ovattate, arrangiamenti di levatura necessari a sostenere un racconto che parte anche dall’animo. Quell’animo che sembra mancare alla nostra società perché mostra indifferenza invece che solidarietà, dove si fa fatica a trovare l’amore. Delicati tocchi di pianoforte in pochi passaggi arricchiti dal sax che lascia spazio alla riflessione  
copertina dell'album Il grande freddo di Claudio LolliE quanto amore sprecato negli autobus tra gente che potrebbe volersi bene perché siamo tutti umani e mortali nella natura e nelle sue catene E quanto amore sprecato negli autobus in questo circo di gente diversa per cui la vita è soltanto una lotta ma è troppo spesso una battaglia persa
Una semplice e lenta bossa nova in Gli uomini senza amore: parla di uomini e di solitudini. Prigioniero politico, molto poco politica, autobiografica, pennellate di disillusioni, riflessioni sui ricordi incastonati in un ritmo più veloce e che vede una bella chitarra elettrica nella seconda parte. Senza dubbio il gioiello del disco
E non importa la luce negli angeli né la bellezza di un sorriso equivoco ma nei tuoi occhi io ero un prigioniero politico E poi Sai com’è, una ballata con arpeggi lievi e la voce di Lolli che essa stessa diventa narrato, poesia, appunto la lettera che, postuma, il partigiano Giovanni indirizza alla moglie Nori, il cui nome di battaglia era Sandra. Ma ricordo non solo la guerra e il terrore in quei campi in montagna io ho visto dei fiori un miracolo assurdo che invita all’amore e di tutti quei fiori il più bello eri tu, era la Nori
Non vi curate di noi e ascoltate.
Ciro Ardiglione
mentinfuga

Genere: cauntautorato Claudio Lolli Il grande freddo
etichetta: La Tempesta Dischi
data di uscita: 19 maggio 2017
brani: 9 durata: 48:35 cd: singolo

venerdì 14 ottobre 2016

Cantare il Rinascimento

Paolo Buonvino & Skin – Renaissance (dalla serie TV “I Medici”)



http://www.insr.it/
La classica interpretazione, che ha avuto molta fortuna, da parte di Burckhardt, vuole contrapposti un Medioevo profondamente religioso e un Rinascimento irreligioso, paganeggiante e antropocentrico. Più tardi però verà rifiutata questa tesi e si propenderà più per la riscoperta di un Rinascimento anch’esso religioso, ma che accoglie la spiritualità in maniera rinnovata.  Sarà la critica più recente, con a capo Garin, che abbandonerà lo studio dettagliato della struttura interna del Rinascimento e si concentrerà nella ricerca di una “originalità nella continuità”.
http://www.studiculturali.it/index.php