menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
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domenica 25 giugno 2017

L' intelligencija borghese, lo Stato e la rivoluzione

E' morto Stefano Rodotà.
Non abbiamo mai condiviso l'idea d'una "democrazia reale" depurata della lotta tra le classi. Questa assenza concettuale è il limite dell'intelligencija borghese.
La società capitalistica, considerata nelle sue condizioni di sviluppo piú favorevoli, ci offre nella repubblica democratica una democrazia piú o meno completa. Ma questa democrazia è sempre compressa nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre, in fondo, una democrazia per la minoranza, per le sole classi possidenti, per i soli ricchi La libertà, nella società capitalistica, rimane sempre, approssimativamente quella che fu nelle repubbliche dell'antica Grecia: la libertà per i proprietari di schiavi. Gli odierni schiavi salariati, in forza dello sfruttamento capitalistico, sono talmente soffocati dal bisogno e dalla miseria, che «hanno ben altro pel capo che la democrazia», «che la politica», sicché, nel corso ordinano e pacifico degli avvenimenti, la maggioranza della popolazione si trova tagliata fuori dalla vita politica e sociale. Democrazia per un'infima minoranza, democrazia per i ricchi: è questa la democrazia della società capitalistica. Se osserviamo piú da vicino il meccanismo della democrazia capitalistica, dovunque e sempre - sia nei «minuti», nei pretesi minuti particolari della legislazione elettorale (durata di domicilio, esclusione delle donne, ecc.), sia nel funzionamento delle istituzioni rappresentative, sia negli ostacoli che di fatto si frappongono al diritto di riunione (gli edifici pubblici non sono per i «poveri»!), sia nell'organizzazione puramente capitalistica della stampa quotidiana, ecc. vedremo restrizioni su restrizioni al democratismo. Queste restrizioni, eliminazioni, esclusioni, intralci per i poveri, sembrano minuti, soprattutto a coloro che non hanno mai conosciuto il bisogno e non hanno mai avvicinato le classi oppresse né la vita delle masse che le costituiscono (e sono i nove decimi, se non i novantanove centesimi dei pubblicisti e degli uomini politici borghesi), ma, sommate, queste restrizioni escludono i poveri dalla politica e dalla partecipazione attiva alla democrazia. Marx afferrò perfettamente questo tratto essenziale della democrazia capitalistica, quando, nella sua analisi della esperienza della Comune, disse: agli oppressi è permesso di decidere, una volta ogni qualche anno, quale fra i rappresentanti della classe dominante li rappresenterà e li opprimerà in Parlamento!
 (Lenin, Stato e Rivoluzione)

mercoledì 26 aprile 2017

Classifiche sulla libertà di stampa

World Press Freedom Index
The 2017 World Press Freedom Index compiled by Reporters Without Borders (RSF) reflects a world in which attacks on the media have become commonplace and strongmen are on the rise. We have reached the age of post-truth, propaganda, and suppression of freedoms – especially in democracies.
L’organizzazione non governativa Reporter Senza Frontiere (RSF) ha pubblicato il “World Press Freedom Index” del 2017, la classifica annuale che sostiene di ordinare i paesi del mondo sulla base di quanto è libera la loro stampa. L’Italia quest’anno è al 52° posto su 180, recuperando 25 posti rispetto al 2016 (quando era al 77° posto). Ai primi posti ci sono Norvegia, Svezia, Finlandia (che ha ceduto il primo posto, che deteneva da sei anni, a causa di «pressioni politiche e conflitti d’interesse»). L’ultima nazione in classifica è la Corea del Nord, preceduta da Turkmenistan ed Eritrea (la Turchia è al 155° posto). Davanti all’Italia ci sono paesi che difficilmente si possono definire campioni di democrazia: per esempio al 42° posto, nella stessa posizione del 2016, c’è il Burkina Faso, un paese che non ha grandi organizzazioni editoriali e dove negli ultimi anni si sono succeduti colpi di stato, attacchi di al Qaida e dove l’anno scorso si sono tenute le prime elezioni democratiche in 27 anni (il Burkina Faso ha incredibilmente ottenuto posizioni in classifica superiori all’Italia anche quando era una dittatura).
La metodologia utilizzata da RSF per stilare la classifica segue alcuni criteri qualitativi e altri quantitativi. RSF distribuisce un questionario tradotto in 20 lingue ai suoi partner in tutto il mondo: sono associazioni, gruppi e singoli giornalisti, scelti a discrezione di RSF. La lista dei partner non viene diffusa (per proteggerli, dice RSF). Questi partner rispondono alle 87 domande raggruppate in sette argomenti assegnando un punteggio. Gli argomenti sono: pluralismo, indipendenza dei media, contesto e autocensura, legislatura, trasparenza, infrastrutture e abusi. I vari punteggi vengono “pesati” diversamente con una complicata formula matematica con la quale, in base ai primi sei argomenti, si ottiene un primo punteggio, il cosiddetto “ScoA”.
Il secondo punteggio viene elaborato tenendo conto del numero di giornalisti uccisi nel paese, di quelli arrestati, di quelli minacciati e di quelli licenziati. Anche questi valori vengono pesati in maniera differente: un giornalista ucciso conta più di un giornalista arrestato, per esempio. Il risultato di questa formula viene a sua volta inserito in un’altra formula insieme allo “ScoA”. Dati quantitativi su violenze e minacce sommati allo “ScoA” producono il secondo punteggio, lo “ScoB”. Nello “ScoB” l’analisi quantitativa sugli abusi pesa per il 20 per cento, mentre il resto del punteggio deriva dallo “ScoA”. Nella classifica finale, RSF utilizza il dato più alto tra “ScoA” e “ScoB”. La mappa viene infine colorata in base ai punteggi ricevuti: da 0 a 15 punti “buono” (colore giallo chiaro), da 15,01 a 25 punti “abbastanza buono” (colore giallo), da 25,01 a 35 punti “problematico” (colore arancione, l’Italia sta qui), da 35,01 a 55 punti: “grave” (colore rosso), da 55,01 a 100 punti “molto grave” (colore nero).
È un metodo molto complesso, che RSF ha raffinato nel corso degli anni – un grosso cambiamento di metodologia è avvenuto nel 2013 – e che è stato discusso e criticato su diverse riviste specializzate. La cosa più importante da capire è che si basa in gran parte sulle opinioni soggettive di enti e persone scelte da RSF, e questo ha causato negli anni diverse critiche. RSF è stata accusata di avere tra i suoi partner personaggi legati all’opposizione cubana e venezuelana, per esempio, che quindi nel valutare i loro paesi potrebbero non essere stati completamente obiettivi; cose simili possono essere successe anche in altri paesi. Gran parte del punteggio – almeno l’80 per cento – deriva dalle valutazioni dei partner di RSF ed è quindi influenzato dalla loro sensibilità personale e dal loro contesto: un “4” assegnato in Italia, insomma, non ha necessariamente lo stesso valore di un “4” assegnato in Burkina Faso.
Di certo la metodologia rischia di portare a risultati bizzarri o difficilmente spiegabili. Tra il 2013 e il 2014 per esempio, l’Italia aveva perso 24 posizioni in un solo anno, scendendo dal 49° al 73° posto. Tra le ragioni fornite da RSF per questo calo c’era stato un aumento delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti, con «un grande incremento di attacchi alle loro proprietà, specie le automobili». Erano aumentate anche le cause di diffamazione che RSF giudicava infondate, passate da 84 nel 2013 a 129 nei primi dieci mesi del 2014. Per il 2015, l’anno a cui si riferiva il rapporto dello scorso anno, RSF non era scesa altrettanto nei dettagli per spiegare un’ulteriore perdita di quattro posti in classifica, ma segnalava comunque altre motivazioni: il numero di giornalisti sotto protezione della polizia (tra i 30 e i 50, ma il rapporto lo diceva citando Repubblica) e il processo in cui erano coinvolti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, giornalisti autori di due libri sugli scandali nella Chiesa cattolica. Il processo di Nuzzi e Fittipaldi aveva influito negativamente sul punteggio italiano anche se, di fatto, avveniva in uno stato che non era l’Italia bensì il Vaticano. Nuzzi e Fittipaldi sono stati poi assolti.
Nel rapporto appena uscito, Reporter Senza Frontiere scrive che comunque l’Italia si trova al 52° posto perché sei giornalisti sono ancora sotto protezione avendo ricevuto minacce di morte soprattutto da parte della mafia o di gruppi fondamentalisti e perché il livello di violenza contro i giornalisti (intimidazioni verbali, fisiche e minacce) è allarmante, soprattutto a causa di «politici che non esitano a colpire pubblicamente i giornalisti che non amano». Il rapporto cita esplicitamente Beppe Grillo e il Movimento Cinque Stelle tra gli autori di queste minacce. Si dice poi che i giornalisti si sentono in generale sotto pressione da parte dei politici, che sempre di più scelgono di censurarsi e che nel sud del paese si devono confrontare con gruppi mafiosi e bande criminali locali. Infine, si parla del disegno di legge presentato dalla senatrice Doris Lo Moro del PD sul contrasto alle intimidazioni agli amministratori locali, licenziato nel giugno del 2016 dalla commissione Giustizia del Senato. La proposta è stata approvata al Senato e dal 17 aprile scorso è in corso di esame alla commissione Giustizia della Camera: l’articolo 3 dice che «Le pene stabilite per i delitti previsti dagli articoli 582, 595, 610, 612 e 635 sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa dell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio». In sostanza, dice RSF, esiste il rischio di un aumento della pena per un giornalista che diffama a scopo ritorsivo (da dimostrare in tribunale) un politico o un magistrato. Il disegno di legge non è stato però ancora approvato definitivamente.
Fonte:
ilPOST

 

sabato 22 aprile 2017

I am not your negro

Giovedì 27 aprile, alle ore 20:30, la Casa internazionale delle donne ospita la proiezione del documentario di Raoul Peck (2016). Presentano Igiaba Scego e Italiani senza cittadinanza.

Giovedì 27 Aprile 2017 ore 20.30
Sala Carla Lonzi, Casa internazionale delle donne
(secondo piano), via della Lungara 19, Roma
Proiezione del documentario 
I am not your negro
Di Raoul Peck (2016)

Presentano  

Igiaba Scego

  # Italiani senza cittadinanza

I Am Not Your Negro tocca le vite e gli assassinii di Malcom X, Martin Luther King Jr. e Medgar Evers per fare chiarezza su come l’immagine dei Neri in America venga oggi costruita e rafforzata.
Medgar Evers, morto il 12 giugno 1963. Malcolm X, morto il 21 febbraio 1965. Martin Luther King Jr., morto il 4 aprile 1968.
Nel corso di 5 anni questi tre uomini sono stati assassinati. Uomini importanti per la storia degli Stati Uniti d’America e non solo. Questi uomini erano neri, ma non è il colore della loro pelle ad averli accomunati. Hanno combattuto in ambiti differenti e in modo diverso, ma tutti alla fine sono stati considerati pericolosi perché hanno portato alla luce la questione razziale. James Baldwin si è innamorato di queste persone e ha voluto mostrare i collegamenti e le similitudini tra questi individui scrivendo di loro. E lo ha fatto attraverso lo scritto incompiuto Remember This House.


venerdì 11 novembre 2016

See you soon Leonard !



Leonard Cohen nel 1975. - WireImage/Getty Images
Leonard Cohen nel 1975.

Otto canzoni di Leonard Cohen

Il cantautore, poeta e pittore canadese Leonard Cohen è morto a Los Angeles all’età di 82 anni. Era nato a Montréal, nel Québec, nel 1934. L’annuncio è stato dato sulla pagina Facebook del cantante. Non sono ancora chiare le ragioni precise della sua morte, ma negli ultimi anni la salute di Cohen era progressivamente peggiorata.
Nel messaggio su Facebook si legge: “È con profonda tristezza che vi informiamo che il leggendario poeta, cantautore e artista Leonard Cohen è morto. Abbiamo perso uno dei più venerati e prolifici visionari del mondo della musica”.
Il suo primo album, Songs of Leonard Cohen, è uscito nel 1967, quando il cantautore aveva 33 anni. L’ultimo, You want it darker, lo scorso 21 ottobre. Ecco otto canzoni che riassumono la sua carriera:
Suzanne (live)
Ispirata alla sua storia d’amore platonica con Suzanne Verdal, e tra i brani più popolari del suo repertorio, è contenuta in Songs of Leonard Cohen. È stato il suo singolo d’esordio. Fabrizio De André ne ha inciso una versione in italiano nel 1972.


Famous blue raincoat (live)
Estratta da Songs of love and hate, il terzo disco di Cohen, pubblicato nel 1971, racconta la storia di un triangolo amoroso tra il narratore, una donna di nome Jane e un altro uomo, definito “mio fratello, il mio assassino”. Questa versione dal vivo risale al 2014.


Chelsea Hotel #2 (live)
Secondo brano di New skin for the old ceremony, del 1974. Parla di un incontro sessuale al Chelsea Hotel, famoso albergo bohémien di New York. La persona a cui è dedicato il brano, come ha spiegato lo stesso Cohen, è la cantante Janis Joplin.


Hallelujah (live)
Scritta da Cohen per il disco del 1984 Various positions, è diventata famosa grazie alle versioni successive di John Cale e Jeff Buckley. Resta forse il suo brano più conosciuto dal pubblico mondiale. Il pezzo ha espliciti riferimenti biblici.


First we take Manhattan
Registrata per la prima volta da Jennifer Warnes nel suo album del 1987 Famous blue raincoat, è stata in seguito reinterpretata dal suo autore in chiave quasi synthpop per il disco del 1988 I’m your man. Descrivendola, Cohen ha detto: “È una canzone sul terrorismo”.


I’m your man (live)
Uno dei pezzi più famosi di Cohen, anch’esso contenuto nell’omonimo album, considerato dalla critica il suo disco migliore degli anni ottanta. Il pubblico italiano la conosce anche perché è stata scelta da Nanni Moretti per la colonna sonora del film Caro diario.


Going home
Uno dei brani più recenti di Cohen, pubblicato nell’album del 2012 Old ideas e scritto insieme al produttore Patrick Leonard. La rivista Rolling Stone l’ha inserita tra le venti migliori canzoni del 2012.


You want it darker You want it darker è l’ultimo disco di Leonard Cohen. Il brano è uno spoken-word spirituale, che secondo l’autore esplora la complessità “dello spirito religioso”.



venerdì 21 ottobre 2016

Intersex esiste



Per la Giornata Internazionale di sensibilizzazione alla realtà Intersex (Intersex Awareness Day) che si celebra il 26 ottobre vorremo invitarvi a diffondere il sito divulgativo www.intersexesiste.com, nato questa primavera dalla collaborazione tra Claudia Balsamo e Daniela Crocetti, appoggiata da CESD (Centro Europeo Studi sulla Discriminazione) e finanziata in parte del gruppo americano Astraea e dall’Intersex Fund.
Il sito è stato immaginato e realizzato da Comunicattive con una grande varietà di colori e forme, valorizzando il rispettoso lavoro che cerca di fare il progetto attraverso il sito: una definizione del termine ombrello Intersex, diverse categorie mediche che vi rientrano, le principali questioni di diritti umani che riguardano le persone intersex, link ai gruppi italiani e internazionali e anche alcune storie di vita.

L'intento era creare uno strumento che spiegasse, a prescindere da tutta la polemica sulla teoria di genere, che ci sono comunque realtà di variazioni naturali del corpo che vanno gestite con attenzione e rispetto.
Vi invitiamo quindi a visitare il sito www.intersexesiste.com e a diffonderlo inviando il link ai vostri contatti, postandolo sui vostri profili social e aggiungendolo nella sezione link dei siti in cui ritenete utile possa comparire.
Grazie del sostegno che vorrete e potrete dare al progetto,
Claudia Balsamo
Daniela Crocetti
Comunicattive
Qui la scheda portfolio del sito realizzato da Comunicattive

sabato 8 ottobre 2016

YES Women Empowerment in STEM

Nuovo eBook Wister: YES We_STEM

L’8 Marzo 2016 il MIUR, con il sostegno della sede italiana della Commissione Europea, ha lanciato il progetto “Le studentesse vogliono contare! Il mese delle Stem” promuovendo iniziative e approfondimenti per combattere gli stereotipi di genere e le discriminazioni.
“Il mese delle Stem” (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) vuole sensibilizzare gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado allo studio delle discipline scientifiche e tecnologiche, superando il divario di genere.

La rete WISTER (Women for Intelligent and Smart TERritories) ha colto l’occasione per organizzare presso la sede della Commissione Europea a Roma un evento intitolato Yes WE STEM (Women Empowerment in STEM) i cui lavori hanno generato questo eBook. Infatti, i contributi dei vari capitoli dell’ebook  vanno oltre gli interventi dell’evento e racchiudono ulteriori approfondimenti, elaborazioni e dati. E proprio le competenze, l’esperienza, la sensibilità, l’impegno e lo sforzo di ciascuna/o  delle autrici e degli autori hanno permesso di costruire un libro che rappresenta un prodotto editoriale ricco e originale, curato da Luciana d’Ambrosio Marri, Flavia Marzano e Emma Pietrafesa.
L’introduzione di Simonetta Di Pippo, Direttrice dell’Ufficio per gli Affari dello Spazio Extra-Atmosferico delle Nazioni Unite (UNOOSA) e le conclusioni diCatalina Oana Curceanu, prima Ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Laboratori Nazionali di Frascati (Roma) e membro del Foundational Question Institute  (FQXi), rendono questo eBook ancora più prezioso.

sabato 9 aprile 2016

Basaglia, la rivoluzione dell'inclusione (By Luca Spanu)

L’11 marzo 1924 nasceva a Venezia Franco Basaglia.

A 92 anni di distanza, l’anniversario della sua nascita è l’occasione per sfogliare “L’Istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2000”, curato da Franco Rotelli. 
Rotelli, successore di Basaglia alla direzione del manicomio di Trieste e poi direttore generale dell’Azienda sanitaria della città friulana, ripercorre in questo imponente volume, a volte un po’ troppo oscuro per il lettore medio e con un po’ troppi refusi, le intense vicende che portarono alla chiusura dell’ospedale psichiatrico triestino. In realtà il lavoro di Rotelli nasce dall’esigenza di testimoniare la complessità dell’esperienza di Trieste, non tanto concentrandosi sul periodo della rivoluzione basagliana (di cui già esiste una ricca storiografia) quanto ricordando ciò che è successo dopo la promulgazione nel 1978 della legge 180, quando c’è stato da “inventare” l’istituzione, dopo averla, giustamente, “negata”. Il succedersi di fatti, testimonianze, citazioni di Basaglia e cronache, suscita un turbine di emozioni e di riflessioni. La storia che ci viene raccontata da Rotelli è la storia della lotta contro ciò che sembrava inattaccabile e che da secoli distruggeva identità e dignità umana. E fu anche e soprattutto una storia di coraggio, di quell’immenso coraggio che ti porta innanzitutto a mettere in discussione te stesso, il tuo potere, il potere del tecnico. È stata certo una liberazione dei matti ma anche e soprattutto, come ricordavano Basaglia e Sartre, liberazione dell’intellettuale e presa di coscienza del suo essere ingranaggio del sistema, del suo essere complice della negazione dell’uomo. Nelle pagine dell’almanacco troviamo la violenza psichiatrica, l’oppressione, la contenzione fisica, le reti, ma anche l’intenso lavoro, la passione, il clima febbrile e i conflitti di chi si sta rendendo conto, in quel momento e in quel posto che, pur tra mille resistenze, si sta facendo qualcosa d’importante. Si sta cambiando il mondo dalla periferia del mondo. Si sta per diventare un modello destinato a essere ammirato e a insegnare la sconfitta dello stigma e una nuova psichiatria a giovani medici brasiliani, argentini, greci. Trieste, terra di confine da cui si superano altri confini, è il teatro dove si distruggono le istituzioni totali e vi sostituisce rispetto e produzione di cultura e creatività, diviene il luogo in cui concetti troppo spesso astratti si concretizzano in lotta sul campo: partecipazione, democrazia, diritti, cittadinanza, inclusione, smettono di essere involucri vuoti. Rotelli rivendica giustamente il merito che quella parola, inclusione, fa parte oggi delle agende di molti governi e di organismi internazionali, ma ci ricorda che allora tutto doveva essere conquistato e lo fu a caro prezzo, passando per infamie, processi, momenti di tensione. E la psichiatria è stata soltanto il punto di partenza per una più generale discussione e organizzazione del modello sanitario triestino, l’inizio di una de-istituzionalizzazione e di de-ospedalizzazione che lentamente sono andate avanti, seguendo un concetto di territorialità, di cittadinanza attiva grazie all’attività di una molteplicità di soggetti diversi: medici, operatori sociali, associazioni culturali, cooperative, anche di ex internati. Se la battaglia è stata vinta, certamente la guerra è ancora lunga.

http://www.istituzioneinventata.it/


Si racconta qui, con parole e immagini l’esperienza di un vasto gruppo di persone che, a Trieste, dapprima con Franco Basaglia e poi per trent’anni dopo la sua morte, ha cambiato la storia delle istituzioni psichiatriche non solo in Italia. Scriveva Enzo Paci nel 1968: “La contraddizione tra istituzioni chiuse e istituzioni aperte è forse la dialettica fondamentale della nostra epoca.”
Tutta l’ esperienza qui raccontata si muove dentro quella dialettica.“Rotelli racconta nella Istituzione inventata/Almanacco. Trieste 1971-2010 l’esperienza collettiva per cui – pezzo dopo pezzo, atto dopo atto – vengono soppressi i luoghi classici, gli spazi chiusi della follia e si snoda e libera il lento riscatto dei protagonisti del disagio psichico, della anomalia e della marginalità – dall’isolamento familiare e sociale, dalla marginalità ribelle e povertà, alla quotidiniatà comunitaria. E si rifonda il sistema sanitario complessivo”.
P. Del Giudice

 FONTE: © Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata



mercoledì 30 marzo 2016

Investimenti ZERO in istruzione e cultura

L'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata all'istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). E' quanto emerge da dati EUROSTAT sulla spesa governativa. La percentuale di spesa per istruzione è scesa di 0,1 punti rispetto al 2013. Se si guarda alla percentuale sul Pil - rileva l'Eurostat - la spesa italiana per l'educazione è al 4,1% a fronte del 4,9% medio Ue, penultima dopo la Romania (3%) insieme a Spagna, Bulgaria e Slovacchia.  
Nell'istruzione la spesa è in linea con la media nell'istruzione primaria, lievemente più bassa per quella secondaria mentre è molto inferiore per l'istruzione terziaria ovvero universitaria e post universitaria e nella ricerca.

La spesa in percentuale sul pil nell'istruzione terziaria è allo 0,8% in media Ue e allo 0,3% in Italia mentre se si guarda alla percentuale sulla spesa pubblica l'Ue si attesta in media sull'1,6% e l'Italia sullo 0,7%. 
Nella spesa per l'istruzione terziaria il nostro paese è fanalino di coda in Ue, lontanissimo dai livelli tedeschi (0,9% sul pil e 2% sulla spesa pubblica).
La spesa pubblica nel 2014 in Italia è stata pari al 51,3% del pil (48,2% la media Ue), in crescita, ma al di sotto di quella francese (57,5%), belga e di diversi paesi del nord Europa.
L’istruzione doveva essere il vanto del nostro Paese, ne avevamo il primato e studiavamo su testi scritti in lingua originale, un popolo di letterati e di filosofi, eccellenze nell’arte e nella poesia, finché non è arrivato il report dell’Eurostat.
L'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata all'istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). Nel report si specifica che la posizione è valutata sugli investimenti da parte del Governo italiano nel settore dell’istruzione.La percentuale di spesa per istruzione è scesa di 0,1 punti rispetto al 2013. Se si guarda alla percentuale sul Pil, rileva l'Eurostat, la spesa italiana per l'educazione è al 4,1% a fronte del 4,9% medio Ue, penultima dopo la Romania (3%) insieme a Spagna, Bulgaria e Slovacchia.  Nell'istruzione la spesa è in linea con la media nell'istruzione primaria, lievemente più bassa per quella secondaria mentre è molto inferiore per l'istruzione terziaria ovvero universitaria e post universitaria e nella ricerca. La spesa in percentuale sul pil nell'istruzione terziaria è allo 0,8% in media Ue e allo 0,3% in Italia mentre se si guarda alla percentuale sulla spesa pubblica l'Ue si attesta in media sull'1,6% e l'Italia sullo 0,7%. Nella spesa per l'istruzione terziaria il nostro paese è fanalino di coda in Ue, lontanissimo dai livelli tedeschi (0,9% sul pil e 2% sulla spesa pubblica).La spesa pubblica nel 2014 in Italia è stata pari al 51,3% del pil (48,2% la media Ue), in crescita, ma al di sotto di quella francese (57,5%), belga e di diversi paesi del nord Europa. 
Stiamo vivendo un processo di imbarbarimento? Probabilmente no, tuttavia la certezza è che l’insufficienza delle risorse destinate all’istruzione ma anche la carenza di investimenti nelle generazioni future soprattutto nelle università rischia di danneggiare irrimediabilmente la futura classe dirigente e che dovrebbero rappresentare l’élite del paese. Più grave degli scarsi investimenti sull’istruzione è la totale assenza di progettualità e di una visione ad ampio raggio per il futuro del paese che rischia sempre di più, in un mercato del lavoro ormai diventato globale, di penalizzare i nostri giovani.
Inoltre, contestualmente ai dati "strutturali" del sistema scuola / cultura, va ribadito che dal confronto tra le retribuzioni dei docenti, i diversi livelli di responsabilità e le varie voci integrative dello stipendio emerge come questa figura professionale sia in molti paesi pagata ancora troppo poco. Servono politiche attive che valorizzino la professione e accrescano la motivazion. La maggioranza degli insegnanti europei percepisce retribuzioni inferiori al PIL pro capite del rispettivo paese, per cui sarebbe necessario attuare al più presto politiche in grado di valorizzare, perché no anche attraverso un’adeguata remunerazione, la professionalità degli insegnanti e ne accrescessero la motivazione.
Il recente studio Eurydice dal titolo “Teachers' and School Heads' Salaries and Allowances in Europe, 2012/13”” segue di pochi mesi l’indagine più approfondita della rete Eurydice sulla professione docente, Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa, e analizza, per l’anno scolastico 2012/2013, i seguenti aspetti: gli organi decisionali per la definizione degli stipendi; gli stipendi del settore privato; gli stipendi lordi minimi e massimi stabiliti per legge in rapporto al PIL pro capite; la progressione salariale in funzione dell’anzianità di servizio; le diverse tipologie di indennità e gli organi responsabili dell’assegnazione. Quello che accomuna quasi tutti i paesi è l’ampliamento della gamma di competenze richieste agli insegnanti, che ora non debbono solo più appunto insegnare, ma devono essere in grado di eseguire una serie di compiti aggiuntivi, come l'utilizzo delle nuove tecnologie, lavorare in team  assistere l'integrazione dei bambini con bisogni educativi speciali, e partecipare anche alla gestione della scuola. Allo stesso tempo, il settore dell'istruzione è sempre più in concorrenza con il mondo del lavoro per attrarre i migliori giovani laureati qualificati. Stipendi e condizioni di lavoro dovrebbero dunque essere competitivi per far sì che i giovani qualificati siano attratti dalla professione e per fare questo dovrebbero essere attivate politiche riguardanti proprio il guadagno dei docenti. Cosa che attualmente non avviene in gran parte dei paesi della rete Eurydice, dove dal 2009 le retribuzioni degli insegnanti in termini di potere d’acquisto hanno subito una battuta di arresto, se non addirittura un arretramento per via della crisi economica, con il blocco degli stipendi, com’è avvenuto in Italia.

domenica 14 febbraio 2016

Nel nome di Giordano Bruno

Giordano Bruno venne ucciso brutalmente, perché non voleva conformarsi, sottomettersi a Verità presupposte ed assolute. Eretico, pertinace, impenitente. Questa la condanna emessa dal tribunale della Santa Inquisizione, presieduto personalmente dal papa. Ma eresia vuol dire scelta! E per questo vogliamo essere eretici, perché come Bruno siamo consapevoli che solo nella conquista dell’emancipazione umana dalla soggezione mentale ed economica possiamo aspirare ad una società di liberi e uguali. 

COMUNICATO  STAMPA

Anche quest’anno, l’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” ricorderà mercoledì 17 febbraio 2016, a Roma in piazza Campo dei Fiori, a partire dalle ore 17.00, il grande filosofo Giordano Bruno, che qui venne arso vivo il 17 febbraio del 1600, per volere della Santa Inquisizione.

Giordano Bruno venne ucciso brutalmente perché non voleva sottomettersi a verità supposte ed assolute. Quel tribunale, presieduto dal Papa-re in persona, lo dichiarò eretico.

Ma eresia vuol dire scelta! E noi vogliamo continuare ad essere eretici, perché come Bruno abbiamo il “vizio” di pensare. Nell’orgoglio laico del dovere dell’emancipazione da dogmi e padroni. Perché il diritto umano alla libertà per la dignità di ciascuno sia realizzato ed esteso ovunque.

Di fronte ai risorgenti integralismi e alla violenza del terrorismo jihadista, questo anniversario del martirio di Giordano Bruno, vuole rimettere al centro più che mai il valore della Laicità.

Perché occorre chiamare ogni cittadino all’impegno democratico contro la sopraffazione di chi, accampando finanche copyright divini, vuole la soggezione individuale e sociale degli esseri umani.

Accade nei regimi teocratici, dove il fanatismo religioso arriva a diventare con i macellai dell’Isis pornografia della tortura e della morte.

Accade in casa nostra, dove il sogno di elevare a legge dello Stato i propri precetti non sembra ancora dismesso, e diventa patetica pretesa di sigillare in stereotipi sessisti e omofobi l’esclusione dal diritto di avere diritti.

La Laicità è valore fondante delle democrazie e la nostra Costituzione repubblicana la pone a suo principio supremo. Dobbiamo difendere questa conquista, perché senza laicità non c’è democrazia, ma solo sopruso. Siamo chiamati allora, a non smettere mai di vigilare sulle garanzie costituzionali, perché le regole democratiche non vengano né aggirate, né manomesse. 

 

Di tutto questo parleremo a Piazza Campo de’ Fiori il 17 febbraio 2016, a partire dalle ore 17.00 tenendo vivo lo straordinario insegnamento progressista e libertario della filosofia bruniana.

Dopo la cerimonia di deposizione delle corone di alloro con l’accompagnamento della Banda Musicale del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Roma e i saluti istituzionali del Comune di Roma e di Nola, si svolgerà il convegno, “Nel nome di Giordano Bruno. Senza Laicità non c’è Democrazia. Libertà  Diritti  Dignità Uguaglianza”.

Relatori: Giuliano Montaldo, Maria Mantello, Elena Coccia, Antonio Caputo; Luigi Lombardi Vallauri.  Partecipazione artistica del Centro studi Enrico Maria Salerno. Presenta Antonella Cristofaro.

 

Maria Mantello,

Presidente della Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” 

Né dogmi, né padroni! È il motto dei Liberi Pensatori in tutto il mondo. Ed è impegno etico-politico-sociale per la realizzazione della civile convivenza democratica, perché libertà e diritti non sono oggetto di transizioni: né per il cielo, né per la terra! Pensare, giudicare, scegliere significa essere proprietari della propria vita. Tutto questo si chiama autodeterminazione. Valore non negoziabile, che solo la laicità garantisce. Niente è più ambizioso della laicità perché permette il rispetto umano che ci dà dignità, che come aveva ben capito Bruno, non è la proiezione ideologica di una presupposta “sacralizzata” idea di dignità, ma diritto alla ricerca della propria felicità nell’unica vita biologica di cui abbiamo certezza. Il pensiero di Giordano Bruno costituisce infatti un insuperabile monito per l’affermazione del diritto inalienabile alla dignità umana il cui baluardo è oggi la nostra Costituzione repubblicana. La Costituzione, contro la cui manomissione ci battiamo e che vogliamo sia applicata a partire da quel suo principio supremo che è la laicità dello Stato.Non è un caso che la Costituzione lo ponga a suo supremo valore. Non è un caso, perché senza laicità c’è solo sopruso. Oggi siamo chiamati a pretenderne la compiuta realizzazione, perché nessuno venga più discriminato. Come scriveva Giordano Bruno nello Spaccio della bestia trionfante: «non è possibile che tutti abbiano una sorte; ma è possibile ch’a tutti sia ugualmente offerta». Ecco, per questo dovere alla parità di accesso ai diritti lottiamo... nel nome di Giordano Bruno. (Maria Mantello)

 

 di Maria Mantello

Il 17 febbraio del 1600, dopo lunghi anni di carcere e terribili violazioni alla sua dignità, Giordano Bruno veniva fatto bruciare vivo perché “eretico, pertinace, impenitente”... come recitava la condanna del tribunale della Santa Inquisizione Romana presieduto personalmente dal papa. Nello stesso giorno del suo martirio anche i suoi libri venivano dati alle fiamme sul sagrato della basilica di S. Pietro. Il filosofo veniva ucciso e i mandanti speravano di annientarne anche il pensiero. Non a caso fu condotto al rogo con la lingua inchiodata nella mordacchia. Ultima violenza, ultima profanazione al bene che egli considerava massimo: la dignità di aver parola! La sua rivoluzionaria filosofia faceva paura, fa ancora paura perché è dinamite. - Al principio divino, sostituisce la natura: materia madre che non dipende da altri che da se stessa. È quindi perfetta, divina, nella sua infinita vitale capacità di produrre forme. - Alla conoscenza prefissata nel modulo dell’anima creata, sostituisce la fisicità della mente corpo funzione biologica. Insomma come dirà Crick, lo scopritore insieme a Watson della catena del DNA: «come la bile è una secrezione del fegato, l’anima è una secrezione della mente». - Contro il confessionalismo del precetto, rivendica la libertà dell’etica nella sua autonomia ed autodeterminazione per ciascun essere umano. Perché ognuno è proprietario della propria vita. Responsabile del progetto di vita che vuole per sé. Comunque e sempre. - Ad un’estetica di maniera che fagocita il contenuto nella pedanteria della regola, contrappone il “pittore-filosofo”, che espropria all’ombra le cose e le definisce e ridefinisce nella vertigine delle possibilità combinatorie di significato e significante. - Alla politica del potere di alcuni, contrappone quella della cittadinanza nel diritto di avere diritti per tutti.

Il pensiero di Giordano Bruno è elogio del dubbio e dell’antidogmatismo. Un pensiero che rivoluziona ogni cosa e per questo ha fatto paura e fa paura ancora a molti per la sua attualità straordinaria, costringendo a fare i conti con le proprie piccolezze e ristrettezze mentali. Perché non ammette zone grigie. Perché è un atto d’accusa contro l’opportunismo, la pavidità, la rassegnazione, che producono, scrive Bruno, il «servilismo che è corruzione contraria alla libertà e dignità umana».
La sua filosofia fa paura perché è una condanna inappellabile per chi vorrebbe l’umanità eterna minore: “gregge”, “asino”, “pulcino”, “pulledro”. In uno stato di perenne infantilismo alla ricerca di padri, padroni, padreterni.
Un’umanità in ginocchio nella speranza del miracolo e delle intercessioni degli unti del signore, che «stabiliscono il mio e il tuo» e nelle simoniache alleanze sguazzano.

Bruno mette a nudo i meccanismi psicologici e consolatori, che riducono gli uomini ad asini obbedienti che si fanno «guidare – scrive – con la lanterna della fede, cattivando (imprigionando, ndr.) l’intelletto a colui che gli monta sopra et, a sua bella posta, l’addirizza e guida». «Figlio del Vesuvio e della collina di Cicala, filosofo e poeta italiano, unico spirito veramente libero», lo definisce Cyrano de Bergerac nel suo L’altro mondo, ovvero gli Stati e gli imperi della Luna e del Sole (1657-1662), ma neppure lui, che pure è filosofo libertino, osa pronunciare ancora il nome di Giordano Bruno.
Il Nolano non è stato sentito fratello neppure dal grande Galilei, che per la sua teoria della relatività primaria attinge a piene mani dalla Cena delle Ceneri di Bruno, ma non lo cita.
Contaminato dalla rivoluzionaria filosofia del Nolano è Shakespeare. L’universo bruniano con un cielo infinito e la materia creatrice, è infatti più che un semplice sogno d’amore nel suo Antonio e Cleopatra. E ancora in un’altra sua operetta, Pene d’amore perdute, la concezione dell’autonomia dello Stato dal confessionalismo è chiara ripresa dello Spaccio della bestia trionfante di Giordano Bruno. Ma neppure Shakespeare, che certamente ha conosciuto il Nolano alla corte di Elisabetta, lo nomina.

Giordano Bruno è un intellettuale scomodo perché condanna la menzogna e l’ipocrisia, soprattutto quando vengono dal riverito ‘mondo della cultura’, trasformato dai servili pedanti in accademia di pensiero unico. Bruno polemizza continuamente e pubblicamente con costoro. Li ridicolizza nei suoi dialoghi: «più nun sanno e sono imbibiti (imbevuti) di false informazioni più pensano di sapere», e danno i loro principi «conosciuti, approvati senza demonstrazione».  Giordano Bruno è scomodo perché alle baronie familiste degli intellettuali di regime sbatte in faccia la loro responsabilità per la decadenza politica e morale che lui, pellegrino «in fuga dalla vorace lupa romana», tocca con mano in un’Europa dilaniata dalle guerre di religione: «La sapienza e la giustizia iniziarono a lasciare la terra dal momento che i dotti, organizzati in consorterie, cominciarono ad usare il loro sapere a scopo di guadagno. Da questo ne derivò che ... gli Stati, i regni e gli imperi sono sconvolti, rovinati, banditi assieme ai saggi ... e ai popoli».
Giordano Bruno avrebbe potuto vivere tranquillamente la sua carriera di docente, ma il tomismo gli andava stretto. L’ideologia cristiana tutta gli andava stretta e ne denuncia l’impianto fideista che schiaccia ragione e autodeterminazione.
Bruno vuole un mondo di individui pensanti e liberi. Per questo accoglie con entusiasmo il copernicanesimo. Vi vede il trampolino di lancio per l’emancipazione umana. Usciti dalla gabbia del geocentrismo, dove «gli erano mozze l’ali», gli esseri umani possono finalmente spiccare il volo e «liberarse de le chimere» di un cielo superiore e una terra inferiore. E il Nolano chiama ognuno ad usare le ali della ragione: a sperimentare le infinite possibilità di pensare, conoscere, agire. A diventare, «possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l’ingegno», «cooperatori dell’operante natura». Penetrandone le leggi fisiche. E in questo si è maghi. Si è dei a se stessi.

La magia di Bruno è conoscenza. È sviluppo della capacità di indagine e ricerca per analizzare i legami chimici degli elementi naturali, i profondi nessi causali tra tutte le cose: «magia è la contemplazione della natura e perscrutazione dei suoi segreti». Grazie alla scienza fisica e chimica: «Approvo quello che si fa fisicamente e procede per apotecàrie (farmaceutiche) ricette... Accetto quello che si fa chimicamente»; «Ottimo e vero è quello che non è sì fisico che non sia anche chimico e matematico». Questa è la magia per Giordano Bruno contro quella dei cialtroni (ridotta a ridicola macchietta nel Candelaio). Una «magia di disperati» - la chiama – «di chi invoca supposte intelligenze occulte con riti preghiere formule». La magia è allora arte della conoscenza, magia di conoscenza, «potenza cogitativa» che sa tessere interralazioni rappresentative. È memoria ragionata, che sviluppa pensiero problematico e consapevolmente giudica addentrandosi in sentieri inesplorati, perché – scrive Bruno – “seleziona”, “applica”, “forma”, “ordina”. Un processo che è cibo per la mente, come ancora oggi si usa dire: «la ricerca ragionata dei dati particolari, è il primo accostarsi al cibo, la loro collocazione nei sensi esterni ed interni, è una forma di digestione» per «progredire nelle operazioni dell’intelligenza», per «vedere con gli occhi dell’intelligenza». È questo un incessante processo di scomposizione e ricomposizione di «atomi corporei-mentali». Un processo che stimola nuove sinapsi, come si direbbe oggi, per conquistare al pensiero analitico critico sempre maggiori aree cerebrali. Ma perché questo accada, bisogna superare «l’abitudine di credere, impedimento massimo alla conoscenza». Bisogna spazzare via “la bestia trionfante” della passività, dell’omologazione, della rassegnazione al pensiero a una dimensione.
Ecco allora che la libertà di pensiero diventa per Bruno prerequisito e metodo. Procedura di continua trasmigrazione concettuale. Cicli conoscitivi, che si riaprono in una sorta di pitagoriche trasmigrazioni al divenire di diversificate acquisizioni... Per capire ...e riscattarsi da ogni soggezione.

Bruno ha sacrificato la sua vita perché l’umanità uscisse dalla rassegnazione di minorità per costruire una società più giusta e libera. Ha denunciato l’arroganza e l’ingiustizia di un mondo dove la libertà è il regno della tracotanza di chi nega emancipazione e autodeterminazione altrui. Non c’è libertà senza solidarismo delle libertà. Non c’è libertà senza giustizia. Senza il rispetto della dignità individuale di esseri proprietari della propria esistenza. Questo afferma Giordano Bruno. Perché dignità è il diritto di avere diritto alla gestione del proprio individuale progetto esistenziale. E questo implica pubblico riconoscimento, che significa anche impegno privato e pubblico per far sì che ognuno si emancipi dalla sudditanza mentale, economica, politica, sociale. E il fine della Nolana filosofia è proprio costruire una società di liberi e di uguali in dignità, dove finalmente, come dirà poi la filosofa contemporanea Hannah Arendt, «nessuno sia escluso dal diritto di avere diritti». E Bruno per questo chiama ognuno di noi a «investire tutte le facoltà e le forze che abbiamo ottenuto da la natura per operare bene e mettere a frutto e numero delle intelligenze che abbiamo».

Ecco allora la sua Riforma in sintesi:
- fornire l’istruzione a tutti perché ognuno possa emanciparsi;
- rimuovere gli ostacoli degli svantaggi individuali, sociali ed economici;
- togliere i privilegi;
- deporre i tiranni;
- scegliere governanti onesti...
Già governanti onesti! E non è purtroppo ancora oggi questione di cui dobbiamo occuparci? Bruno, dal canto suo, aveva denunciato come l’orgia del potere generi corruttela generalizzata: «quel che era già liberale, doviene avar, da quel c’era mite, è fatto insolente, da umile lo vedi superbo, da donator del suo è rubato ed usurpator de l’altrui, da buono è ipocrita, da sincero maligno ... Pronto ad ogni sorta d’ignoranza e ribalderia… che no può essere peggiore».

Bruno denunciava le rendite parassitarie, i privilegi e lo sfruttamento di quanti «dissipano, squartano e divorano»; e chiamava all’impegno civico per impedire che a costoro «non gli sia oltre lecito d’occupare con rapina e violenta usurpazione quello che ha commune utilitate»...
Già i beni comuni, che oggi dobbiamo difendere. E si chiamano istruzione in scuole statali, diritto al lavoro, diritto all’acqua pubblica, diritto a non morire contro la nostra volontà in un letto irto di tubi, diritto alle pari opportunità, diritto a non essere ingabbiati in stereotipi sessisti che torturano... Beni comuni, perché la salvaguardia dignità individuale è il bene comune.
Dipende da noi, perché «è la voluntade umana che siede in poppa», ripeteva Giordano Bruno, consapevole che libertà e giustizia non sono un dono, ma conquista civile che chiede impegno, vigilanza, verità, lotta se occorre.

E dipende da noi! In uno straordinario passo dello Spaccio della bestia trionfante, Bruno usa la metafora della fortuna cieca in modo assai originale per sottolineare che all’inizio tutti sono uguali. Non c’è differenza all’atto della nascita. L’ineguaglianza è costruzione tutta umana.
«Io che getto tutti nella medesima urna della mutazione e moto, sono equale a tutti, […] e non remiro alcuno particolare più che l’altro […]. Da voi, da voi, dico, proviene ogni inequalità, ogni iniquitade». E se queste ineguaglianze ci sono la colpa è dei governi e governanti che vi date: «quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per colpa mia , ma per inequità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima. O non lo spoltroniste o sforfantaste al presente, o almeno appresso […]. Non è errore che sia fatto un prencepe, ma che sia fatto prencepe un forfante».
La giustizia è un diritto e un dovere: «due son le mani per le quali è potenza a legare ogni legge, – scriveva Giordano Bruno – l’una è quella della giustizia, l’altra è della possibilità; (...) atteso che quantunque molte cose sono possibili che son giuste, niente però è giusto che non sia possibile».
È una questione di dignità!