menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

giovedì 5 dicembre 2019

«Occāsŭs» di Diomira Gattafoni (Edizioni Tracce, Pescara, 2019)

Il termine occāsŭs vuol riferirsi, nel medesimo momento, al tramonto, al declino, alla rovina, all'occidente e all'occasione. Tutte le accezioni (… Niente di sorprendente accade a chi scrive. Si muore pensando alle parole, scrive, in LINGUE MORTE, con appassionato pragmatismo, l'autrice di «Occāsŭs», Edizioni Tracce, Pescara, 2019), non tanto e non solo per una perizia etimologica, sono dentro la silloge poetica di Diomira Gattafoni, opera d'esordio contraddistinta da un'evidente, fisiologica, originalità d'invenzione e di riflessione propria di versi che l'autrice dona, cercando manifestamente un contatto non banale con il lettore, cesellandoli in modo erudito.

I componimenti fanno i conti, alludendo al fotogramma aurorale della conseguita consapevole maturità di donna, con la scrittura smart e performante di aedi improvvisati. I testi di tal fatta socialmente egemoni, adatti all'attuale “mercato della bellezza” ed avvezzi al permanente happing pseudoculturale, sono messi in ombra, senza timore alcuno, dall'impegnativa tenzone che Diomira Gattafoni con «Occāsŭs» ingaggia vincendo su criteri di scrittura e lettura piegati alla volgarizzazione dell'arte poetica come luogo di elitaria, edonistica socializzazione e, fatto ancor più importante, convincendo il lettore.

Il paradosso d'una coraggiosa estraneità mai saccente che riverbera autenticità e purezza, in modo sublime, viene così espresso in ANNI LUCE: Sento di non appartenere al mio tempo, Sento che il mio tempo non esiste. Una menzogna intrappolata nell'etere, Una menzogna che non so definire ; le risonanze affettive e spirituali dell'essere nel mondo sono intenzionalmente ed apprezzabilmente consegnate all'estro creativo. Le immanenti “possibilità” della prosa poetica di Diomira Gattafoni, quindi, si dispiegano ridisegnando ed arricchendo la gamma di significati che raggiungono, per questa via, l'universalità del sentire, emancipandosi, in forma gradualmente esuberante, dalla robusta radice biografica.

I ventisei componimenti brevi, alcuni brevissimi, quasi sperimentali haiku, di Diomira Gattafoni, infatti, sono densi, non solo letterariamente, non inclinano affatto al compiacimento di invadenti committenti. Essi, non del tutto estranei alla tradizione post-crepuscolare (… Sempre amico imperfetto, Adesso aoristo disseminato di stelle cadenti …, scrive Gattafoni ne IL TEMPO, lirica d'apertura della raccolta oggetto della presentazione), si candidano, altresì, ad indicare una coraggiosa possibile fuoriuscita da un lungo processo di dissoluzione di forme artistico-letterarie dominanti in Italia.

L'opera cerca palesemente inediti sentieri verso universi linguistici efficacemente votati all'apertura di “senso” del dire e della narrazione poetica, ma – soprattutto – dell'esistenza (come l'autrice verga con enfasi nell'aforistica SIGIR: Amicizia, che grande parola, quella che unisce voi umani disumani. Terribile la vostra storia di ipocrisia e di sopraffazione. Non c'è azione innocua negli adulti che possa rispondere al solo Amore. Amore, Amore, Amore ch'a nullo amato amar… Perdona! Chi perdona?), in maniera anche spietata, morale, scuotendo lo spirito, lodevolmente, senza concessioni alla “maniera”. Scrive l'autrice in D’INCANTO: Vorrei fotografare d'incanto Ogni scorcio adombrato Della tua anima. Sospirare ogni tuo respiro Avvolta nel manto della tua presenza; null'altro che conoscenza e frequentazione degli “altri”, comprensione e confidenza indispensabili a ripudiare e contrastare l'inerte ripetizione di aridi antropologici luoghi comuni.

«Occāsŭs», tuttavia, non esaurisce il suo pregio nella ricerca prospettica d'una prosa poetica come indirizzo estetico nuovo; tutt'altro (citiamo nuovamente, esemplificando, da ANNI LUCE: “ … Sento di aver attraversato tutti i meandri del mio tempo. Quello rimasto abita nel vuoto cosmico. Dimmi che non ti sto cercando invano, mia amata Libertà ...).

L'autrice, usa il linguaggio alto, aulico (come in IMITATIO IMITATIONIS con i corroboranti, espliciti riferimenti a Diogene Laertio, Omero e Tommaso Campanella; come in AΔΙΆΦΟΡΑ, con l'esaltante verso di chiusa pregna di suggestione epica: ... La morte si profila ecosistema che funziona a decomporre gli alibi dell'amore; come in [N]EGO o in LIMES VITAE ed altre liriche contenute nella raccolta) non solo perché lo conosce perfettamente, ed è ermeneuticamente attrezzata, bensì per riconnettere le sensibilità del presente, devastato da sincopati neologismi e da prepotente colonialismo lessicale, alle autentiche radici greco-latine ed etrusche dell'VIII secolo a. C.; tali etimi scaturiscono dai vari antichi sermo plebeius trovando nell’insieme delle varietà un coagulo di convergenze idiomatiche tanto ancestrali quanto genuine in una lingua in grado di programmare il riscatto del “dire” e del “pensare” dal reiterato rischio dell'omologazione ideologica e dello stesso spazio intimo.

Uno degli oggettivi pregi dell'opera risiede proprio nella mirabile amalgama che i versi realizzano tra l'essenza immateriale (il pensiero; il riferimento emblematico è alla splendida TOTENTANZ: Leggevo di un tronco legato alla scure di un desiderio ghiacciato. Il sole lo strinse per il cuore di sughero condannandolo a bruciare. Il ghiaccio che avvampa si chiama amore. Danza solitario il gas nobile gonfio di nomi che sono stati vivi.) e la dimensione tangibile (visibile e sonora) delle parole scritte, come in SANGUE FREDDO (… Non c'è nessuno con cui poetare), in CATASTERISMO DELLA FINE (… Beviamo il giorno, ingoiamo la notte con un nome buttato al vento degli eventiAndiamo nell’ombra dove il sole può violentare dove le tenebre resistono inoffensive al vanto della luce che ci strugge perduti e vinti ...), in DIVINA PAX ( … L'aroma terso che attutisce la più cupa malinconia disarma la contesa ed annuncia la pace dei sensi. L'armonico gusto è l'inestimabile meta dal fulmineo approdo nel senso della pace: regno di satiro e di baccante dell'autentica natura).

«Occāsŭs» è l'opera che svela e trova Diomira Gattafoni pronta ad uscire dal cono d'ombra rappresentato dai non-sense costruiti di Antonio Porta, dal solido “realismo” descrittivo di Elio Pagliarani, dall'esuberante, infocata “narrativa poetica” di Edoardo Sanguineti, intrisa di sapori concettuali e sarcastici, per costituire una soluzione di continuità rispetto alla già corrosiva lirica crepuscolare che ha saputo rifiutare la poetica dannunziana, superomistica e mitizzante, preferendo cantare, in forme dimesse e colloquiali, la stanca condizione umana, o la chiusura nel proprio silenzio personale. Diomira Gattafoni, al contrario, non intende essere passiva rispetto al coriaceo potere della realtà, vuole agire - conscia e insoddisfatta - su di essa, sulla falsariga dell'incomparabile Ada Merini, a sua volta assimilabile allo stile letterario di Dino Campana, procedendo per accostamenti di immagini – riuscendo nell'ardua e gratificante saldatura di ῎Ερως, πάϑος, ἦθος e λόγος -, senza il sostegno di alcun stereotipato collegamento logico, rivelando, viceversa, ad una seconda necessaria lettura, un'identica “fantastica irruenza” saldata ad una genuina esigenza narrativa che l'accomuna senza dubbio alla poetessa milanese.

In LABIRINTO (Pensieri girovaghi si insinuano nell’antro di un uscio precluso. Prospera l’anima autodistruttiva, apice di ogni negazione: ricordo che non potevo volere … Spingevo più in là il destino di detenzione senza sollevare l'ostacolo dell'inibizione ...), la trentaduenne poetessa abruzzese condensa saggezza ed arte, il saper fare e il saper diventare, la ragione che allontana e il corpo che attira, in un guardarsi sincero dentro che diventa cifra dell'umano trascorrere e fonte genuina della sua ispirazione.

Il lettore resta attonito, rilegge avido e resta nell'entusiastica attesa di altri capitoli a venire (… questo occāsŭs è pien di voli ..., Carducci) in un tempo non lontano nel quale il sole di questa scrittura pare non debba tramontare.

Giovanni Dursi



Il testo qui pubblicato appare nel volume come postfazione




lunedì 4 marzo 2019

Diego Fusaro, Pensare altrimenti - Recensione di Giovanni Dursi

Il recente volume “Pensare altrimenti” di Diego Fusaro va letto, discusso collettivamente, soprattutto con i giovani, interpretato e commentato. Perché, in questo contesto storico e sociale turbolento e gravido di serie minacce che possono ulteriormente far regredire verso forme tecnocratiche neo-autoritarie l’ordine capitalistico mondiale, esprimere questa necessità? Prioritariamente, perché è un libro chiaro nell’esposizione; è un testo didascalico. Non è da trascurare lo stile con il quale l’autore argomenta «l’annullamento del dissenso, con annessa uniformazione integrale del sentire e del pensare» (op. cit. pag. 29), mentre «sotto il cielo domina graniticamente il pensiero unico del consenso di massa [ … ]» il quale «predica in maniera compulsiva l’intrasformabilità del mondo [ … ]» (op. cit. pag. 46); la foggia della scrittura è tale da rendere comprensibile a tutti il ragionamento, anche a chi è in fase evolutiva e necessita d’apprendere (in questo caso, il target ideale della comunicazione culturale veicolata da “Pensare altrimenti” è costituito dagli studenti delle scuole secondarie di secondo grado ed universitari – guidati filologicamente nella lettura – che necessitano di imparare a guardare in modo critico e fondato alla condizione umana ed al mondo attuale) ed incrementare l’abilità che consente d’analizzare in modo oggettivo le informazioni disponibili, valutare e interpretare dati e esperienze al fine di giungere a conclusioni chiare e solide.

Il forte incentivo al discernimento, all’analisi razionale puntuale ed alla valutazione di quanto pensato e scritto, è senza dubbio l’evidente valore aggiunto educativo del volume. Pertanto, nelle scuole, nelle Università, nei centri d’aggregazione sociale e di promozione culturale è bene che se ne parli per permettere alle giovani generazioni di fuoriuscire dal monologo di massa, di dissentire e ridare vita alla possibilità di pensare ed essere altrimenti, trasparenti obiettivi culturali di Fusaro ed editoriali dell’Einaudi.
Tuttavia, pur auspicando un’energica ripresa del pubblico contraddittorio sulle questioni del dissenso che «sorge sempre dal sentire altrimenti della coscienza individuale» e «può, poi, organizzarsi in forme corali, che spaziano dalla protesta alla rivoluzione» (ibidem, pagg. 20-21), pur rapportandosi con le leggi e gli ordinamenti, assumendo, tra l’altro, forme diverse quali l’exit (disaffezione che non produce un rovesciamento della situazione) e voice (protesta a cui si conferisce voce per incidere sul funzionamento dell’organizzazione o del sistema), è doveroso confrontarsi con la “lettura” che Fusaro fa del percorso teorico, storico e sociale del dissenso come sentire contro. L’ermeneutica autoriale, a nostro giudizio, sottrae la ricostruzione speculativa al naturale approdo d’una possibile rifondazione epistemologica [1] rifluendo in un discorso di filosofia politica. Da qui, la trasformazione della qualità didascalica dell’opera in un impaccio, per quei lettori che filtrano le nozioni grazie ad una più ampia consapevolezza rispetto alla tradizione del pensiero politico moderno, da Hobbes a Hegel, transitando per Locke, Rousseau, Kant, Marx e del Novecento e che, in definitiva, possono giudicare secondo il parametro dell’offerta di nuovi strumenti concettuali che, lo sforzo elaborativo di Fusaro, pare non donare.
Volendo usare il lessico kantiano, le pagine del libro non favoriscono l’estensione della conoscenza, bensì si sviluppano nell’ambito d’una concezione razionalistica, pur comprensibile nell’intenzione euristica e di diniego dell’individualismo autistico; per questo motivo, esse stesse rivendicano ulteriore approfondimento ed apertura di prospettiva per una fertile congiunzione degli auspici teorici con il movimento reale e trasformativo delle materia sociale. C’è un altro modo di porsi del pensiero critico, oppositivo, antagonista, anche come intelligencija (ricordiamo che è Hegel, come Fusaro sa, ad introdurre una distinzione importante tra le nozioni di «società civile» e «Stato» e che quest’ultimo viene concepito da Marx come «sovrastruttura» rispetto alla società civile in modo da portare luce sull’antitesi non risolta tra contenuto e forma, tra individuo concreto e cittadino astratto), un “modo” che diventa “mondo”. La modalità dialettica di relazione del pensiero con la storia nega l’analogia strutturale tra accumulazione di ricchezza nell’organizzazione capitalistica della produzione, da parte dei centri di potere globale, e l’indefinito deposito di conoscenza in poche menti le quali, non socializzando il sapere altro, se non al di dentro delle forme d’espressione consentite (appunto) e rituali nello stabilizzare la gerarchia sociale e le funzioni in essa normate [2], non mutandolo in strumenti d’azione trasformativa, concorrono a conservare la «contraddizione nella quale si trova il bourgeois con il citoyen, nella quale si trova il membro della società civile con il suo travestimento politico» [3]. È ai Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (i GRÜNDRISSE del 1857-58) [4], al Frammento sulle macchine, in particolare (un concentrato teoretico di quattordici pagine, contenuto nel secondo volume dell’opera) che – come pista di ricerca sulle disobbedienze che possono assurgere ad un ampio programma di riconfigurazione dell’assetto sociale – è necessario andare per cogliere le possibilità del requisito più evidente della socialità dell’individuo odierno – il general intellect -, per determinare, nell’epoca cosiddetta dell’avanzato post-fordismo, il ruolo dell’intellettualità in quanto tale, essa stessa messa al lavoro, cioè del linguaggio, della conoscenza, delle categorie interpretative, della socialità, delle relazioni affettive e dei rapporti interpersonali, presi per se stessi quali luoghi dell’esistenza alienata e potenzialmente luoghi d’orientamento e d’innesco dell’insubordinazione sociale [5].
Non si può concordare, quindi, con l’idea di Fusaro secondo la quale – parafrasando quanto sostiene Bernardino Telesio nel De rerum natura iuxta propria principia (1586), impegnato in una pratica di ricerca della conoscenza fondata sulla sensibilità [6] – il «dissenso» allude all’«ambito delle passioni» e non sia correlabile alla condizione materiale dell’esistenza umana, unico fattore di metodo e di invenzione rivoluzionari, con le conseguenze biopolitiche ed ecosistemiche che ne scaturiscono.
Leggendo e decifrando attentamente il filo logico- argomentativo che intesse la suggestiva trama del saggio, con specifica attenzione ai Capitoli 3 Gradi e forme del sentire non omologato e 4 Democrazia e dissenso (op. cit. pagg. 18-32), – innervata dalla robusta radice della Scuola di Francoforte alla quale Fusaro attinge riecheggiando l’horkheimeriana «nostalgia del totalmente altro» (o, blochianamente, del non-ancora) -, si coglie la pretesa dell’autore di aver individuato la determinazione ontologica, espressa impressionisticamente da variegate forme di soggettività (la ribellione di Prometeo come prototipo di ogni, successivo temporalmente, assalto al cielo, che troverebbe in Occupy Wall Street e nel caleidoscopico irrompere nella contemporaneità di ulteriori pronunciamenti organizzati di resilienza, resistenza ed opposizione sociale), che sancisce non esserci soluzione strutturale al determinarsi storico della sussunzione reale della società nel capitale.
Infatti, Fusaro, cogliendo la necessità di ripensare le possibilità dell’individuale incastonandole, dunque, in un essenziale impulso etico, scrive in un passaggio evocativo, ad un tempo, di Eschilo, Fedro, Omero, Platone, Kant, Gramsci, Adorno e Fromm ed altri ancora:
«È solo dissentendo, e organizzando in forme strutturate il proprio sentire altrimenti, che l’individuo può maturare come soggetto, ossia come portatore di un sua visione critica e personale, scelta liberamente e non accettata passivamente perché imposta dall’ordine simbolico dominante [ … ] Il dissenso come rifiuto dell’autorità e del potere – politico o ecclesiastico, reale o simbolico – costituisce il gesto originario della civiltà occidentale [ … ] pone in essere una tensione tra la coscienza dell’individuo che sente altrimenti, e che può organizzare socialmente il proprio sentire, contro i cristalli del potere e dell’ordine politico, ossia contro quelle realtà che, almeno nelle tradizione occidentale, da sempre si connotano come volontà di ordine e di stabilità, di consenso e di creazione di quella docilità irriflessa che viene detta obbedienza» (op. cit. pagg. 14-15); più avanti, riguardo al presente, sollecita l’eresia rispetto «al monoteismo idolatrico del mercato, al fanatismo economico-finanziario» in grado di rinsaldare diuturnamente «un consenso universale e una sincronizzazione di massa delle coscienze» (ibidem, pag. 17).
Del tutto evidente che secondo Fusaro le incarnazioni dell’ordine costituito e i loro doppi ribelli, il gioco affascinante tra l’essere e il poter essere sono irrisolvibili; il filosofo torinese, pur mantenendo una tensione tra effettività e alterità, non sembra riuscire a costruire uno sguardo, in qualche modo necessario, che scruti anche oltre la tradizione della teoria critica, evitando d’avvitarsi in un auspicio di cambiamento senza prassi rivoluzionaria, e che si congedi dalla mera teoresi superando lo stesso impianto speculativo. Le insuperabili aporie del pensiero critico-negativo francofortese si ripresentano non modificate nel pensiero di Fusaro che aggiorna le idee di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno contenute in Dialettica dell’Illuminismo (1947), messe fruttuosamente all’opera nei cantieri politico e sociale, nei tre decenni successivi alla pubblicazione, dai movimenti di massa femminili, studenteschi e proletari per ribellarsi al processo di riduzione della cultura a merce, per contrastare la legge dello scambio estesa ai prodotti dell’ingegno umano che l’industria culturale valuta secondo logiche di profitto e che, oggi, assumono la fisionomia di inevitabile critica all’I. C. T. ed alla digitalizzazione della produzione e della riproduzione sociale .
Certo Fusaro s’avvede che la la democrazia reale «resta un orientamento teleologico, una meta a cui tendere, non certo una forma politica già realizzata nelle strutture dell’esistente» (ibidem, pag. 25). Dalla constatazione ne trae, però, conferma il suo pathos inesauribile, eclettico, talvolta polemico mass-mediaticamente, ma soprattutto esortativo ed etico (non paia bizzarro, ma ciò ha un afflato psicologico e morale simile al racconto biografico di Ignazio Silone Uscita di sicurezza, Vallecchi, 1965). Affermare quanto segue
«le dicotomie oggi imposte dal politicamente corretto, come quella tra destra e sinistra, tra atei e credenti, tra islamici e cristiani, tra fascisti e antifascisti, tra stranieri e autoctoni, rendono invisibile la contraddizione – il nesso di forza capitalistico – e assumono lo statuto di risorsa ideologica e simbolica per l’assoggettamento dell’opinione pubblica al profilo culturale di quella teologia delle diseguaglianze che è l’odierna economia di mercato» (ibidem, pag. 67),
non crea scandalo perché è un sapere di classe già sedimentato e, a ben osservare rebus sic stantibus non lo crea almeno dalla fine degli anni ’60 del Novecento né le “primavere araba, europea e statunitense” l’hanno smentito. Ne consegue la disarmonia del lògos con le attuali urgenze sociali quando si scopre intento a promuovere un dislocamento dell’analisi, un suo salto in avanti, che non sia legato ad una forza, ad un soggetto che questo salto opera (attitudine diffusa, come già A. Negri, cit. in Nota 3, ha evidenziato in altra circostanza).
È gradevole e corretto il sofisma che recita: «Mutuando liberamente la sintassi di Heidegger, potremmo sostenere che, nella società del consenso universale e del conformismo di massa, il dissenso è esso stesso in preda al Si anonimo ed impersonale: ciascuno dissente come si dissente. E questo non solo perché il dissenso si capovolge puntualmente in anticonformismo e, quindi, in un nuovo conformismo, che semplicemente rovescia il paradigma dominante già assumendolo come proprio riferimento» (ibidem, pag. 63); l’ingegnosa coerenza formale, inoltre, non nasconde la verità di un potere che gestisce il consenso e, sempre più spesso, anche il dissenso, creando il consenso, pilotando, dirigendo ed incanalando il dissenso, di modo che che il primo sia garantito (e non messo a repentaglio), per via negativa, dal secondo; tutto ciò spiega che, apparentemente orizzontali i rapporti sociali, sono resi impossibili dall’ordine globale, il quale si regge strutturalmente e non per accidens, sul classismo e sulle disuguaglianze (ibidem, pag. 65); nondimeno, lo sviluppo reale della scienza sociale è guidato, più o meno coscientemente, dall’ideale d’una scientificità progressiva, cioè d’una capacità autonoma d’attribuire rilevanza differente alle azioni sociali, le quali saranno fondate sulla conoscenza quanto più possibile rigorosa delle leggi oggettive del movimento della materia sociale, quindi non abbandonate al predominio dell’opzione teorica filosofica glamour o all’intuizione degli operatori ideologici; di conseguenza, il compito urgente ed anche più impegnativo che spetta ai ricercatori sociali di verità è quello di evitare meri affreschi sul presente e di porre in questione lo stesso punto di vista dal quale si prendono le mosse, analizzandone il significato storico ed attuale, mettendone in rilievo i limiti e le condizioni di immanenza, indicandone eventuali linee di riorientamento ed i pericoli inerenti. Fusaro ne è consapevole quando afferma convinto che «il primo gesto di un dissenso autentico, non manipolato dall’ordine simbolico dominante, consisterebbe nel congedo da queste false dicotomie [nesso di forma capitalistico] e nella presa di posizione rispetto alla contraddizione reale» (ibidem, pagg. 67-68 e cfr. Capitolo 12. La neolingua e il nuovo ordine simbolico, pagg. 96-109) e prospetta il commiato dalle grandi narrazioni, senza però accorgersi che non si esce dal resoconto storico-teorico, a lato di espedienti critici e demistificanti che pur si producono nel dibattito pubblico, se non indicando l’immediata agibilità di un’azione contro lo stato presente di cose, partendo proprio dalla condizione sociale data.
In questo quadro il primo problema che pone, in verità, l’argomentazione di Fusaro è quello relativo all’incidenza dell’opposizione nel processo di formazione e promozione dell’indirizzo politico-sociale, nonché nel processo di controllo della sua attuazione; il fallimento dei sistemi costituzionali e parlamentari è sotto l’osservazione di tutti e, perciò, anche di Fusaro che non può fare altro che ritenere le opposizioni perversamente complementari all’assunzione di responsabilità di governo, entro un gioco delle parti che – essendo il “sistema” d’organizzazione economico-sociale secolarmente acclarato – può anche veder rovesciato il ruolo degli attori senza, peraltro, sovvertire la governance; in altri termini, il ruolo giocato dagli antagonismi sociali che esprimono dissenso si incarna in un’attitudine partecipativa che genera per sua natura meccanismi procedurali di manipolazione identitaria e di subordinazione delle soggettività antagonistiche.
Recensione in mentinfuga
La mediazione oppositiva è annichilimento dell’autonomia del pensare altrimenti ed agire contro (cfr. ibidem Capitolo 18. Dissento, dunque siamo, pagg. 144-156).
Pertanto, quando la critica dell’esistente non si pone nell’ottica d’una funzione oppositiva non integrabile (antisistema), quando non è in grado d’emanciparsi dalle mere dimensioni contestative sussumendo l’alternativa sistemica globale [8] – porre il problema del “potere politico” è l’orizzonte che va aperto -, rinuncia palesemente al progetto di liberazione umana che prevede il consenso dell’uomo ad un’inevitabile alternativa collettiva “totale” ed una coscienza traducibile in un’antropologia, in un’utopia – coincidente con quanto non è stato ancora realizzato, il non-ancora-attuale, la possibilità, l’immanente alternativa – originariamente e socialmente fruibile.
Al Pensare altrimenti di Fusaro manca un bilancio utopistico e rimane impigliato nell’angosciante assenza di un progetto storicamente determinato contro l’«integralismo economico globale» (resta irretito dalla stessa invenzione retorica dell’«ideologia del medesimo», rif. ibidem pagg. 77-86) intenzionalmente capace di scardinare davvero le strutture sociali conosciute. Tale sorta d’anomia intellettuale si limita a riconoscere, in ogni antinomia sociale, momenti “simbolici” del suo superamento, affermando l’idea di questo bisogno, ma rinculando nell’irrazionale della buona volontà filosofica: «il grande dissenso verso l’integralismo economico globale è chiamato a organizzarsi». Questo è certamente vero, ma non è sufficiente per rinnovare la storia umana, non per discendere dal cielo sulla terra, bensì per salire dalla terra al cielo.

Note
[1] Rif. a L. Althusser, Pour Marx, 1965; nella traduzione italiana, si consiglia la lettura dell’opera pubblicata da MIMESIS EDIZIONI, curata da Maria Turchetto; inoltre, a corredo, si propone anche C. Panciarola, Filosofia e politica nel pensiero francese del dopoguerra, Loescher, Torino, 1979.
[2] Non va evitata la portata dell’agire funzionale delle istituzioni ed agenzie formative nel dare impulso al “consenso” di massa; a tal proposito, resta esemplare la puntuale disamina contenuta nel volume di S. Stohr e I. Spano, Scuola e riproduzione dei rapporti sociali – Linciaggio, cultura di classe e disadattamento, Giorgio Bertani Editore, 1975.
[3] K. Marx, Sulla questione ebraica, in La questione ebraica e altri scritti giovanili, Editori Riuniti, Roma, 1974, pagg. 57-59.
[4] Si consiglia l’edizione de La Nuova Italia, Firenze 1997. I GRÜNDRISSE, secondo A. Negri sono “il progetto di rivoluzione che il “lavoro vivo” costruisce dall’interno della struttura della produzione capitalista. I Grundrisse sono insieme una “pratica teorica” che assume la rivolta del “lavoro vivo” nella crisi – considerando questa crisi come occasione rivoluzionaria – ed anche, come ben sottolinea Enrique Dussel, un motore generativo delle categorie di analisi dello sviluppo capitalistico” – Fonte: UniNOMADE 2.0 , 29.01.2013.
[5] Per inquadrare la questione dal punto di vista delle condizioni economiche delle disuguaglianze in essere, utile il volume di T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani / RSC,Libri, 2014.
[6] Del resto, Telesio prevede un’analisi globale ed al tempo stesso dettagliata del mondo, comprese passioni, azioni, operazioni ed aspetti delle singole parti e delle cose che esso contiene.
[7] Gli environment digitali e l’intelligenza “artificiale” (in grado di attingere al significato – semantic – delle informazioni disponibili), le piattaforme web integrate (manipolata nuova edizione dell’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers del XVIII sec.), i mass-media ed i dispositivi digitali che portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. La questione è stata adeguatamente trattata da R. Curcio in L’impero virtuale – Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale, Sensibili alle foglie, 2015; una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale; altrettanto utile, la lettura di Renato Curcio (a cura di) L’egemonia digitale – L’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, Sensibili alle foglie, 2016; ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”.
[8] Vedere i Capitoli 14. Disobbedienza, rivoluzione, ribellione, pagg. 115-121 e 17. Due minuti all’odio, pagg. 135-143, op. cit.

Diego Fusaro: Pensare altrimenti, Giulio Einaudi Editore, 2017, pagine 176, € 12,00