menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
Visualizzazione post con etichetta General Intellect. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta General Intellect. Mostra tutti i post

mercoledì 11 aprile 2018

Pensiero critico - Media education, come creare il “cittadino scientifico” nella società digitale

La Media Education concorre alla formazione del “cittadino scientifico” della network society proprio perché l’uso delle nuove tecnologie deve comportare un’attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni, l’uso responsabile dei mezzi di comunicazione, un interesse a impegnarsi in reti con scopi culturali.

Il pioniere degli studi sulla comunicazione sociale e precursore del World Wide Web, Marshall McLuhan, circa la non neutralità dei mass media affermò cheil medium è il messaggio” [1]. In altri termini: un insieme di risorse informative che la rete rende disponibili prevede una comunità di individui che usa consapevolmente Internet per comunicare, informarsi, apprendere ed effettuare transazioni; prevede un’organizzazione culturale delle conoscenze e competenze, immanenti all’insieme di risorse informative rese fruibili dalla rete, che possa esprimersi in modalità coscienziali.

La network society e le contraddizioni tra “pensiero” e “applicazioni”

Le contraddizioni tra procedure, tecnica (funzionalità) e pensiero critico (abilità che permette di indagare cercando riscontri oggettivi e di verificare le informazioni acquisite, di valutare e interpretare dati e esperienze al fine di giungere – autonomamente – a conclusioni chiare e precise), tra “efficacia operativa” e “razionalità” e, generalizzando, tra “lavoro manuale” e “lavoro intellettuale”, non sono storicamente una novità. Tuttavia, l’asse portante dell’attuale network society, sembra divaricare in modo accentuato la “fruizione” dal “senso”, il “lessico” dalla “semantica”, permeando le relazioni sociali con la peculiare dicotomia, pedagogicamente nociva per lo sviluppo culturale della società, tra le “abilità” e le “esperienze della riflessione”.

Nella contemporaneità, essere edotti sull’evidente contraddizione tra il “pensiero”, generato e sostenuto dal sistema tecnico-economico, e le “applicazioni” è di fondamentale importanza per saper valutare le informazioni che si vogliono gestire e ben progettare le azioni che si intendono intraprendere. Si tratta non di una velleitaria singola life skills, ma di un insieme organico di sotto skills che portano il soggetto a saper svolgere diverse operazioni:
  • la chiarificazione come capacità di vagliare e mettere a fuoco la questione e attribuire ad essa un significato
  • l’analisi come capacità ad articolare la problematicità della questione nei suoi aspetti diversi, analizzandone anche i punti impliciti
  • la valutazione, il saper accertare il valore delle fonti di informazione verificandone l’attendibilità, l’accordo tra esse, la credibilità
  • l’influenza come capacità di ampliare i dati di partenza, tramite inferenze e deduzioni
  • il controllo come abilità nel saper monitorare il ragionamento durante tutto il processo

Capacità di critica e gestione delle tecnologie: la Media Education

L’assenza della capacità di critica – nel campo dell’I. C. T. – si rileva, esemplificando, nella scarsa considerazione delle derive mercantili indotte dall’obsolescenza programmata, quella strategia produttiva che causa la “svalutazione economica di un bene o di uno strumento di produzione derivante dal progresso scientifico e tecnologico che ne fa immettere continuamente sul mercato di nuovi e più sofisticati”. Esercitare la critica, viceversa, vuol dire discernere, distinguere consentendo alla mente di suddividere gli oggetti di pensiero in ricevibili e non-ricevibili, di produrre rappresentazioni attendibili della realtà, di non cedere alla logica che rende precocemente obsoleto ciò che ha un ciclo di vita più esteso [2].
Il ragionamento allude ad una necessità storico-sociale: conciliare le prassi sociali di produzione e consumo (comprese le innovazioni tecniche) con lo sviluppo cognitivo e di personalità individuale e collettiva per definire in modo rigoroso una persona come digital-addicted.
La conoscenza e la capacità di padroneggiare e gestire strumenti tecnologici non è scindibile dalla capacità di veicolare ed interpretare i contenuti che vengono trattati con i diversi media, dai libri (strumenti quest’ultimi ben lontani dallo scomparire, anche perché spesso valido antidoto a certa superficialità mediatica) ai mezzi digitali.
Il potenziale scientifico insito nella riorganizzazione odierna dei sistemi di produzione  e riproduzione della formazioni economico-sociali ha posto le basi allo sviluppo delle reti di telecomunicazione, alla nascita dei circuiti integrati e dei microprocessori, allo sviluppo dei protocolli di comunicazione digitale e, infine, all’avvento di interNET (come infrastruttura di telecomunicazioni) e del WEB (come ragnatela di contenuti digitali legati tra loro attraverso collegamenti ipertestuali), ma non ha innescato contestuali percorsi di “cittadinanza scientifica”.
È così emersa la network societycome forma dominante di organizzazione socio-economica della nostra epoca -, ma ancora tardano ad apparire i “cittadini scientifici” essendo deficitari della consapevolezza necessaria nel distinguere l’alfabetizzazione digitale dell’essere online dal saper usare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informatica (TSI) in ambito lavorativo, comunicativo e nel tempo libero; nell’essere consapevoli di come le TSI possono incentivare la creatività e l’innovazione; nel comprendere le problematiche legate all’efficacia delle informazioni disponibili e dei principi giuridici ed etici che si pongono nell’uso interattivo delle TSI.
La Media Education [3] trova oggi il terreno di intervento nel concorrere alla formazione del “cittadino scientifico” della network society proprio perché l’uso delle TSI deve comportare – evitando “passività”, “alienazione”, “subalternità” -, un’attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni disponibili, l’uso responsabile dei mezzi di comunicazione interattivi, un interesse a impegnarsi in comunità e reti con scopi culturali, sociali e/o professionali.
È noto che esiste «una vera e propria funzione attiva o formativa messa in atto dai media sul pubblico, perché, al di là della discordanza tra le teorie degli effetti dei media, non si può dubitare del fatto che essi abbiano la capacità di trasmettere messaggi, fornire modelli di comportamento, mettere in risalto opinioni e valori» [4]; non è altrettanto chiaro che su questa dimensione empirica si debba innestare un’intenzionalità socializzatrice nonché d’istruzione e di coerenti percorsi curricolari didattici, educativa e formativa; non è del tutto condivisa la necessità di  introdurre processi semplici e lineari riassumibili in due cardini: “orizzontalità” e “knowledge experience”.

Media Education, media literacy e pensiero critico

L’attuale tematizzazione culturale e pedagogica della Media Education, a partire dall’uso stesso di questa efficace dizione, si deve a Len Masterman nei primi anni Novanta, collocandosi in una zona di incrocio fra Cultural Studies ed “educazione attiva”, il concetto di “Sistema formativo” e di educazione alla cittadinanza. L’aspetto  più recente della Media Education risiede nella sua identità epistemologica che tiene insieme l’alfabetizzazione (media litercy) e il “pensiero critico”, l’educazione dei soggetti come fruitori e come produttori di messaggi, la multimedialità come ricombinazione degli elementi della dimensione extragenetica, artificiale, culturale della condizione umana, come “attualità antropologica” che incorpora una strategia didattica pervasiva dove i media di longeva configurazione e nuova generazione interagiscono nei processi di socializzazione e, precipuamente, d’insegnamento e apprendimento [5].
Conseguentemente, l’orizzonte della Media Education non è riducibile al solo fare qualche “buona esperienza” utilizzando una certa strumentazione tecnologia, ma a come l’organizzazione sociale e le istituzione delegate alla formazione sono in grado di assumere i media come parte integrante della propria fisiologia d’inclusione sociale e di metodologie apprenditive, investendo risorse e competenze per migliorare la formazione nelle conoscenze e nelle competenze di cui la scuola ha la prerogativa pedagogica [6]. La Pedagogia della Media Education mette in evidenza la necessità di uscire dal paradigma difensivista, tipico di una cultura che vedeva nei media soprattutto i caratteri dell’aggressione culturale. La Media Education [7] oggi si propone come strategia di empowerment, di emancipazione culturale, persino di uscita dalla subalternità d’una gerarchia sociale cristallizzata.

La Media Education e l’oligarchia delle produzioni digitali

Ancor più efficace il ruolo della Media Education risalta quando si osservano fenomeni costitutivi d’una nuova e potente oligarchia planetaria delle produzioni digitali [8]. InterNET ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. La Media Education propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano l’immaginario umano a fini di profitto economico e di controllo sociale. Può mettere in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare forme di dominio, discriminazioni, esclusione scoiale. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione di beni e servizi Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione dall’ignoranza.
Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri è stato chiamato familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Eventi di stringente attualità.
Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente attraversano la condizione umana fino al punto di chiamare in causa il singolo, infine, la Media Education può intervenire con efficacia per contrastare quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico [9].

Note
[1]  Cfr. Understanding Media: The Extensions of Man, 1964.
[2] Cfr. A. Maestri, F. Gavatorta, Content evolution. La nuova era del marketing digitale, FrancoAngeli Edizioni, 2015.
[3] La Media Education è un’attività, educativa e didattica, finalizzata a sviluppare una informazione e comprensione critica circa la natura e le categorie dei media, le tecniche da loro impiegate per costruire messaggi e produrre senso, i generi e i linguaggi specifici, in grado di orientare verso l’uso consapevole dei media e dei dispositivi tipici dell’Information and Communications Technology.
[4] Rif. a D. Felini, Pedagogia dei media, Questioni, percorsi e sviluppi, Editrice La Scuola, Brescia, 2004.
[5] Cfr. a cura di R. Farné, Le buone pratiche di Media Education nella scuola dell’obbligoUna ricerca empirica in Emilia-Romagna, 2010; reperibile al link: http://www.corecomragazziemiliaromagna.it/pdf/media_education.pdf
[6]Op. cit.  Le buone pratiche di Media Education
[7] Rif. J. Gonnet, Educazione, formazione e media, Armando, Roma, 2001. P.C. Rivoltella, Media education. Modelli, esperienze, profilo disciplinare, Carocci, Roma, 2001. D. Buckingham, 2006, Media education. Alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea, Erikson, Trento, 2006.
[8]Approfondite analisi su questi temi sono contenute in R. Curcio, L’IMPERO VIRTUALE – COLONIZZAZIONE DELL’IMMAGINARIO E CONTROLLO SOCIALE, Sensibili alle foglie, 2015; a cura di R. Curcio, L’EGEMONIA DIGITALE – L’IMPATTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE NEL MONDO DEL LAVORO, Sensibili alle foglie, 2016; R. Curcio, LA SOCIETÀ ARTIFICIALE – MITI E DERIVE DELL’IMPERO VIRTUALE, Sensibili alle foglie, 2017.
[9] Cfr. opere citate in nota 8.
Fonte: 
AGENDA DIGITALE

sabato 27 maggio 2017

Note per la cultura - 7 - A volte capita di pensare, scrivere, agire ...

Stupido è chi lo stupido fa!” questa è la frase che Tom Hanks nei panni di Forrest Gump usava per difendersi (intelligentemente) dagli attacchi di chi lo etichettava come stupido nell’omonimo film di Robert Zemeckis (1994).

Forrest aveva ragione perché il concetto di stupidità umana (argomento purtroppo vastissimo e ancora inesplorato adeguatamente dal punto di vista bio-psichico) è relativo e spesso utilizzato a sproposito: quasi sempre sono gli atti, le decisioni, le prese di posizione ed i dogmatismi a essere stupidi, in pratica i comportamenti, a configurare l'essere stupido. Si può essere stupidi di natura, ma spesso lo si è per propria volontà. Lo si è sopratutto quando si tradisce la fiducia degli altri ed intenzionalmente si adottano specifici atteggiamenti negativi denunciando uno stato alterato di coscienza.
Il termine deriva dal latino stupĭdus, derivato di stupēre «stupire»; in letteratura trasla nel significato di “preso da stupore, attonito, sbalordito”; ”che è in una condizione d’incapacità o insensibilità indotta da meraviglia, sorpresa, o da altre cause fisiche o morali”; Dante scrive “Non altrimenti stupido si turba Lo montanaro, e rimirando ammuta, Quando rozzo e salvatico s’inurba“; Manzoni: “sopportiamo non rassegnati ma stupidi il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile”. Nel significato di torpido, ottuso, o che induce uno stato di torpore, di ottundimento dei sensi o dell’intelletto, l'usa il Parini: “Non più serti di rose ... Ma stupido papavero, grondante Di crassa onda letea; come il vate: “succedeva al sopore stupido la quiete naturale del sonno” (D’Annunzio). Nell’uso comune: che ha, o denota, scarsissima intelligenza, lentezza e fatica nell’apprendere, ottusità di mente.
Quando s'affermò la teoria delle intelligenze multiple che sostiene la contestuale esistenza di altre diverse forme di intelligenza oltre a quelle logico-matematica e linguistica (Howard Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, 1987, 2002), sfidando il tradizionale punto di vista sull’intelligenza considerata come una capacità unitaria che può essere misurata attraverso i tests (tanto cari agli obnubilati INVALSI), non si era ancora pronti a degustare l'idea secondo la quale, nell'intrico delle connessioni neurologiche ove risiedono le localizzazioni neurofisiologiche delle competenze intellettuali autonome, c'è possibilità di altrettante plurime espressioni di ignoranza, ottusità, confusione, offuscamento, deficienza con il corollario di aberranti cedimenti psico-sociali (stereotipi e pregiudizi) e morali (disonestà intellettuale).
Spesso non ci si rende conto, ma la stupidità la si incontra, la si sopporta, la si combatte. Quando affiora il malessere relazionale, la concausa più pervasiva risiede nel comportamento dell'interlocutore portatore di stupidità. Per quanto riguarda i luoghi di produzione culturale – come la scuola, l'Università, l'intelligencija "diffusa" – le condotte evidenziate sono poste al centro di una dissennatezza generalizzata; tale irragionevolezza è data per lo più dalla compresenza d'una lacerazione di una memoria comune (rif. a paraocchi equini) e dallo smarrimento di ogni tensione morale (mors tua vita mea). Spesso la condizione di insania (contraddizioni tra pensiero, eloquio ed azioni) genera edulcorate narrazioni delle situazioni e le voci narranti producono menzogne. Si, è constatabile la contestuale presenza di “formazione culturale” e “stupidità”. Ciascun contributo di balordaggine, qualsiasi reperto d'una quotidianità pregna di oltraggio all'intelligenza, mira a mostrare come alcuni esiti tragici dello scivolamento dal “sapere” all'“essere come se non si sapesse” siano il precipitato di percorsi ritenuti normali, nonostante siano manifestamente la costituzione in medias res di rapporti miopi e poco avveduti. Percorsi sociali e professionali in cui gradualmente i saperi agiti – forse unico caso di autentica inter-transdisciplinarietà ! – nell’apparente e rassicurante oggettività ed equidistanza dalle loro formulazioni, hanno scavato il terreno su cui sono radicate le più rigorose e violente forme di stupidità sociale, perchè in rari casi si vive come il proprio sapere (consentirebbe). Anzi, quante più nozioni si posseggono, tanto più convenzionale ed incolta è la mentalità. Paradossale ?
Non più di tanto, considerata l'esperienza quotidiana.
Il dipanarsi della vicenda della mediazione tra l’essere ed il dover essere, nel percorso di consolidamento delle identità individuali e delle relazioni attori-mondo, lacera il “velo di Maya” che non è più sufficiente a coprire l'immonda ambiguità borghese. Identità, negazione ed alterità soffocata dalla stupidità diffusa, dislocate sul terreno bifronte della contrapposizione e della interiorizzazione reciproca, divengono coefficienti di una percezione di sé e dell’altro che deroga dal processo controverso dell’organizzazione dell’umano. Come si fa – testardamente – a non capire che il diaframma delle identità è via via aperto, seppure indefinitivamente, attraverso l’apporto della dialettica, sino a rivolgere la consapevolezza filosofica dell’essere, di là dai confini dell’autosufficienza, alla sua natura intimamente relazionale. É la stupidità, bellezza ! Stupidità ignara del fatto che il rispecchiamento di Sé nell’altro da Sé diviene, a diversa ragione, catalizzatore del superamento dell’autarchia del soggetto ed elemento qualificante il ruolo delle dinamiche di riconoscimento/misconoscimento nell’ambito della riflessione per migliorarsi. Da questa prospettiva, certo, ben si comprende come un’identità morbosamente bloccata, deprivata del rapporto con la propria base emozionale, “possa volgere tale struttura interiore di terrore e dominio in un terrorismo esterno, avendo proiettato e collocato nell’altro il fondo negativo della propria identità”.
Si tratta di prendere atto, nelle more dell’incipiente giuridicizzazione (la gabbia della formalità costituita) della società occidentale, il senso e la misura di un percorso mai domo di implementazione culturale, di incubazione progressiva e discontinua di stupidità che si mette in gioco e ragione. L’ignoranza dell'altro, innervata a ridosso dell’anticollettivismo premoderno, raccogliendo la vernacolare eredità medievale, precipita negli interstizi della contesa, giuridica ma non soltanto giuridica, tra civiltà e ignoranza. Per ora, nel contesto dato, si mostra solo una perniciosa penetrazione del pregiudizio nei luoghi della ragione.
Sono eliminabili la stupidità e le stereotipie ? È questo l’interrogativo che va acclarato, indagando tra i refusi della dia-logicità di matrice discriminatoria, tutt'altro, quindi, che inclusiva. Emergono intendimenti neotribali ed una diversificata nefasta progettualità che tende al “potere”, quand’anche intrise della medesima cifra di intolleranza e disprezzo dell’alterità. La maniera “civile” borghese è la foglia di fico d'una prassi dell'introversione che connota l’approdo di alcuni "operatori della cultura", unitamente ad altri profili professionali, nel porto sicuro del conservatorismo e della negazione della collaboratività, nel gruppale appello mistico e disperato alla resurrezione dell'innocuità del fare fine a se stesso, nell'ebbra coalizione contro presenze scomode non essendo più in grado di convivere neanche con la rituale tolleranza.
Contro quanto descritto, se il celebre dipinto “L'urlo” (1893) del pittore norvegese Edvard Munch stenta a conservare la sua alta dignità storico-artistica, il semplice urlo dolente ed antagonista formato black bloc fa la sua figura. Purtroppo, non ancora del tutto agli occhi degli stupidi.
La ragione ci comanda più imperiosamente assai d’un padrone;
perché disobbedendo al padrone, sarai disgraziato;
ma disobbedendo alla ragione, sarai uno sciocco - Blaise Pascal

sabato 18 febbraio 2017

Autoproduzioni multimediali indipendenti

“Duepuntozero”, parliamo di autoproduzioni multimediali indipendenti [speciale Zic+video+foto] - By

http://www.zic.it/
Le foto dell’ultima giornata di Duepuntozero, i video e audio degli incontri con Radio Onda d’Urto, Andrea Ronchi e Simone Aliprandi. Infine, il nostro numero speciale con le riflessioni di Smk, Zic e RadioAlSuolo.

10259702_10201952265626817_8645972205372613504_nDopo la prima bolognese di “Vite al centro” e poi il Rèvolution touR con Wu Ming e la presentazione de “L’Armata dei Sonnambuli”, sabato scorso “Duepuntozero – Autoproduzioni multimediali indipendenti” si è chiuso con tre incontri a cura di RadioAlSuolo, Zic.it e Smk anticipati dal pranzo autogestito targato Eat the rich.
Il primo incontro, “Radio 2.0: info e musica in movimento”, ha visto la partecipazione di Radio Onda d’Urto da Brescia. Poi “Informazione e tutele legali” con l’avvocato Andrea Ronchi ed infine “Licenze Creative Commons e multimedia”, con Simone Aliprandi (responsabile del progetto Copyleft-Italia.it). Al termine degli incontri, la tre giorni sulle autoproduzioni multimediali indipendenti si è conclusa con i vinili di Bologna Calibro 7 Pollici e Folpower (Cannonball Allnighter).
Pubblichiamo i video del primo e del terzo incontro, l’audio del secondo e le foto della giornata. Inoltre, mettiamo a disposizione dei nostri lettori lo speciale di Zic con le riflessioni del nostro giornale, di RadioAlSuolo e di Smk sul mondo dell’autoproduzione indipendente.
> Scarica il numero speciale di Zic / Duepuntozero: pdf
(oppure leggi i testi in fondo a questa pagina)
> Guarda il video dell’incontro “Radio 2.0: info e musica in movimento”:
> Ascolta l’audio dell’incontro “Informazione e tutele legali”:
> Guarda il video dell’incontro “Licenze Creative Commons e multimedia”:
> Guarda le foto della terza giornata:

> I testi dello speciale cartaceo realizzato da Zic in occasione di Duepuntozero:
logo-smk-traslaEra il 29 aprile 2009, quando mostravamo per la prima volta al pubblico il nostro primo
documentario lungometraggio: “La Resistenza Nascosta. Viaggio nella scena musicale di Sarajevo”. In quel preciso momento nasceva SMK Videofactory. Un progetto collettivo, un percorso autodidattico che ci ha permesso di individuare e sperimentare, in un’epoca di crisi economica e culturale, nuovi modelli di autoproduzione cinematografica, riuscendo a realizzare, tra i vari format video, anche 6 documentari lungometraggi:
– La Resistenza Nascosta (2009)
– Tomorrow’s Land (2011)
– Una Follia Effimera (2012)
– Kosovo versus Kosovo (2012)
– Green Lies (2014)
– Vite al Centro (2014)
Da dove si è partiti
Il desiderio di condivisione ma anche e soprattutto la consapevolezza delle difficoltà concrete che i freelance e i creativi vivono in questo momento storico sono ragioni importanti della nascita del nostro gruppo. L’esigenza di creare un collettivo nasce da due necessità complementari: da una parte, mettere in condivisione pratiche e saperi volti alla creazione di opere audiovisive, dall’altra, provare a sperimentare forme di produzioni orizzontali e dal basso per sviluppare narrazioni politicamente e socialmente impegnate.
Tutto questo, in un momento in cui la forte precarizzazione del mondo del lavoro e le trasformazioni in atto in ogni tipo di mercato hanno reso più urgente la ricerca di nuove strade, sia lavorative che creative, spesso vanificando o rendendo molto difficili percorsi di reale autonomia e autodeterminazione. Per SMK i due livelli hanno finito con il coincidere: l’autoproduzione si sta trasformando in una sperimentazione di autoreddito e il processo politico ha finito con il pervadere le pratiche artistiche da cui siamo partiti (audiovisivi). La
necessità di sostenere delle opere ci ha fatto scoprire la necessità di costruire reti di relazione solide come premessa per la buona riuscita di una prassi tanto lavorativa quanto politica. In un momento in cui qualsiasi modello di business si fonda sul web 2.0, sul lavoro di integrazione di reti e sulla costruzione di network di utenze, abbiamo riscoperto il brivido di scommettere su pratiche di relazione e condivisione dirette, fondate sul mutuo riconoscimento, la solidarietà e l’orizzontalità come condizioni senza le quali di un processo di produzione partecipato e partigiano.
Dove si è arrivati
Da questo punto di partenza inizia tutto il ragionamento e la pratica sperimentale: come riuscire ad autoprodurre documentari e film, sganciandosi dalle logiche di produzione mainstream e contemporanemente come avviare efficaci pratiche autodistributive che rendano sostenibile il percorso? Nel 2011 SMK Videofactory firma il suo primo vero documentario collettivo: Tomorrow’s Land, che racconta la storia del Comitato di Resistenza Popolare del villaggio palestinese di At-Tuwani. Con quell’esperienza il gruppo si affaccia per la prima volta al mondo del crowdfunding. Utilizzando per la prima volta il portale di Produzioni dal Basso vengono raccolti circa 250 coproduttori (sia in rete che in serate di dibattito off-line). Il meccanismo è molto semplice: 10 euro per ogni quota di coproduzione e 1 DVD del film per ogni quota.
Gli strumenti usati sono semplici e per nulla nuovi: il meccanismo del dono e la colletta popolare, riadattati e perfezionati all’interno del web 2.0. L’esperimento riesce in pieno, permettendo cosi al gruppo di portare a termine il lavoro di produzione del film. Il passo successivo è stato quello rispetto all’autodistribuzione: attraverso la costruzione di una fitta rete di circoli, centri sociali, sale d’essai prende corpo il network che porterà poi alla nascita di Distribuzioni dal Basso. A distanza di 2 anni Tomorrow’s Land rimane l’esperimento fondativo delle pratiche di autoproduzione di SMK Videofactory: oltre 200 date di proiezione pubbliche in tutta Europa, 3000 DVD autodistribuiti e decine festival (partecipati e o vinti) in tutto il mondo. L’esperimento è riuscito. E la cosa importante è soprattutto il fatto che è un modello diffondibile e utilizzabile da altre realta emergenti sul piano nazionale.
La logica conseguenza è la scelta delle licenze Creative Commons. Una scelta che risulta sia pratica che politica. Pratica, perché è diventata un nuovo strumento di autodeterminazione culturale e creativa, in un momento in cui è palese la totale inefficacia dei modelli di copyright per i freelance e gli emergenti, che oltre non tutelare affatto i “piccoli”, spesso divengono per questi un ulteriore ostacolo da superare. Politica, perché rimarca la scelta ponderata di un modello che privilegia la diffusione delle opere creative ai meri ed esclusivi meccanismi di profitto. Distinguendo, senza averne paura, la sostanziale differenza tra profitto commerciale e le formule di sostenibilità e di autoreddito.
logo-rossoLa riflessione scaturita dagli esperimenti di autoproduzione ed autodistribuzione porta a un ragionamento di ampio respiro sul potenziale dei meccanismi di coproduzione popolare, di donazione e rapporto responsabile con gli utenti e della forza che emerge sempre più dall’utilizzo delle licenze Creative Commons. Il gruppo decide cosi, ad aprile 2013, che è arrivato il momento per fondare Distribuzioni Dal Basso. Il portale ha come obbiettivo quello di sostenere la circolazione di film e documentari indipendenti realizzati dalla nuova generazione di freelance, nata sull’onda del fenomeno Creative Commons e dei nuovi meccanismi di produzione basati sul crowdfunding. In altre parole, il tentativo è ora quello di stabilizzare il meccanismo di autodistribuzione e di fare in modo che tante altre realtà indipendenti possano usufruirne, andando graduatalmente a formare un network nazionale di freelance.
Il futuro
La sfida a questo punto è rappresentata dalla capacità di rendere sostenibili sul lungo periodo processi di inclusione sociale che permettano la continuazione di un processo generativo di idee e di rappresentazione critica della realtà senza che ciò resti una mera opzione volontaristica e di sacrificio; in altre parole si tratta di comprendere come rendere sempre più stabile questo percorso di autoproduzione senza snaturarne il senso complessivo di matrice “popolare” e “dal basso”, riuscendo nel medesimo tempo a mantenerlo economicamente sostenibile pur facendolo crescere e maturare.
* * * * * * * * * *
adesivo1Raccontare un mondo mutevole e fluido come quello dei movimenti, dei collettivi, dei centri sociali. E, al contempo, dare voce a chi non ce l’ha mai, a chi paga il conto più salato della crisi, a chi è ai margini, a chi subisce lo smantellamento del welfare. La sfida di Zic.it, raccogliendo il testimone dell’esperienza cartacea di Zeroincondotta, nasce da una necessità che sentivamo e sentiamo non aggirabile per una città come Bologna: creare uno strumento di comunicazione ed informazione che aiuti a dare spazio alle esperienze di autorganizzazione ed autogestione, in modo trasversale e senza vincoli di appartenenza o “di area” (esperienze di questo tipo, non c’è dubbio, erano e sono preziosissime: ma secondo noi non sufficienti).
Uno strumento libero e indipendente che, però, a queste caratteristiche imprescindibili sappia affiancare un metodo in grado di fornire alcune giuste garanzie a chi cerca informazioni, soprattutto in rete, dove il rischio di imbattersi in approssimazione, “bufale” e overload informativo è spesso dietro l’angolo. L’autoproduzione e di un giornale quotidiano
on line, dunque, come combinazione di sperimentazione e affidabilità, di autonomia e credibilità, facendo tesoro delle precedenti esperienze di mediattivismo ma cercando anche di superarne i limiti, attraverso la costante elaborazione di una “deontologia” (passateci il termine) tutta dal basso, incardinata su concetti e pratiche mutuate dai percorsi di autorganizzazione ed autogestione: orizzontalità del processo decisionale, cooperazione, condivisione dei saperi, scambio con l’esterno e capacità di tradurre l’eterogeneità in ricchezza. La redazione c’è, ma si vede il meno possibile.
Dal 2007 ad oggi, così, sulle pagine di Zic hanno trovato spazio, giorno dopo giorno, migliaia di articoli, fotografie ed appuntamenti segnalati, centinaia di video e file audio: materiale in massima parte pubblicato sotto Licenza Creative Commons, che consente di condividerlo e rielaborarlo, escludendo però ogni finalità commerciale. Un impegno, costante e volontario, premiato da un numero crescente di visitatori e che in diverse occasioni ha anche consentito a Zic di “bucare” il muro dell’informazione cosiddetta ufficiale, costringendo anche i media mainstream a fare i conti con notizie da noi pubblicate. Questo, però, non vuol dire affatto che si sia delineato un modello compiuto, che non ha bisogno di aggiornarsi e rimettersi in discussione. Tra vecchi e nuovi limiti, i miglioramenti possibili non mancano e, allo stesso tempo, ciò che ci circonda impone un confronto continuo con sfide inedite ed altrettanto inedite opportunità.
Proviamo ad elencarne alcune:
– l’evoluzione tecnologica e del web 2.0 favorisce, ma allo stesso tempo impone, un’elevata capacità di risposta sul fronte della multimedialità: in termini quantitativi, qualitativi e di tempestività. Tenere insieme questi tre aspetti richiede competenze e strumentazioni, per altro in continuo aggiornamento. Un’indubbia ricchezza, da questo punto di vista, è rappresentata dalle connessioni che vanno via via sviluppandosi con le altre esperienze di comunicazione e autoproduzione che come Zic hanno casa a Vag61.
– l’impronta “citizen journalism” con cui Zic ha inaugurato la presenza sul web ha faticato a trovare sbocco, probabilmente superata dall’affermarsi della “self-communication”. Come garantire forme di interattività con i lettori, favorendo le condizioni per un loro contributo alla realizzazione del progetto, senza modificare gli standard di qualità ed affidabilità a cui cerca di attenersi? La mediazione redazionale, attuata caso per caso, necessariamente limita le potenzialità “in ingresso”. Più ampie quelle “in uscita”: la Licenza Creative Commons permette a chiunque di condividere e rielaborare i contenuti pubblicati su Zic.
– la trama di connessioni creata dai social network, sempre più fitta e versatile, moltiplica esponenzialmente la velocità e il raggio di diffusione dei contenuti. E’ necessario stare al passo: per sfruttare al meglio le potenzialità di trasmissione di quanto pubblichiamo; per non subire i tempi di una filiera della notizia che si è sensibilmente accorciata. Questo, però, evitando il rischio di “schiacciare” sul modello social la progettualità più articolata di Zic, che trova nel sito la sua espressione organica.
– se la copertura e la diffusione delle notizie riguardanti Bologna può dirsi consolidata, per ovvi motivi appare più frastagliato il campo relativo alle informazioni provenienti da fuori città. La natura prevalente di Zic è quella di quotidiano locale, ma quali sono i margini per tendere ad un allineamento?
– le pratiche dell’autoproduzione, dell’autogestione e dell’autorganizzazione non sono sufficienti per ottenere un quotidiano a costo zero. La gratuità d’accesso e l’assenza di messaggi pubblicitari, d’altro canto, escludono le due fonti principali di entrata per una realtà web. Intensificare i canali di autofinanziamento, tradizionali e di più recente diffusione (vedi crowdfounding), può consentire la disponibilità di migliore e maggiore strumentazione tecnica (informatica e multimediale), implementare il progetto, aumentarne la riconoscibilità ed aprire eventuali percorsi di autoreddito che, se messi in atto con intelligenza, potrebbero consentire di dedicare maggiori energie al giornale.
– l’andamento delle visite rivela che Zic può contare su un’elevata fidelizzazione dei propri lettori e su un graduale aumento del loro numero. Compatibilmente con il già affrontato tema delle risorse a disposizione, però, è sicuramente possibile migliorare la conoscenza e la consultazione del giornale potenziando gli strumenti di promozione sia off che on line.
* * * * * * * * * *
RadioAlSuolo-LogoLa radio è stata, e noi crediamo abbia tutto il potenziale di esserlo ancora, lo strumento delle più importanti rivoluzioni e resistenze culturali e sociali. L’aspetto che ci ha coagulato attorno all’esperimento, che costituisce questo progetto, è una peculiarità che a noi sembra caratterizzare il mezzo radiofonico rispetto ad altri media, ossia la sua capacità di favorire in maniera trasversale l’espressione e la diffusione dei nuovi linguaggi giovanili e delle nuove forme culturali. Non trascurando tuttavia alcune culture non mainstream del passato che a noi sembrano avere, all’oggi, ancora qualcosa da dire.
L ‘autogestione come scelta politica e come modus operandi. L’unica che a nostro avviso potesse rispettare adeguatamente la sensibilità, che ci accomuna, verso il mondo; l’unica che fosse in grado di veicolare contenuti musicali e politici, i primi in grado di aprire un varco in quella che è l’offerta mainstream, i secondi non dettati dagli appetiti mediatici del momento; l’unica che potesse soddisfare il bisogno di realizzare tutto ciò in maniera orizzontale e collettiva. L’autoproduzione come necessità: D.I.Y or DIE! Ma da questa necessità cerchiamo di trarre dei punti di forza, ovvero attraverso il passaggio informale di competenze ci appropriamo del “know how” senza doverlo esperire con i ritmi imposti anche, e forse soprattutto, nell’ambito dei media in questa società multitasking.
Dove vogliamo arrivare
L’obbiettivo è quello di essere un collettore politico e culturale, mantenendo alta l’attenzione sui temi che hanno finora costituito il cardine dei nostri interessi, ossia aspetti sociali, culturali, d’informazione e d’intrattenimento a cui è sottesa una visione partigiana e critica del reale.
Contraddizioni e limiti
Lavorare in maniera “hobbistica” diventa una lotta quotidiana per riuscire a realizzare tutti i progetti che desideriamo costringendoci ogni volta a confrontarci con la scarsità di mezzi e risorse. Per approfondire alcuni contenuti infatti, sentiamo la necessità di un grado di conoscenza che presuppone il tempo per un’autoformazione continua.
Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedInShare on Google+Share on Tumblr

Articoli correlati

venerdì 6 gennaio 2017

Bio-image and General Intellect: can images transform bodies?

This text results from KAFCA (Knowledge Against Financial Capitalism) conference, which was held in Macba, Barcelona, 1-3 december, 2011.

In spring 2011, hundreds of migrants arriving from revolutionary Tunisia to Paris opened a harsh conflict within the metropolis, reclaiming the right to circulate freely, and the right to have rights. In November 2011, the Central Tunisian Bank decides to state explicitly its independency in the lawconcerning public powers. « If we do nothing, it simply becomes the death of revolution », a Tunisian Comrade says.
But beyond the catastrophe, the « Occupy » global movement - starting from revolutions in Maghreb and Mashrek, until Spanish acampadas, and all the occupations that are taking place all over the world - teaches us, that we experience a new temporality : the temporality of crisis and the temporality of global becoming. How do the « occupy-bodies » struggle against their financial captation, and transform singular micro-politics of resistance in a common power to act against it?How do they re-appropriate, through bodies and images, their wealth and potency and that produced, generated, created by bodies, from within, but against financial capitalism ?
As an example, the concentration of economic, political and media powers in the hands of one single man determined, in Italy, a homologation of modes of subjectivation which constitutes an anomaly of violence : it has normalised the social body, and fragmented it, in order to control it. It is therefore necessary to develop our understanding of how images have performed, during the last thirty years, this in-formationof bodies. There seems to be a specific mode through which one builds his or her body, a mode determined by an extreme power of normativity and, on the contrary, there seems to be also, coming from below, an empowering capacity of subjective and collective constitution. At the horizon, there is the necessity to re-appropriate our lives, our bodies, through the re-appropriation of our commonwealth.
I would like here to draw just one line in the midst of the multitudinary network of resistances to financial appropriation of the material and immaterial wealth that we are producing. At this purpose, I will show two examples of generation of life through images, beyond the opposition between the notions of production and that of creation, on the basis of some distinctions between these two concepts. What I would like to concentrate on, is to understand how to evade the financial captation of our immaterial wealth – what constantly results from our creation and our potency – building new powerful relations between images and bodies.
Karl Marx called « general intellect »,in the « Fragment on Machines »,widespread social knowledge that capital exploits especially for the purposes of its technological development1. Paolo Virno writes, in regard to the Postfordist mode of production, that living labour « embodies the general intellect » , or « social brain », and this « social brain » is no longer embedded in machines, and no longer coincides with the fixed capital, but rather coincides with thelinguistic cooperationof a multitude ofliving subjects:
In Postfordism, conceptual and logical schema play a decisive role and cannot be reduced to fixed capital in so far as they are inseparable from the interaction of a plurality of living subjects. The ‘general intellect’ includes formal and informal knowledge, imagination, ethical tendencies, mentalities and ‘language games’. Thoughts and discourses function in themselves as productive ‘machines’ in contemporary labour and do not need to take on a mechanical body or an electronic soul. The matrix of conflict and the condition for small and great ‘disorders under the sky’ must be seen in the progressive rupture between general intellect and fixed capital that occurs in this process of redistribution of the former within living labour2.
Today, financial capitalisminfinitelyregeneratesitselfbyitself, and it does so, not only by the means of languages, but also by the means of knowledge, and the movement of life and images. This means, that there is a performative injunctiontobiologicalregeneration of servitude. Bodies are morphologically shaped by capital which reproduces itself, by means of the flesh. 
It works through an infinite biological reproducibility of body-images.What, then, are the possible strategies that a body can implement, in order to destroy from within its visual performative injunction to reproduce its own enslavement? Embodied images are devices of financial power, but they can also be empowering for bodies, when they are free. What are the images that destroy from within the bonds of capitalistappropriation? How to tearoffthe devicesandmediaimages thatare embedded (incorporated, prosthetized) in our bodies?
 
1. From the infinite technical reproducibility of images to their infinite biological reproducibility
Justlike languages, images « generate conscious movements, or social automatisms, or political systems », to say it with Franco Berardi and Alessandro Sarti3. Images build the visible, like biotechnologies build living organisms. Images generate forms in continuity with the living, of which they are visible and material extensions, because « nothing is representative, but all is life and processes of becoming », with Deleuze’s words. If words, discourses and narratives are performative (they act), images are performative in the sense that they can change the real. Our hypothesis is that, beginning from the 1950s, global media system works in a self-referential and autopoietic way, using recursively the image that it has of itself. This system does more than just reproducing bodies as if they were things – through technical and technological reproduction of images -, but it reproduces itself by itself, it regenerates itself, just like a living body. In fact, that of images is not only an « inert » platform – paper, screen, pixel – but a living support : bodies are employed as the platforms of reproduction ; in particular, women’s bodies, migrant’s bodies and marginal bodies.
- Technobiological dynamics. If we consider the important fact of technical reproducibility of images – analyzed at the beginning of last century by Walter Benjamin4-, we experience, since the 50s, the passage from the infinite technical reproducibility of images to their infinite biological reproducibility. The invention of bio-imaging, in that period, is paradigmatic.
Fig. 1 « In the magnified breast tissue above, cancer cells appear lighter. From confocal microscopy of small regions (boxes) the daVinci program constructs images of individual cell nuclei like those at very top; specific genes are labelled with fluorescent probes.5»
 
Images become devices of capture of the living, but also devices of production and reproduction of life itself, of bios. This is not only a question of change/crisis of modern monetary, economical and cultural parameters. These allowed Nation-states to control populations over the production of bodies and images, on the behalf of political and aesthetic representation. We are talking about a more profound dimension, which is the radical change occurred in the form of valorization of images and bodies, as well as a radical change of the exploitation devices, in which consisted modern representation (as Diego Velàzquez has taught our eyes in the XVII century).
The economic exploitation of man by man will the more and more be exerted through media in what can be considered as the beginning of Postfordism6. The new dynamics can be qualified as techno-biological, and it articulates the capitalist need of reproducing and extending itself through bodies, embedding slavery in each of them. Exploiting the regenerative and reproductive attitude of life – living, carnal, affective labour -, cognitive capitalism transforms bodies from within, from their substance.
- From production to creation of bodies and images. In the 1960s, we can see, in the larger context of the globalizing capitalist countries, that a change occurs in the modes by which powers are exerted, in the government of bodies. We pass from disciplinary societies to control societies : societies in which individuals are the more and more controlled by within their imaginaries and their practices of subjectivation7. Visual norms of morphological conformation will start to build bodies, on the basis of the technological revolution articulated with - in a quasi simultaneous way - the media import of a Playboyimaginary: a pornotopic imaginary8.
Contemporarily, labour gradually feminizes. This means, that it acquires the same characteristics that have defined, historically, women's work : not recognized, unpaid work, variable, invisible work, black work, affective and sexual work9. Life put to work is what characterizes the regime of the infinite reproduction of slavery in the neoliberal rationality. We can easily notice that progressive feminization of work and slavery corresponds to a major function of capitalism, which is that of reproduction of work and slavery. We shall seesome essentialrelationsbetweencapitalistic accumulation, technology, bodiesat work andimages, allcenteredon the notions ofreproduction, representation, and regeneration. Someof these relations areclearlypower relations, but we must not forget(and that is why we are here) thatbecause thesepowersmay exist, they need the vital part they appropriate, that of bios, that of living and loving bodiesthat can, on the other side, extend their potency bysplittingthe chainsof bioeconomic slavery.
The articulation between these elements produces a global machine of visual control over bodies and of visual production of bodies. The new extraordinary visual machine has the power to transform the facesand the body of each individual through its gigantic productive eye. We have come to the specification and transformation of the real in a hard-core real: the complete media exploitation of affects, of sexuality, of bodies, coupled with the progressively privatized political space, the more and more devoured by finance. What about this visual production ? What difference, between the capitalistic bio-visual production and a common liberating bio-visual creation ?
The concept of reproduction of body-images, as we will explain later, means that the phenomenon of the infinite technical reproducibility of images (highlighted by Walter Benjamin at the beginning of mass culture) starts to become, in the 50s – 60s, an infinite biological reproducibility of images, and an authoritarian injunction to biological reproduction and regeneration of bodies on the modes and to the purposes of the advanced capitalism. But what about the word « reproduction » ? We must here make a distinction between two radically different modes of this function. Representation works as a bond with our bodies and it is performed through the violence of an infinite reproduction of separations, exclusions, as forms of control (biopower). On the other side, the crisis of political representation takes form in the Occupy places throughout the world, as a desire of transformation, beyond the Nation-state, and beyond its discourses. Here reproduction is not a repetition, it works against mimesis and against identification of subjects in fixed roles, as a living creation of life and of common political possibilities.
- The bio-visual autopoïesis. If words do things, images do things too : they transform bodies. During the last decades, the construction of a specific morphologically determined social body, serving the progressive process of capitalization of life crossed with feminization of work has worked out through a visual auto-reproduction : a bio-visualautopoïesisof the capital through bodies and images.
The autopoïesisis, in its simplest definition, the characteristic of a system which reproduces itself by itself, so as to maintain its structure even though its components change. Autopoïetic systems, as described by Chilian cognitivists Humberto Maturana and Francisco Varela, are « An autopoietic machine is a machine organized (defined as a unity) as a network of processes of production (transformation and destruction) of components which: (i) through their interactions and transformations continuously regenerate and realize the network of processes (relations) that produced them; and (ii) constitute it (the machine) as a concrete unity in space in which they (the components) exist by specifying the topological domain of its realization as such a network10. »
It is a self-referential system, a system capable of using recursively the image that it has of itself : it does not only reproduce bodies like things, but it reproduces, through biological reproduction of bodies, its own system, its own net.
Here stands the difference between two kinds of autopoïesis. From one side, capital reproduces itself mimetically, excluding any alterity by subsuming the whole real : it is the production and the visual reproduction (representative, repetitive, mimetic, schematic) of an autoreferential system based on financial criteria to measure life. It is the difference between the autopoïesis of the capital (the borders of the hegemonic network) and the creation of life. The first border (and order) is auto-produced today by the bonds of financial governance, extracting intelligence from bodies, and the infinite biological reproduction of life and images means immediately an infinite reproduction of debt over life. In fact, this mechanism plays within an eschatological temporality, based on indexes of prefiguration, processes of revelation, promises, a pre-visual(in a temporal sense) dimension based on temporal bets and financial speculations. On the contrary, the second kind of autopoïesis performs figurations, constantly creating itself, open : the word poïesiscomes from the Greek auto and poiesis,creation.
The global financial crisis that we are living in, since 2008, isalso a crisis of the auto-reproductive and autopoietic mechanism of capital. The generalization of precarity and poverty implies a lack of social, biological and creative reproduction. This is the contradiction of bio-economic and cognitive capitalism and here is the crisis : a crisis of the capacity of capital to reproduce while it increases the exploitation of life.
 
2. Revealing/creating revolution
- Forecasting revelations. In the substance and in the very way images are build there is something biological. Photographs are techno-biological devices: light is necessary to impress a form on a support, thanks to abonding animal agent : an organic glue fixing light with silver. A photographic impression can last hours : it is life and time embedded in materiality. The organic molecules are spectral sensitizers. Starting from the invention of X rays, and then, bio-imaging technologies, light itself will be produced by technologies of visualization of the interior of a body - and not anymore only by exterior light capturing exterior forms. Images reveal the existent, and this process of revelation of life comes from below : an inside light coming from the interior of the bio-technological device, which is the latent image. Then, it is necessary to apply chemical processes of revelation (development, generation) to the film, to have a stable image.
Furthermore, with bio-imaging, starting from the 50s, if technique can intervene in the processes of biological generation through biogenetics, this seems to be a visual phenomenon. The recombinant model is a generative model that images and life have in common. Technique can interfere in the biogenesis using procedures, which have developed in the realm of images. In this sense, we can talk about some constants, in the biogenetic realm, ways of functioning through visual editing. Therefore, we can assume that, capitalistic autopoïesis (mimetic auto-reproduction) works through a specific biogenetic visual grammar. The possibility to describe biogenetic processes as visual processes becomes an epistemic foundation for all the biotechnological developments. If, starting from the 1950, the analogy between information and life becomes the more and more frequent, why wouldn’t we consider also the analogy between image and life ? The biogenetic process would be the actualization of a code, the deployment of aninformationin spaceand time, spread acrossavisualrevelation/detectiondevice or mediasupport.
This revelationor detectiondevice can be a biological body or an artificial body (as for machines like robots). Therefore, it seems to us necessary, considering the visual saturation of our era and starting from the developments in molecular biology, to point the necessity of explaining life as a visual phenomenon.
The semiotization of biological generation becomes a biologization of images, not only of language. From one side, digital simulation of life needs its visual production. From the other, the very informational biogenesis is a generative process. Here are two different processes, whose node is the re-production : a biological and visual phenomenon, at the same time11. The production of genetic material is inoculated in living organisms : computer simulation intertwined with biological modelling shows that an image can generate and transform life. The morphogenetic bio-image is necessary to the synthetic bio-morfogenesis12. When visualizing “biogenetic grammar”, life appears as an editing of images, on the basis of a code. Mapping human genetic constitution, means then, organizing a set of visual enunciations. The generative bio-editing is made of a complex intertwining between language, images and bodies. Visual reproduction takes the form of biological generation. This visual reproduction, which is, at the same time, biological generation, is produced by the creative potency of the general intellect and then captured by the systems of financial valorization, expropriated for the regeneration and reproduction of the capital itself, infinitely. Our point is, therefore, to understand how to re-appropriate our bio-visual generation, against the perverse performative capitalist injunction to regenerate capital itself. In this scenario, revelations are continuously forecast by financial agencies : rating agencies continuously forecastwaves of depth and speculation, therefore, they producedebt and speculation over depth. The technologies of forecast (global machines of control such as Standard and Poor’s and Fitch) induce waves, processes of accumulation, heterogeneous stratifications.
- Creating revolution.
  
Fig. 2Anonymous, A Young Tunisian Who Burned Himself,4 January 2011 – Sidi Bouzid, Tunisia Fig. 3Unknown, Puerta del Sol - #SpanishRevolution, 17-05-2011- Madrid, Spain
 
If media images are also biological images, the technical automatism is articulated to an image which can last a life, articulated with the deposit of time between an image and an other, so as the deposits of biological substances and natural light on inorganic supports. These inorganic supports or inert material platforms use to work as a fixed capital in the industrial era that Marx describes (would it be in Duchamp, in photography or in cinema) separated from the variable capital that was the visible resultof the image - the visible surface of revelation, coming from below. These elements are today articulated with life as a permanent support, when the substance of an image is a body itself, as for Mohamed Bouazizi self-immolation anonymous photograph on the 4th, January 201113.
Anelliptic visual « biopic », an image of a body captured in a state of transformation, and, in the other, an image of an insurrectional Plaça del Sol (Madrid, 15 may 2011). In a glance, appears, in our political eye, the image of a whole insurrectional generation : a technical body, an inert body, a material body, a revealing-collective body, the general intellect. The articulation of techno-political-mediatic aspects determine living effects which do not only « give visibility », « illuminate » the real, but who do createthe real, against the financial forecasts (revelation as promise, eschatology, pre-vision). These images are biological because they are constituted and linked one to the other by the biological temporality of a common becoming, in the rapid lightening of the temporality of revolution. They articulate, therefore, biological revelations together with bio-imaging modes of production. No more inert supports as machines, but living platforms of bodies at work : this is the infinite biological reproducibility of images.
Revelation is something about newness, it is not the discovery of something which existed before and that was just hidden under the surface, revelation is creation. Revelation of a body is, therefore, creation of a body: it is generation in the most creative sense of the notion.
The neoliberal media-economic-political imperative of the infinite biological reproduction of servitude is a process centred on power of bonds over life, through embeddings of privacy, inertia, insensitiveness inoculated in bodies treated as financial platforms within corporations, and debt over life in its most carnal characteristics. Some biopolitical examples of images show how these very bio-images torn the necropolitical imperatives and the apocalyptical forecasts, and organize its vital elements in a common biopolitical creation of life.
 
3.The biopolitical image, between an alreadyand a not yet
Fig. 4 Gustave Courbet,La Vague,1866
 
The global movement goes forth. It is innovation and change of corporeal, spatial, material, epistemological dimensions, disproportionately, exceedingly. The global wave exceeds itself at the same time it rises, that is to say when it's here: the global wave is the restless, unquiet undulation of the autopoietic movement, that by which the subject builds itself, restlessly. If the wave breaks temporality between the eternal (what is « before » what is about to start) and innovation (what is « after » what begins here), its material field consists in all the events that define it by transformation, that of the becoming-body of a multitude of monads of bio-images - the general intellect constituted by a multitude of single bodies. All the events that build the multiple becoming-body constitute the material field of the bio-image,here and now. This field is the place in the image and the place of temporality where the body produces something, where the body materially produces its field in each singular body-predicate that innovate and create it, at the same time - the series of Courbet’s Waveslike the global wave of occupiers. It is a materialistic field, a resistance field between the body and the undulation of the process of knowledge, as the materiality of general intellect resists, while undulating: the bio-image has a corporeal intensity. Here is the paradigm-virtue of resistance to fate and thus to the linear representation of time and corporeal homogeneity.It is this resistance to any transcendentalism and any predetermination, which is virtue, as an active constitution of the world. If this virtue comes from a will - a will to constitution - it asserts itself immediately as political, and its potency immediately becomes political power of transformation. The subjective and collective affirmation of potency implies an ethical, political and necessarily materialistic statement: the active transformation of substance, of flesh, of power relations, in the temporality of change - courageous openness to risk. Temporality is made as unquiet and restless praxis of Kairòs, which produces truth and subjectivities in the corporeal immersion14. Between Aliaa’s body, who speaks and acts, and what her image says and acts, there is the same unquiet undulation defining the « here » in the field of knowledge and the « here » of the footstool, which is the co-production of this body, this epistemological field and the material footstool. It is the body that produces, as power of determination, the reflexivity of the globalized image as a material field of production, between an « already » and a « not yet »: the difference is reflexive and fully active, generating disproportionately, but embodied. This is the ontological difference of temporality, the fact of being productive - of this singular body – from resistance to resistance, from body to body, from wave to wave, caught in the material and common field of their constitution : the praxis of time.
The genesis of this image, for the common of all the bodies, is that of expression and imagination, that is to say, a biopolitical image.
 
Notes:
1Karl Marx, « Fragment on Machines » (1858), Grundrisse, London, Penguin Books, 1974.
2Paolo Virno, « General intellect », in Lessico Postfordista, Rome, Feltrinelli, 2001, translated by Arianna Bove. http://www.generation-online.org/p/fpvirno10.htm. I emphasize.
3See Franco Berardi, Alessandro Sarti, Run Forme Vita Ricombinazione, Mimesis, 2008.
4Walter Benjamin, « The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction», 1936. See http://www.marxists.org/reference/subject/philosophy/works/ge/benjamin.htm
5« Seeing the Cell Nucleus in 3-D », Berkeley Lab Research Review,http://www.lbl.gov/Science-Articles/Research-Review/Magazine/2000/Winter/features/01seeing.html
6See ChristianMarazzi, La place des chaussettes, Ed. De L’Eclat, (Trad. F. Rosso, A. Querrien)1997.
7See Michael Hardt, « La société mondiale de contrôle », inÉ. Alliez (dir.), Gilles Deleuze une vie philosophique, Le Plessis Robinson, Les Empêcheurs de penser en rond, 1998, p. 359.
8As Beatriz Preciado calls it in Beatriz Preciado, Pornotopie- Playboy et l’invention de la sexualité multimédias, Climats, 2011.
9See Cristina Morini, Per amore o per forza – Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, OmbreCorte, 2010.
10Humberto Maturana, Francisco Varela, Autopoiesis and Cognition. The Realization of the Living, Dordrecht, Reidel, 1980, p. 78.
11Franco Berardi, Alessandro Sarti, op. cit., p. 32
12Idem, p. 32-33
13Mohamed Bouazizi was a 28-year-old university student who burned himself alive when the Tunisian authorities confiscated the fruits and vegetables he was selling to feed his family.
14I am thinking on the wave of Antonio Negri’s Kairòs, Alma Venus, multitude, translated by Judith Revel, Paris, Calmann-Lévy, 2001.