menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

domenica 19 aprile 2020

Grazie Luis


Ironia e realtà nei libri di Sepúlveda

In una intervista, Luis Sepúlveda dichiarava di considerarsi “scrittore di stampo cervantino, un ‘nipotino’ del grande Cervantes, colui che più di chiunque altro è stato un maestro nell’uso dello strumento dell’ironia, un’ironia intelligente e sensibile, al contrario del sarcasmo - che è sempre vigliacco e offensivo” 1.
Il ridondante ricordo pubblico di questi questi giorni e la sovrabbondanza di “conoscitori” dell'opera sepúlvediana, dopo la sua morte, fa capire che dell'ironia c'è bisogno.
A proposito di Luis Sepúlveda Calfucura, scrittore, giornalista, sceneggiatore, poeta, regista e attivista cileno naturalizzato francese, analizzando tutti gli scritti - effettivamente letti - dello scrittore e passando in rassegna certa pubblicistica minore (stampa, aneddotica divulgata radio-televisivamente, post sui social network), risulta che di parte della produzione letteraria, artistica, testimoniale e del repertorio di interventi ed interviste, espressione nel corso degli anni della biografia sepúlvediana, della violenza subita, dell’orientamento rivoluzionario, della lotta anti-sistema, della sua militanza per le libertà, delle sue idee e dei suoi comportamenti, non c’è traccia.
Forse, in queste pittoresche circostanze, Luis, spettatore del tramestio intorno al suo trapasso, avrebbe abbandonato la pura ironia di cui è stato capace, per usare un “sano” sarcasmo.
É l'ironia, invero, il notevole lascito socio-culturale di Luis, un metodo corrosivo di lettura veritiera della realtà umana che conduce sovente a rilevare l'infondatezza di certi stereotipi sulle differenze, sulle discriminazioni e sui confini che, separando, escludono; ironia che permette di rintracciare il carattere di mera opinione, subdola ed interessata, spacciata per conoscenza, del caratteristico linguaggio del potere e delle élite. Inoltre, l'ironia è anche la chiave per entrare nel suo universo creativo ed emotivo che aiuta, husserlianamente2, a Wirwollen auf die “Sachen selbst” zuŗcückgehen !
Luis non vuole affatto accontentarsi di pure e semplici parole, pur cesellate ad arte, perché la scrittura è vita, perché la vita “parla”, basta saperla ascoltare, saperla interrogare. La sua narrazione non s'avvale di intuizioni indirette, d'una potente architettura razionale all'uopo dispiegata, non è perizia da sceneggiatore, tanto meno fantasia obbligatoriamente illogica, viceversa è un prezioso voler tornare “alle cose stesse”, un lavoro, antropologico prima che letterario, di riduzione eidetica, ovvero un sublime comunicare – ossia, nobile umana commistione di abnegazione “nello scavo” e fervore solidaristico – attrezzato nel “dire” generoso. Si tratta del suo genuino rappresentare con la scrittura il passaggio dalla considerazione cronachistica delle vicende come tali alla loro essenza nel vissuto personale e sociale che le coglie incastonandole e collocandole abilmente nella memoria.
In un altro passo dell'intervista richiamata, Sepúlveda afferma: “Io cerco di scrivere dal punto di vista di una sana ironia fatta di amor e umor. In più sono cileno, e devo dire che una particolarità dell’uomo cileno è quella di ironizzare sempre soprattutto su se stesso - a differenza degli argentini. Se un argentino viene lasciato dalla moglie cercherà subito uno psicanalista e al massimo scriverà un tango tristissimo, un cileno invece darà una festa per gli amici per raccontare, trasformare l’abbandono cercando delle spiegazioni e ridere anche di questo. Negli anni del carcere, che vi assicuro sono stati molto duri, non ci trattavano bene, ci torturavano e una delle torture più comuni era quella di strapparci le unghie dei piedi, ma anche lì quando tornavamo alle nostre celle con i piedi sanguinanti e dolenti non era raro sentire qualcuno che diceva “Sono stato dal podologo stamani, una vera bestia, ma non gli ho certo lasciato la mancia!” [ … ] “I romanzi non vengono scritti dall’autore ma dai personaggi, lo scrittore si limita a seguirli nel loro percorso”.
La “trilogia dell'amicizia” della quale “Gabbianella” fa parte assieme a “Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza” (Ugo Guanda Editore, 2013) e “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” (Ugo Guanda Editore, 2015) è una delle espressioni migliori di intima connessione tra scrittura e vita, di una concezione dell'arte del raccontare storie come atti umani perché politici, mai evasione consolatrice o alienante, d'una determinata ed autorevole convinzione di voler tornare alle cose stesse, di un impegno etico nello spronare il genere umano a fornire una migliore prova di sé.
In particolare, nell'emblematico libro “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” (Salani Editore, 1996) Luis narra l'inverosimile favolistico, ma con una inusitatamente efficace aderenza alla realtà. È l'altrove che descrive, eppure è dell'immanenza che sa trattare perché svela l'oggettiva valenza della diversità palesandola come utopia, come qualcosa che non è stato ancora compiutamente apprezzato, presentando una fratellanza da realizzare ancora, tuttavia presente, constatabile, quindi possibile e che può germogliare grazie alla “coscienza”, alla forza dei proponimenti soggettivi, alla messa in valore dell'ardimento individuale e all'affezione personale per l'altro di cui ciascuno è ricco.
Ecco, l'assenza dell'empirico che nasconde il “senso”, del quotidiano algoritmico accadere, del banale prevedibile, evoca energicamente un desiderio, mai fuga dalla realtà, che ha le sembianze della manipolazione benefica dell'argilla; esattamente come quel vero e proprio imprinting esistenziale che contraddistingue l'infanzia, quell'operare con le mani che i bambini iniziano molto presto, come forma di conoscenza degli oggetti: da sempre al centro dell’interesse e della loro curiosità, costituisce uno strumento, per maturare identità, autonomia e autentica conoscenza, che pare smarrirsi con la “adultità” e che Luis recupera e indelebilmente dona ai lettori come prescrizione non autoritaria.
A questo proposito, la trama va ricordata, perché la metafora scuote ancora. Il libro s'apre con l'impeto di Kengah, una gabbiana che cerca pesce per nutrirsi nel mare del Nord ricco di giacimenti di petrolio e di gas naturale, mentre penetra le onde. Lasciata sola nell'impresa dallo stormo che s'allontana, riemersa dai flutti, scopre d'essere impedita nel volo da una chiazza di petrolio che rischia di tarpargli le ali penetrando nella pelle. A fatica, con il greggio addosso, ascende verso il cielo e giunge ad Amburgo, precipitando tramortita su un balcone di una casa.
Qui Kengah incontra Zorba, un gatto, esemplare d'una specie dissimile di cui non diffida, a cui lei lascia in custodia, al culmine estremo d'una lucidità che sta per perdere, l’uovo che depone. La gabbiana, perdendo le forze strappa una promessa al gatto: maturare l’uovo, prendersi cura del nascituro e di insegnargli a volare. Il gatto si rende conto della follia dell'ultima esigenza dichiarata dalla gabbiana morente; certo, può tentare l'accudimento e avere successo nell'occuparsi del pulcino, può essere un riferimento nella sua vita, ma, senza dubbio, non sa insegnargli a volare, visto che è un gatto e non ha idea di come si faccia.
Zorba capisce che la gabbiana sta per morire e delira, ma quella che sembrava una richiesta impossibile da esaudire, pazientemente comprendendola, pare potersi realizzare. Il gatto, avvalendosi dei suoi amici Diderot, Colonnello e Segretario, tutti strambi personaggi, con dedizione e inclinazione sentimentale, riesce nell'impresa prendendosi cura di Fortuna, la piccola gabbianella, “come se fosse uno di loro, una loro figlia”. Tuttavia, resta l'ardua esperienza dell'insegnargli a volare. Per quanti sforzi facciano, Zorba e i suoi amici da soli non riescono a far spiccare il volo alla gabbianella, hanno bisogno di qualcuno che sia in grado di dargli una mano. A questo punto i gatti sono costretti a rompere un tabù e a parlare in una lingua diversa dalla loro, vanno così a chiedere aiuto all’unico individuo che pensano sia in grado di far mantenere la promessa: un uomo, un poeta dall’animo nobile e sensibile che riesce a comprendere la loro richiesta. Luis, riesce a porre l’accento sul doppio volto dell’uomo, che oltre a essere il responsabile dell’inquinamento dei mari, è in grado di fornire il suo aiuto e cambiare le cose, mostrando la sua parte sensibile e il suo rapporto simbiotico con l’ambiente circostante (rif. a Rossella Caso, Tra gatti e gabbiani. Un incontro tra infanzia e intercultura, Aracne, 2013; saggio incentrato sulla lettura pedagogica della favola di Luis Sepúlveda).
Questo è solo un aspetto della storia, poiché nel libro sono tanti i protagonisti e tante le contraddizioni che costringono ad intessere legami, a costruire rapporti che si susseguono, primo tra i quali quello della scoperta della diversità e della necessità di trovare un punto comune che riesca ad avvicinare (rif. a Rossella Caso, op. cit.), partendo dalla problematica esercitazione della comunicazione e della condivisione. Un vero e proprio “festeggiare le differenze”, come accade talvolta nella vita sociale, come dovrebbe accadere sempre nella scuola pubblica alla quale bambini e adolescenti vengono affidati. Il messaggio, apparentemente onirico, bensì utopistico, veicola, facendo breccia, la categoria del “possibile”. L'opera di Luis agisce come specchio rivelando l'indole di ciascuno, lo spessore morale, la capacità di accantonare l'ego per far posto al “noi”.
Tanti piccoli gabbiani nelle nostre scuole (rif. a Rossella Caso, op. cit), una realtà incontestabile, un'evenienza che fa comprendere che ogni relazione, ogni convivenza è sempre un incontro interculturale, un'amalgama tra diversi.
Ci si deve chiedere: i nuclei familiari e la scuola sono pronti a collaborare e ad accogliere la “diversità” come un'opportunità antropologica ? Non sempre di questo compito si è tutti consapevoli; le forme ed espressioni della relazione tra diversi non è impostata, in modo scontato, per attuare l'inclusione.
La “cura” degli studenti che le figure genitoriali ritengono debba essere svolta dagli insegnanti a volte non corrisponde alle intenzioni dell'integrazione solidale. Gli insegnanti educano alla libertà ed alla responsabilità, altri disfano la tela policromatica. La scuola pubblica, costituzionalmente orientata e improntata ad un un principio etico interculturale, spesso viene smentita, nel suo operato, da altre più influenti agenzie diseducative.
Che si renda evidente grazie allo scotimento di Luis, senza ipocrisie o cedendo al fascino delle rimozioni, questo dato di fatto: la scuola pubblica è e deve continuare ad essere un ambiente interculturale - che va salvaguardato per quello che è - nel quale gli stereotipi, quasi come piante velenose, non devono mettere radici, strutturando percorsi di incontro e sviluppando il pensiero divergente. Il romanzo di Sepúlveda, classico della letteratura non solo per l’infanzia, racchiude una straordinaria visione della “civiltà”, dai toni tenui, struggenti, ma anche vigorosi; abbiamo tra le mani un capolavoro che rende protagonista il lettore sospingendolo a riflettere e ad agire inglobando esigenze culturali ed etiche, a partire dai binomi di notevole rilevanza quali identità/alterità, noi/loro, accoglienza/rifiuto (rif. a Rossella Caso, op. cit). La gabbiana morente è il mondo adulto, i gatti sono l'équipe educante protesa nell'attività di insegnamento, la gabbianella rappresenta la generazione prossima, esito e causa, all'unisono, dei miglioramenti a portata di mano.
Un testo così polisemico e immaginifico che, come nella migliore tradizione delle fiabe, si apre per regalarci un ventaglio di significati sui quali poter ampiamente rappresentare prioritariamente quelli smarriti e discutere poi come poterli recuperare.
Pertanto, così Kengah diventa paradigma di ogni migrante che — come tragicamente sappiamo — non riesce a realizzare il suo desiderio e trova la morte in circostanze avverse. L'altro interpellato e che interviene nella vita però offre una seconda opportunità: la gabbiana assegna agli altri il dono di un modo inedito e migliore di convivere fra diversi. La condizione di orfanezza della gabbianella che si crede un gatto; la società felina che si interroga su questa strana creatura ma non la discrimina, anzi la protegge e la guida; i cattivi topi che guardano con altezzosità e intolleranza ciò che i gatti stanno facendo: un microcosmo che replica simbolicamente ciò che accade nel mondo, le cui dinamiche evidenziano la difficoltà del confronto, del dialogo e dell’integrazione. Dunque un libro che può essere proficuamente — e, aggiungiamo, gioiosamente — usato per insegnare a pensare ai nostri figli e alunni in maniera critica e intelligente, a riflettere proiettando sentimenti ed emozioni in un mondo distante che tuttavia è vicino all’immaginario dei meno “educati”, i più giovani (rif. a Rossella Caso, op. cit).
Luis, in definitiva, esorta alla collaborazione nell'abbattere i muri. Collaborazione innanzitutto tra chi elabora pedagogicamente per mestiere l'inclusione, progetta la formazione posta nella concreta prassi della vita scolastica di ogni giorno e coloro che dovranno accogliere i frutti di tale prezioso lavoro.
Il lascito socio-culturale, di cui all'inizio, può essere riassunto in questa massima, nota allo scrittore cileno al quale siamo grati: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Questa frase, resa celebre da Karl Marx, è in realtà presa dagli Atti degli apostoli (cfr. At 4, 35).
È Luis stesso a dircelo dando la parola alla vita, rispondendo alla domanda circa il ruolo della produzione letteraria (Intervista a Luis Sepúlveda di Elena Torre, cit. in nota) ed alludendo all'impegno nella costruzione di reti interculturali contro tutte le forme di oppressione, di colonizzazione e di razzismo: “La letteratura ha una missione etica o serve solo a raccontare storie ?” Credo innanzitutto che uno scrittore debba narrare non da un punto di vista individuale ma collettivo: deve avere come punto di partenza un generoso ‘noi’. L’opera di uno scrittore trova la sua più profonda giustificazione etica non tanto nelle cose grandi, ma in quelle piccole nella forma e grandi nel contenuto. Qualche anno fa uscivo da una libreria di Parigi e venni avvicinato da un ragazzo che avrà avuto vent’anni. Mi disse che aveva letto Un nome da torero, forse uno dei miei romanzi dove ho messo più di me stesso. Mi chiese se avevo un minuto da dedicargli e dal momento che ce l’avevo siamo andati a prendere un caffè. Vedevo che era molto emozionato, non riusciva a parlare così l’ho spronato a farlo. Mi ha raccontato di essere il figlio di Perez, massimo dirigente del Mir, ucciso dalla dittatura. Mi ha raccontato dell’odio che provava per suo padre perché era sempre assente, perché non lo accompagnava alle partite di calcio, non lo andava a prendere a scuola come tutti i suoi compagni. Leggendo il mio libro aveva capito chi fosse stato realmente suo padre e per cosa si era battuto, per cosa era morto. E allora non solo aveva capito, ma lo aveva amato, rispettato e di lui era divenuto orgoglioso. Ho realizzato proprio in quel momento la carica etica profonda della letteratura, un dovere a cui non posso certo sottrarmi”.
Giovanni Dursi © Aprile 2020
Docente M. P. I. di Filosofia e Scienze umane

1 Intervista a Luis Sepúlveda di Elena Torre, http://www.mangialibri.com/.
2 Si utilizzano le opere di E. Husserl in traduzione italiana, in questo caso con riferimenti alle edizioni della Husserliana. La traduzione italiana di Ricerche logiche è di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968, 19823, vol. I,p. 267.