menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
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martedì 10 luglio 2018

Lenin e la situazione rivoluzionaria - By Renato Caputo

Lenin e la situazione rivoluzionaria

È il fine stesso della lotta rivoluzionaria a imporre gli strumenti necessari per la sua realizzazione.

Lenin e la situazione rivoluzionaria 
Sebbene nessuno possa, necessariamente, sapere a priori se le condizioni rivoluzionarie oggettive si tradurranno in atto, il compito fondamentale dell’avanguardia – abdicando al quale perderebbe la propria ragione d’essere – è secondo Lenin: “svelare alle masse l’esistenza della situazione rivoluzionaria, mostrarne l’ampiezza e la profondità, svegliare la coscienza rivoluzionaria del proletariato, aiutarlo a passare alle azioni rivoluzionarie e creare organizzazioni corrispondenti alla situazione rivoluzionaria” [1], dal momento che in tali momenti risulta decisiva, in primo luogo, “l’esperienza dello sviluppo dello stato d’animo rivoluzionario e del passaggio alle azioni rivoluzionarie della classe avanzata, del proletariato” [2]. In ogni caso l’avanguardia potrà adempiere al proprio compito solo tenendosi pronta all’evenienza che si produca una situazione rivoluzionaria, anche perché, spesso, come insegna la storia, essa si viene a creare per “un motivo ‘imprevisto’ e ‘modesto’, come una delle mille e mille azioni disoneste della casta militare reazionaria (l’affere Dreyfus), per condurre il popolo a un passo dalla guerra civile!”[3].
Il partito rivoluzionario, per poter affrontare dei mutamenti repentini del corso storico indipendenti dalla propria volontà e che possono sfuggire alla propria capacità di previsione, deve essere addestrato ad utilizzare ogni forma di lotta, sapendo di volta in volta selezionare la più adeguata alla fase. Così, ad esempio, la Rivoluzione di Febbraio si è imposta, in una situazione di partenza molto arretrata, ovvero il dominio dell’autocrazia zarista, proprio grazie al suo aver coinvolto, in modo interclassista, ceti sociali anche molto differenti fra loro come la media e alta borghesia liberal-democratica e il proletariato urbano egemonizzato dai socialisti. Dunque, come chiarisce a questo proposito Lenin, “se la rivoluzione ha trionfato così rapidamente e in modo – apparentemente, al primo sguardo superficiale – così radicale, è soltanto perché una situazione storica singolarmente originale ha fuso insieme, e con un notevole grado di ‘coesione’, correnti del tutto diverse, interessi di classe eterogenei, aspirazioni politiche e sociali del tutto opposte” [4].
D’altra parte, generalmente, l’avversario di classe è sempre pronto ad avvalersi di qualsiasi mezzo utile, anche il più turpe, quando vede messi in discussione i propri privilegi. Così, come ricorda Lenin, “nella lotta contro il socialismo essi sono ricorsi a tutti i mezzi di cui disponevano, hanno utilizzato la violenza, il sabotaggio e hanno trasformato anche ciò che è il grande orgoglio dell’umanità – il sapere – in un’arma per lo sfruttamento del popolo lavoratore” [5].
Del resto non può che essere il fine stesso a imporre gli strumenti di volta in volta necessari per la sua concreta realizzazione. Così, ad esempio, più si avvicina, tramite lo sviluppo della coscienza di classe del proletariato, il momento dello scontro frontale, della guerra di movimento, più diviene necessario trovare la giusta dialettica ossia, per dirla con Lenin, “l’importanza della combinazione della lotta legale con la lotta illegale. Questo problema assume un grande significato sia generale che particolare, perché in tutti i paesi civili e progrediti si avvicina con rapidità il tempo in cui questa combinazione diventerà – e in parte è già diventata – sempre più impegnativa per il partito del proletariato rivoluzionario, per effetto del maturare e dell’avvicinarsi della guerra civile del proletariato contro la borghesia, per effetto delle furiose persecuzioni contro i comunisti da parte dei governi repubblicani, e dei governi borghesi in tutti i modi (l’esempio dell’America vale per tutti)” [6].
Dunque, quanto più ci si approssima al momento dello scontro finale fra oppressi e oppressori, tanto più tende ad aumentare la repressione violenta degli apparati dello Stato e la feroce persecuzione delle avanguardie dei subalterni, che impone al partito rivoluzionario di combinare i consueti strumenti di lotta legali con i mezzi illegali. Proprio perciò la possibilità, quasi sempre remota, di poter battersi per le proprie idee sul piano della dialettica politica, può comportare la momentanea rinuncia ai metodi generalmente necessari alla realizzazione della rivoluzione.
D’altra parte il pacifismo, la nonviolenza, in una società divisa in classi rischiano di essere pie illusioni – fughe idealistiche dinanzi a una deplorevole realtà, un abdicare del proletariato al compito storico di porsi quale classe universale [7] e addirittura un abbandonare lo stesso programma di dura lotta concreta per le riforme e i diritti democratici agli opportunisti o all’intervento dall’alto del governo, che le concederà per passivizzare le masse. Dunque, a parere di Lenin, la non violenza e il pacifismo comportano, nei fatti, un’abdicazione alla lotta per le stessa riforme di struttura. “Noi sosteniamo – osserva a tal proposito Lenin – un programma di riforme che è anch’esso diretto contro gli opportunisti. Questi tali sarebbero ben felici se noi lasciassimo loro in esclusiva la lotta per le riforme e, fuggendo la triste realtà, trovassimo riparo sopra le nuvole, sulle cime d’un qualsiasi ‘disarmo’. Il ‘disarmo’ è appunto la fuga dalla deplorevole realtà e non un mezzo per combatterla” [8].
Tanto più che, generalmente, sarà possibile liberarsi dallo sfruttamento capitalista e dalle guerre imperialiste unicamente attraverso la tragica esperienza della guerra rivoluzionaria. Perciò Lenin contesta le teorie pacifiste, non violente e del disarmo in quanto solo apparentemente costituiscono l’opposizione più risoluta alla guerra e al militarismo, mentre in realtà sono la manifestazione propria dei filistei piccolo-borghesi “di restare estranei alle grandi battaglie della storia mondiale” [9]. Come ricorda Lenin “solo dopo che avremo rovesciato, definitivamente vinto ed espropriato la borghesia in tutto il mondo, e non soltanto in un paese, le guerre diventeranno impossibili” [10], solo allora infatti non vi saranno più guerre imperialiste, di classe o di liberazione nazionale.
Detto questo, rimane essenziale, per un rivoluzionario, sapere distinguere le diverse tipologie di guerra, anche per smascherare i tentativi dei revisionisti che, come Kautsky e Plechanov, magari utilizzando in modo improprio - estrapolandole dal contesto - citazioni dello stesso Marx, tendono a giustificare il sostegno dato dagli opportunisti alle proprie borghesie nazionali in occasione di guerre di natura imperialistica. Osserva a questo proposito Lenin, richiamandosi alla risoluzione finale dell’ultimo congresso della II Internazionale, prima dello scoppio della prima guerra mondiale: “la risoluzione di Basilea non parla della guerra nazionale, né della guerra popolare – di cui si ebbero esempi in Europa, e che furono anzi tipiche nel periodo 1789-1871 – e nemmeno della guerra rivoluzionaria, guerre alle quali i socialdemocratici non hanno mai rinunciato. Ma essa parla della guerra attuale che si svolge sul terreno dell’‘imperialismo capitalista’ e degli ‘interessi dinastici’, sul terreno della ‘politica di conquista’ degli ambedue gruppi di potenze belligeranti […]. Plekhanov, Kautsky e soci ingannano senz’altro gli operai, ripetendo la menzogna interessata della borghesia di tutti i paesi, che tende, con tutte le forze, a presentare questa guerra imperialista, coloniale e brigantesca come una guerra popolare difensiva (non importa per chi) e che tenta di giustificarla con gli esempi storici delle guerre non imperialistiche” [11].
Perciò Lenin non può che giudicare filistei quei socialisti che tentavano di giustificare il loro sostegno a una guerra imperialista sulla base del fatto che sarebbe una legittima guerra difensiva, quale difesa della propria patria occupata dall’esercito nemico: “per il filisteo l’importante è di sapere dove stiano gli eserciti, chi adesso abbia la meglio. Per il marxista è invece essenziale il motivo per cui si combatte una guerra concreta, durante la quale possono risultare vittoriosi questi o quegli eserciti” [12]. Anche perché, pure le masse prive di coscienza di classe danno credito alle giustificazioni che i revisionisti tendono a dare del loro schierarsi con le borghesie nazionali nella guerra imperialista, richiamandosi a un sedicente “difensismo rivoluzionario”. In tal modo, in effetti, le masse non comprendono il legame che c’è fra il capitalismo, in particolare nella sua fase di sviluppo imperialista, e la guerra e rischiano di cadere nell’illusione dei pacifisti per cui sarebbe possibile giungere a una pace giusta e duratura, senza aver prima rovesciato l’imperialismo.
“Data l’innegabile buona fede di larghi strati di rappresentanti delle masse favorevoli al difensismo rivoluzionario, che accettano la guerra solo come la necessità e non per spirito di conquista, e poiché essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura, ostinazione e pazienza l’errore in cui cadono, svelando il legame indissolubile tra il capitale e la guerra imperialistica, dimostrando che è impossibile metter fine alla guerra con una pace veramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale” [13]. Perciò Lenin critica quelli che definisce i social-pacifisti, ovvero coloro che pur dichiarandosi socialisti portavano avanti una linea pacifista che, come mostra Lenin, è inconciliabile con il socialismo rettamente inteso. “Ecco l’argomento essenziale: la rivendicazione del disarmo è l’espressione più chiara, risoluta e conseguente della lotta contro ogni militarismo e ogni guerra. Ma proprio in quest’argomento essenziale risiede l’errore fondamentale dei fautori del disarmo. I socialisti a meno che cessino di essere socialisti, non possono essere contro qualsiasi guerra. In primo luogo, i socialisti non sono mai stati e non potranno mai essere avversari delle guerre rivoluzionarie” [14].
Proprio per questo Lenin critica, severamente, le parole d’ordine che proclamano il disarmo in una condizione in cui il mondo è ancora essenzialmente sotto il dominio di paesi imperialisti. La tendenza, che Lenin giudica meschina, degli Stati di piccole dimensioni di rimanere neutrali, anche grazie alla politica del disarmo, è paragonata alla pia illusione del “piccolo-borghese di restare estraneo alle grandi battaglie della storia mondiale e di approfittare di una posizione di relativo monopolio per continuare a vivere in uno stato di passività abitudinaria: ecco la situazione sociale oggettiva che può garantire all’idea del disarmo un certo successo e una certa diffusione in alcuni piccoli Stati. Beninteso, questa tendenza è reazionaria e riposa esclusivamente su illusioni, perché in un modo o nell’altro l’imperialismo trascina anche i piccoli Stati nel vortice dell’economia e della politica mondiale” [15]. Se anche nel caso dei piccoli Stati la politica del disarmo è insensata, proprio per la sua natura particolaristica, che non tiene nella dovuta considerazione le linee fondamentali di sviluppo della storia mondiale, tale prospettiva non può in alcun modo essere rivendicato da un socialista. “Il ‘disarmo’ è oggettivamente il programma più nazionale, più specificamente nazionale, dei piccoli Stati, ma non è in nessun caso il programma internazionale della socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale” [16].
Note
[1] I. V. Lenin, Il fallimento della II Internazionale (maggio-giugno 1915), in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 21, p. 194.
[2] Ibidem.
[3] Id., L’estremismo, malattia infantile del comunismo (aprile-maggio 1920), in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 493.
[4] Id., Lettere da lontano (marzo 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 101.
[5] Id., Discorso sullo scioglimento dell’Assemblea costituente alla seduta del Comitato esecutivo centrale di tutta la Russia (gennaio 1918), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 301.
[6] Id., L’estremismo, op. cit. pp. 467-68.
[7] A parere di Lenin il proletariato moderno è la classe universale poiché: “è la classe più forte e più avanzata della società civile; in secondo luogo perché nei paesi più progrediti esso costituisce la maggioranza della popolazione.” Id., La grande iniziativa (28 giugno 1919), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 418. Dunque, a parere di Lenin, “solo una classe determinata, e precisamente gli operai delle città, e in generale gli operai di fabbrica, gli operai industriali, è in grado di dirigere tutta la massa dei lavoratori e degli sfruttati nella lotta per abbattere il giogo del capitale, di dirigerli nel corso stesso dell’abbattimento, nella lotta per mantenere e consolidare la vittoria, nella creazione del nuovo ordine sociale, dell’ordine socialista, in tutta la lotta per l’abolizione completa delle classiivi: p. 416.
[8] Id., Il programma militare della rivoluzione proletaria (settembre 1916), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 92.
[9] Ivi, p. 94.
[10] Ivi, p. 86.
[11] Id., Il fallimento della II Internazionale (maggio-giugno 1915), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 9.
[12] Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economicismo imperialistico” (agosto-ottobre 1916), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 63.
[13] Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (aprile 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 109.
[14] Id., Il programma militare… op. cit., p. 84.
[15] Ivi: p. 94.
[16] Ivi: p. 95.

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30/06/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte: 

“Conservazione”, “progresso”. “Destra”, “Sinistra”. La verità oltre lo storytelling

Realtà: L’ISTAT certifica l’aumento della povertà assoluta in Italia. I dati, riferiti al 2017, riguardano circa 5 milioni di individui, l’8,3% della popolazione residente, in espansione rispetto al 7,9% del 2016 e al 3,9% del 2008. Le famiglie in povertà assoluta sono 1,8 milioni, con un’incidenza del 6,9%, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3% del 2016 (era il 4% nel 2008). La ripresa dell’inflazione nel 2017 spiega circa la metà (tre decimi di punto percentuale) dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta, la restante parte deriva dal peggioramento della capacità di spesa di molte famiglie che sono scese sotto la soglia di povertà (Fonte: Presidente dell’ISTAT, Giorgio Alleva, in scadenza di mandato – 14 Luglio 2018 – con indennità di carica di 240.000,00 € lordi annui).
Complessivamente, si stima che nel 2017 siano in povertà assoluta 154 mila famiglie e 261 mila individui in più rispetto al 2016. Dal punto di vista territoriale, i dati provvisori mostrano aumenti nel Mezzogiorno e nel Nord, e una diminuzione al Centro. L’aumento delle famiglie in povertà assoluta è, inoltre, sintesi di una diminuzione in quelle in cui la persona di riferimento è occupata, e di un aumento in quelle in altra condizione.
Inoltre, un milione di famiglie è senza lavoro, sono raddoppiate in 10 anni. Nel 2017 in 1,1 milioni di famiglie italiane “tutti i componenti appartenenti alle forze di lavoro erano in cerca di occupazione”, pari a 4 famiglie su 100, in cui non si percepiva dunque alcun reddito da lavoro, contro circa la metà (535mila) nel 2008. “Di queste, – dice Alleva – più della metà (il 56,1%) è residente nel Mezzogiorno. Nel complesso si stima un leggero miglioramento rispetto al 2016 (15mila in meno), ma la situazione al Sud è in peggioramento (13mila in più)” (Fonte: ANSA).
Politica: … Ehm. Secondo il timbro col quale viene pronunciata può sottolineare un moto di incertezza, di imbarazzo, di incredulità, o di indifferenza, riassumere una larvata minaccia (Non si lasci scappar parola… altrimenti… ehm! aveva detto uno di que’ bravi – “I promessi sposi” di A. Manzoni, 1827) o semplicemente servire di avvertimento per qualcuno che parla a interrompere o cambiar discorso.
Conservazione”, “progresso”. “Destra”, “Sinistra”. La verità oltre lo storytelling
«Ogni nuova verità nasce nonostante l’evidenza», Gaston Bachelard
Per avviare il discorso sulla “conservazione” nella società contemporanea, si propone qui una riflessione sui cambiamenti economico-sociali e politico-culturali in atto che riguardano, prevalentemente, la forma e non la sostanza dei rapporti sociali. Più precisamente, si ritiene che all’orizzonte non sia affatto possibile scorgere nuove strutturazioni e/o ribaltamenti gerarchici nella “composizione” [1] e “situazione” [2] di classe su scala planetaria; semmai, alcuni aspetti di costume “politically correct” hanno distolto l’attenzione dai processi di emancipazione storico-sociale, ritenuti ormai quasi inessenziali, considerata, con pervicacia antistorica ed antiteorica, l’inalterabilità della dimensione mercantile ed interdipendente delle formazioni economico-sociali nell’odierno capitalismo globale [3].
Tra l’altro, le alternative di costume [4] – apparenze fenomeniche di mutamenti affatto fondativi di un inedito vivere sociale – non procurano gli effetti auspicati, bensì sono esse stesse congegnate come perfettamente funzionali all’attuale consolidamento del cosiddetto capitalismo post-borghese e post-proletario. Ecco perché la categoria filosofico-politica della “conservazione” è quella che meglio s’adatta all’odierno scenario nell’interpretare le tipiche dinamiche delle attuali formazioni economico-sociali. Infatti, “conservazione” non significa “inazione”, “immobilismo”, “stasi”, “blocco nostalgico”; palesa semanticamente, viceversa, l’azione del “mantenére”, l’agire in modo che il presente, con le sue caratteristiche, duri a lungo, perduri appunto, rimanga in essere e in efficienza; questa accezione mette in rilievo l’intenzione, l’opera, i mezzi volti a tal fine; evidenzia, dunque, il ruolo indispensabile della soggettività che orienta i comportamenti nel far rimanere la situazione sociale in una determinata stabile condizione, oltre la quale non vuole andare.
Le battaglie sociali di retroguardia – quelle sui “diritti” sociali e politici, ad esempio –, rispetto a quella centrale per il “potere”, sono diventate, quindi, veri e propri ostacoli culturali per l’elaborazione di un pensiero e di una cultura efficacemente anticapitalistiche e delle correlate prassi antagoniste.
Concentrare su questo tema – la “conservazione” – il pubblico dibattito è arduo perché si rischia il fraintendimento o il linciaggio da parte delle vestali della realpolitik ignare queste ultime, in verità, del fallimentare problem solving connesso al “pragmatismo” che avrebbe dovuto secolarmente generare.
Le critiche a questa analisi sono fin troppo chiaramente presenti nella coscienza di chi scrive; tuttavia, rinunciare non favorirebbe il superamento del pregiudizio tardo-illuminista, veicolato dal positivismo e contrastato dal marxismo, secondo cui non potrebbe essere realizzato se non ciò che storicamente si realizza. Scrive a suo modo, in proposito, Il giovane favoloso (rif. al film del 2014 diretto da Mario Martone), Giacomo Leopardi (rif. al Canto XXXIV – La ginestra, o fiore del deserto, 1836): Dipinte in queste rive Son dell’umana gente Le magnifiche sorti e progressive. Qui mira e qui ti specchia, Secol superbo e sciocco, Che il calle insino allora Dal risorto pensier segnato innanti Abbandonasti, e volti addietro i passi, Del ritornar ti vanti, E proceder il chiami. Distaccandosi dal lirismo, più in generale, le definibili magnifiche sorti e progressive ci portano ad affermare che, secondo il pregiudizio tardo-illuminista, l’umanità avrebbe operato indefessamente, pur nell’affiorare di contraddizioni, pur nell’inevitabilità dei conflitti e del fiorire di dilemmi teorico-pratici, per il progresso economico, tecnico, scientifico, sociale e politico dei popoli. A questa errata convinzione è necessario opporre domande obiettive riguardo alla realtà della condizione umana 5 e sulla sua configurazione attuale circa il possesso d’una specifica dimostrazione di verità sul raggiunto “progresso”. Pertanto, ci si propone di scomporre questi interrogativi in due delimitate questioni, che saranno affrontate in successione.
  • La prima può essere così formulata: esiste una comprensione “obiettiva” dell’idea di progresso consegnataci dalla rivoluzione socio-culturale, prima che politico-istituzionale, dell’intraprendente borghesia del Settecento europeo? Esiste, cioè, un’ermeneutica super partes di questa nozione, capace di metterne in luce aspetti nuovi e originali rispetto a quanto farebbero l’organizzazione economica della società, la filosofia o le scienze, di chiarire eventuali ambiguità o esplicitarne meglio le implicazioni?
  • La seconda quaestio alla quale si giunge è la seguente: può l’interpretazione di classe, il punto di vista partigiano, aiutare a comprendere i rapporti che intercorrono fra progresso economico-sociale, scientifico e progresso umano, la dinamica delle loro interazioni, ma anche le condizioni richieste per una loro convergenza?
In ambedue i casi ci si chiede, in definitiva, cosa il tempo presente possa aggiungere ad un ragionamento sul “progresso” e, specularmente, sulla “conservazione”.
Come chiosa a queste riflessioni, si riferisce la formulazione, per certi versi la più avanzata nonostante l’aspetto feuerbachianamente alienato, dell’idea di progresso decodificata come “sviluppo umano”: secondo la definizione dell’United Nations Development Programme, esso consiste in «un processo di ampliamento delle possibilità umane che consenta agli individui di godere di una vita lunga e sana, essere istruiti e avere accesso alle risorse necessarie a un livello di vita dignitoso», nonché di godere di opportunità politiche economiche e sociali che li facciano sentire a pieno titolo membri della loro comunità di appartenenza.
Gli obiettivi generali dello sviluppo umano sono i seguenti:
* promuovere la crescita economica sostenibile, migliorando in particolare la situazione economica delle persone in difficoltà; * migliorare la salute della popolazione, con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi e ai gruppi più vulnerabili; * migliorare l’istruzione, con priorità all’alfabetizzazione, all’educazione di base e all’educazione allo sviluppo; * promuovere i diritti umani, con priorità alle persone in maggiore difficoltà e al diritto alla partecipazione democratica; * migliorare la vivibilità dell’ambiente, salvaguardare le risorse ambientali e ridurre l’inquinamento.
Al posto degli indicatori che si riferiscono alla sola crescita economica (come il prodotto nazionale lordo), che nulla dicono degli squilibri e delle contraddizioni che stanno dietro alla crescita, l’U.N.D.P. utilizza dal 1990 un nuovo indicatore di sviluppo umano (ISU o HDI nell’acronimo inglese).
Bisogna riconoscere che corrispondere in maniera conoscitiva alle problematiche poste va incontro ad alcune difficoltà. Nei riguardi della prima, circa l’esistenza di una specifica ermeneutica teleologica di progresso, va osservato che molte delle visioni filosofico-politiche sul tema affondano le loro radici proprio nel pensiero classista borghese e in alcuni casi ne rappresentano sviluppi, ma anche derive e radicalizzazioni.
Sarebbe difficile scrivere una storia dell’egemonia economica e culturale della borghesia, fino all’assetto globale della contemporaneità, eterodiretto dall’Occidente, senza chiamare in causa categorie originariamente elaborate dal processo rivoluzionario che ha fatto i conti con l’ancien régime (ricordiamo che con il colpo di Stato del 9 termidoro, il 27 Luglio del 1794, le vicende volgono verso altre mete determinando l’ascesa di Napoleone); se non lo si fa è perché queste vengono di solito implicitamente assunte, non più tematizzate verificandone l’applicazione storica, o in alcuni casi perfino espropriate dei loro originari significati.
In merito alla seconda domanda, quella inerente le eventuali luci che i principi di uguaglianza, libertà e fratellanza, precocemente abbandonati, avrebbero gettato sul rapporto fra progresso economico-sociale, scientifico, tecnico e progresso umano, la difficoltà nasce da alcune visioni oggi non più compresse e non più comprimibili nell’ideologia della classe dominante, come ad esempio quella di una supposta dialettica armonia fra ragione capitalistica e democrazia, fra materialità dell’esistenza e sistema giuridico-valoriale, fra scienza e umanesimo, fra poteri e popoli, che finisce col condizionare anche la comprensione del rapporto fra ciò che è umanamente rivendicabile e ciò che è ritenuto oggetto di immodificabile, totalitaria organizzazione (secondo il criterio di naturalizzazione dei fatti storici) dei rapporti di produzione e di riproduzione della vita sociale. Desiderando sintetizzare, si può dire che la tela può più volte essere dipinta, ma sempre all’interno d’una stessa cornice, mentre è il perimetro del quadro oltre che l’effige a caratterizzarne la qualità; nel caso in questione, l’estensione del capitalismo e la tutela di società e natura (rif. a K. Polanyi).
Solo lasciando alla storia e non alla storiografia la libertà di impiegare le proprie potenzialità piuttosto che affidarsi alla retorica ed all’apparato teorico categoriale, sarà possibile superare alcuni schemi predeterminati e giungere perfino a suggerire, come si mostra in questo intervento, che progresso economico-sociale ed emancipazione umana sono, per la ricerca non prezzolata, intimamente legati. Un vero progresso non può che essere progresso sociale, ed una vera emancipazione umana non può che includere in sé, come sua dimensione costitutiva, un vero ed irreversibile avanzamento nelle forme storiche dei rapporti sociali.
Pertanto, vigente tutt’ora il sistema capitalistico-borghese [6] (i cui prodromi sono di epoca remota e affondano alcune delle proprie radici nell’Europa tardo-medioevale, in particolare in quel protocapitalismo finanziario e commerciale incarnato dalla figura dei mercanti imprenditori e dalla fenomenologia dell’accumulazione originaria), nient’altro si può affermare che la sussistenza strutturale d’una compatibilità tra “conservazione” e regime politico planetario. Tale compatibilità non è mai stata scalfita in oltre quattro secoli, nonostante la legislazione sociale, il Welfare State universalistico, la fuoriuscita nominale dallo schiavismo che autorizza alcuni a ritenere avvenuto un miglioramento delle condizioni di vita senza precedenti nella storia dell’umanità mettendo sotto silenzio in quali circostanze e come avesse avuto origine e come continua tutt’ora l’accumulazione di ingenti somme di danaro che sole hanno potuto avviare e consolidare la grande produzione capitalistica e la “società di massa”.
Per valutare quale contributo la borghesia abbia recato all’idea di progresso non è la concezione imprenditoriale della tecnica o del lavoro umano che va messa a tema, perché un rapporto fra capitalismo e progresso coinvolge comunque in primis la concezione della storia e della libertà, e solo secondariamente l’emancipazione umana dallo sfruttamento e la riconciliazione tra lavoro manuale ed intellettuale nella generalità delle persone. Questo perché la “rivoluzione borghese”, nell’ambito dell’affermazione definitiva del modello capitalistico, ha sostituito funzioni ed inventato “figure” sociali, ma non ha alterato la gerarchia del comando politico a difesa dei propri interessi economici sussumendo, nella logica del profitto, le classi subalterne.
Forgiata soprattutto nella “modernità”, l’idea di “progresso” contrapposta a quella di “conservazione”, viene ampiamente perfezionata nel Seicento da Francesco Bacone e da Cartesio, allo stesso modo nel Settecento con la fondamentale stagione illuministica che si immette nell’indirizzo di pensiero positivista di Comte e trova, successivamente, un importante crocevia rappresentato dall’Idealismo hegeliano il cui portato filosofico darà più tardi origine a commistioni con le utopie veicolate nell’Ottocento dal socialismo non scientifico. Nel crocevia idealistico-hegeliano avviene la contaminazione di tutti i discorsi filosofico-politici provenienti da altri “luoghi” teorici e delle diverse opzioni culturali al punto tale da agevolmente incorporare nei pur disparati impianti teorici lo sviluppo dello Spirito come concettualità aprioristica assumendone, ciascun impianto, conseguentemente, i caratteri del determinismo, dell’autorealizzazione e della totalità.
Il punto in questione è che tutte queste visioni, da Bacone fino alla “rottura epistemologica” (rif. a Gaston Bachelard e, in particolare, a Louis Althusser) di Marx, nascono e prendono forma grazie a concezioni e categorie introdotte dal superamento dell’oscurantismo medievale, o che hanno comunque in esso le loro radici oppositive [7]. Inoltre, non poche delle risorgenti utopie politiche o sociali dell’epoca moderna con propaggini nella contemporaneità, anch’esse fondate sull’idea di progresso, si basano su idee e concezioni proprie di un idealismo borghese alle quali però, come da tempo è stato osservato (rif. a Romano Guardini ne La fine dell’epoca moderna, 1950), è rimasto solo il guscio esteriore e sono pertanto condannate a esaurirsi o ad impazzire, venendo a mancare, a motivo del materialismo e della secolarizzazione, la linfa spirituale che le sosteneva e che generava con il misticismo logico l’equazione tristemente nota tra “ragione “ e “realtà”.
Guardare l’andamento storico obiettivo delle vicende umane significa fare esperienza del movimentato assetto della “conservazione”, della conoscenza scientifica mediante la diuturna osservazione dell’attitudine alla riconferma del potere classista statuito, del recepire lo storytelling del comando sociale come “conoscenza” delle contraddizioni e non come “l’adattivo ed omologante racconto di un’esperienza”, efficace per manipolare le menti ottenendone la subalternità e passività. La conoscenza operativa genera una possibilità: avanzare alla volta di un effettivo oltre, dirigendosi collettivamente verso un obiettivo di irreversibile liberazione.
Giovanni Dursi
Note
[1] Ci si riferisce all’elemento soggettivo, leggendo lo stesso sviluppo capitalistico, la tecnologia, l’organizzazione del lavoro posto come esito perennemente in divenire dei rapporti di forza tra le classi; pertanto, l’accumulazione non è governata esclusivamente da leggi oggettive, ma riflette il continuo gioco tra iniziativa del capitale e comportamenti dei proletari. Come è stato osservato (intervento di Salvatore Cominu all’incontro sulla “composizione di classe” nel ciclo COMMONWARE di autoformazione di Piacenza, 3 Marzo 2014 ), Sergio Bologna, all’epoca giovane militante e in seguito promotore di una delle principali esperienze intellettuali del marxismo degli anni Settanta, la rivista Primo Maggio, al precedente ciclo di incontri COMMONWARE, ha fornito della composizione di classe la seguente definizione“capire”: «la classe per come si dà “nel processo produttivo e in rapporto con l’organizzazione tecnica, ma anche per cosa pensa, come vive, di quali valori, desideri, aspettative è portatrice”. E certamente l’idea che l’operaio taylor-fordista fosse diverso, per valori, atteggiamento verso il lavoro, l’azienda, la professionalità, dalla vecchia generazione in possesso di un “mestiere”, ha rappresentato la principale intuizione politica dei Quaderni Rossi». Fonte: COMMONWARE – GENERAL INTELLECT IN FORMAZIONE (web site).
[2] Si ritiene adeguata la seguente definizione: “Il sistema delle disuguaglianze strutturali di una società, nei suoi due principali aspetti: quello distributivo, riguardante l’ammontare delle ricompense materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una società e quello relazionale, che invece ha a che fare con i rapporti di potere esistenti tra essi” (rif. A. Bagnasco, 1997).
[3] Rif. a “Capitalismo e globalizzazione”, di Nerio Nesi e Ivan Cicconi, Prefazione di Luciano Canfora, biblio-sitografia e contestualizzazione a cura di Giovanni Dursi, Koinè Nuove Edizioni, 2002
[4] In questa sede ci si riferisce alla potenzialità del classico tradeunionìsmo di mobilitazione e di unificazione di diverse soggettività sociali, all’interno della complessa organizzazione della vita pubblica, la cui azione rivendicativa non intacca il carattere di merce dei beni prodotti dal lavoro e delle relazioni di mercato che vengono estesi anche a moneta, terra, ambiente, non più fuori dalla produzione, alle attività di cura e sociali.
[5] Per approfondimenti, si propone la lettura di Mutamenti della struttura di classe in Italia di Alberto Baldissera, il cui testo integrale è in https://journals.openedition.org/qds/1470.
[6] Per capitalismo (termine entrato in vigore solo nei primi decenni del XIX secolo) si intende un insieme di condizioni e relazioni socioeconomiche quali: la proprietà privata dei mezzi di produzione; la libertà di perseguire il profitto, in conseguenza dell’investimento del proprio capitale nel giro degli affari, con criteri di razionalità e quindi di efficienza; l’esistenza di una manodopera che vende al capitalista la propria forza lavoro in cambio di un salario; il comando, da parte del detentore del capitale, sulle modalità del processo produttivo e di accesso dei prodotti stessi al mercato; la propensione all’investimento di nuovi capitali per l’innovazione delle tecnologie; la logica dell’allargamento del mercato come conseguenza del progresso e come presupposto per l’accaparramento di materie prime; il proseguimento e l’allargamento dell’impresa in un contesto globale segnato dalla concorrenza tra imprese. Non vi è dubbio che il capitalismo in quanto sistema assunse una sua fisionomia compiuta tra XVIII e XIX secolo, durante la rivoluzione industriale, trovando la sua più tipica espressione nella fabbrica come luogo di concentrazione delle macchine, del ciclo di lavorazione e degli operai salariati inquadrati in una definita organizzazione del lavoro. Di qui il concetto e la realtà del capitalismo industriale.
[7] Sarebbe sufficiente una lettura dei capitoli centrali delle Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel (postume, 1837) per rendersene conto: qui la fenomenologia dello Spirito che si realizza nella storia, giungendo alla sua autocoscienza come Assoluto, è spiegata in costante dialogo, quasi in parallelo, con il fine soprannaturale della religione cristiana, tanto il processo di perfezionamento ascetico del singolo, come quello di universale glorificazione di Dio.
FONTE
https://www.mentinfuga.com/

venerdì 6 gennaio 2017

Bio-image and General Intellect: can images transform bodies?

This text results from KAFCA (Knowledge Against Financial Capitalism) conference, which was held in Macba, Barcelona, 1-3 december, 2011.

In spring 2011, hundreds of migrants arriving from revolutionary Tunisia to Paris opened a harsh conflict within the metropolis, reclaiming the right to circulate freely, and the right to have rights. In November 2011, the Central Tunisian Bank decides to state explicitly its independency in the lawconcerning public powers. « If we do nothing, it simply becomes the death of revolution », a Tunisian Comrade says.
But beyond the catastrophe, the « Occupy » global movement - starting from revolutions in Maghreb and Mashrek, until Spanish acampadas, and all the occupations that are taking place all over the world - teaches us, that we experience a new temporality : the temporality of crisis and the temporality of global becoming. How do the « occupy-bodies » struggle against their financial captation, and transform singular micro-politics of resistance in a common power to act against it?How do they re-appropriate, through bodies and images, their wealth and potency and that produced, generated, created by bodies, from within, but against financial capitalism ?
As an example, the concentration of economic, political and media powers in the hands of one single man determined, in Italy, a homologation of modes of subjectivation which constitutes an anomaly of violence : it has normalised the social body, and fragmented it, in order to control it. It is therefore necessary to develop our understanding of how images have performed, during the last thirty years, this in-formationof bodies. There seems to be a specific mode through which one builds his or her body, a mode determined by an extreme power of normativity and, on the contrary, there seems to be also, coming from below, an empowering capacity of subjective and collective constitution. At the horizon, there is the necessity to re-appropriate our lives, our bodies, through the re-appropriation of our commonwealth.
I would like here to draw just one line in the midst of the multitudinary network of resistances to financial appropriation of the material and immaterial wealth that we are producing. At this purpose, I will show two examples of generation of life through images, beyond the opposition between the notions of production and that of creation, on the basis of some distinctions between these two concepts. What I would like to concentrate on, is to understand how to evade the financial captation of our immaterial wealth – what constantly results from our creation and our potency – building new powerful relations between images and bodies.
Karl Marx called « general intellect »,in the « Fragment on Machines »,widespread social knowledge that capital exploits especially for the purposes of its technological development1. Paolo Virno writes, in regard to the Postfordist mode of production, that living labour « embodies the general intellect » , or « social brain », and this « social brain » is no longer embedded in machines, and no longer coincides with the fixed capital, but rather coincides with thelinguistic cooperationof a multitude ofliving subjects:
In Postfordism, conceptual and logical schema play a decisive role and cannot be reduced to fixed capital in so far as they are inseparable from the interaction of a plurality of living subjects. The ‘general intellect’ includes formal and informal knowledge, imagination, ethical tendencies, mentalities and ‘language games’. Thoughts and discourses function in themselves as productive ‘machines’ in contemporary labour and do not need to take on a mechanical body or an electronic soul. The matrix of conflict and the condition for small and great ‘disorders under the sky’ must be seen in the progressive rupture between general intellect and fixed capital that occurs in this process of redistribution of the former within living labour2.
Today, financial capitalisminfinitelyregeneratesitselfbyitself, and it does so, not only by the means of languages, but also by the means of knowledge, and the movement of life and images. This means, that there is a performative injunctiontobiologicalregeneration of servitude. Bodies are morphologically shaped by capital which reproduces itself, by means of the flesh. 
It works through an infinite biological reproducibility of body-images.What, then, are the possible strategies that a body can implement, in order to destroy from within its visual performative injunction to reproduce its own enslavement? Embodied images are devices of financial power, but they can also be empowering for bodies, when they are free. What are the images that destroy from within the bonds of capitalistappropriation? How to tearoffthe devicesandmediaimages thatare embedded (incorporated, prosthetized) in our bodies?
 
1. From the infinite technical reproducibility of images to their infinite biological reproducibility
Justlike languages, images « generate conscious movements, or social automatisms, or political systems », to say it with Franco Berardi and Alessandro Sarti3. Images build the visible, like biotechnologies build living organisms. Images generate forms in continuity with the living, of which they are visible and material extensions, because « nothing is representative, but all is life and processes of becoming », with Deleuze’s words. If words, discourses and narratives are performative (they act), images are performative in the sense that they can change the real. Our hypothesis is that, beginning from the 1950s, global media system works in a self-referential and autopoietic way, using recursively the image that it has of itself. This system does more than just reproducing bodies as if they were things – through technical and technological reproduction of images -, but it reproduces itself by itself, it regenerates itself, just like a living body. In fact, that of images is not only an « inert » platform – paper, screen, pixel – but a living support : bodies are employed as the platforms of reproduction ; in particular, women’s bodies, migrant’s bodies and marginal bodies.
- Technobiological dynamics. If we consider the important fact of technical reproducibility of images – analyzed at the beginning of last century by Walter Benjamin4-, we experience, since the 50s, the passage from the infinite technical reproducibility of images to their infinite biological reproducibility. The invention of bio-imaging, in that period, is paradigmatic.
Fig. 1 « In the magnified breast tissue above, cancer cells appear lighter. From confocal microscopy of small regions (boxes) the daVinci program constructs images of individual cell nuclei like those at very top; specific genes are labelled with fluorescent probes.5»
 
Images become devices of capture of the living, but also devices of production and reproduction of life itself, of bios. This is not only a question of change/crisis of modern monetary, economical and cultural parameters. These allowed Nation-states to control populations over the production of bodies and images, on the behalf of political and aesthetic representation. We are talking about a more profound dimension, which is the radical change occurred in the form of valorization of images and bodies, as well as a radical change of the exploitation devices, in which consisted modern representation (as Diego Velàzquez has taught our eyes in the XVII century).
The economic exploitation of man by man will the more and more be exerted through media in what can be considered as the beginning of Postfordism6. The new dynamics can be qualified as techno-biological, and it articulates the capitalist need of reproducing and extending itself through bodies, embedding slavery in each of them. Exploiting the regenerative and reproductive attitude of life – living, carnal, affective labour -, cognitive capitalism transforms bodies from within, from their substance.
- From production to creation of bodies and images. In the 1960s, we can see, in the larger context of the globalizing capitalist countries, that a change occurs in the modes by which powers are exerted, in the government of bodies. We pass from disciplinary societies to control societies : societies in which individuals are the more and more controlled by within their imaginaries and their practices of subjectivation7. Visual norms of morphological conformation will start to build bodies, on the basis of the technological revolution articulated with - in a quasi simultaneous way - the media import of a Playboyimaginary: a pornotopic imaginary8.
Contemporarily, labour gradually feminizes. This means, that it acquires the same characteristics that have defined, historically, women's work : not recognized, unpaid work, variable, invisible work, black work, affective and sexual work9. Life put to work is what characterizes the regime of the infinite reproduction of slavery in the neoliberal rationality. We can easily notice that progressive feminization of work and slavery corresponds to a major function of capitalism, which is that of reproduction of work and slavery. We shall seesome essentialrelationsbetweencapitalistic accumulation, technology, bodiesat work andimages, allcenteredon the notions ofreproduction, representation, and regeneration. Someof these relations areclearlypower relations, but we must not forget(and that is why we are here) thatbecause thesepowersmay exist, they need the vital part they appropriate, that of bios, that of living and loving bodiesthat can, on the other side, extend their potency bysplittingthe chainsof bioeconomic slavery.
The articulation between these elements produces a global machine of visual control over bodies and of visual production of bodies. The new extraordinary visual machine has the power to transform the facesand the body of each individual through its gigantic productive eye. We have come to the specification and transformation of the real in a hard-core real: the complete media exploitation of affects, of sexuality, of bodies, coupled with the progressively privatized political space, the more and more devoured by finance. What about this visual production ? What difference, between the capitalistic bio-visual production and a common liberating bio-visual creation ?
The concept of reproduction of body-images, as we will explain later, means that the phenomenon of the infinite technical reproducibility of images (highlighted by Walter Benjamin at the beginning of mass culture) starts to become, in the 50s – 60s, an infinite biological reproducibility of images, and an authoritarian injunction to biological reproduction and regeneration of bodies on the modes and to the purposes of the advanced capitalism. But what about the word « reproduction » ? We must here make a distinction between two radically different modes of this function. Representation works as a bond with our bodies and it is performed through the violence of an infinite reproduction of separations, exclusions, as forms of control (biopower). On the other side, the crisis of political representation takes form in the Occupy places throughout the world, as a desire of transformation, beyond the Nation-state, and beyond its discourses. Here reproduction is not a repetition, it works against mimesis and against identification of subjects in fixed roles, as a living creation of life and of common political possibilities.
- The bio-visual autopoïesis. If words do things, images do things too : they transform bodies. During the last decades, the construction of a specific morphologically determined social body, serving the progressive process of capitalization of life crossed with feminization of work has worked out through a visual auto-reproduction : a bio-visualautopoïesisof the capital through bodies and images.
The autopoïesisis, in its simplest definition, the characteristic of a system which reproduces itself by itself, so as to maintain its structure even though its components change. Autopoïetic systems, as described by Chilian cognitivists Humberto Maturana and Francisco Varela, are « An autopoietic machine is a machine organized (defined as a unity) as a network of processes of production (transformation and destruction) of components which: (i) through their interactions and transformations continuously regenerate and realize the network of processes (relations) that produced them; and (ii) constitute it (the machine) as a concrete unity in space in which they (the components) exist by specifying the topological domain of its realization as such a network10. »
It is a self-referential system, a system capable of using recursively the image that it has of itself : it does not only reproduce bodies like things, but it reproduces, through biological reproduction of bodies, its own system, its own net.
Here stands the difference between two kinds of autopoïesis. From one side, capital reproduces itself mimetically, excluding any alterity by subsuming the whole real : it is the production and the visual reproduction (representative, repetitive, mimetic, schematic) of an autoreferential system based on financial criteria to measure life. It is the difference between the autopoïesis of the capital (the borders of the hegemonic network) and the creation of life. The first border (and order) is auto-produced today by the bonds of financial governance, extracting intelligence from bodies, and the infinite biological reproduction of life and images means immediately an infinite reproduction of debt over life. In fact, this mechanism plays within an eschatological temporality, based on indexes of prefiguration, processes of revelation, promises, a pre-visual(in a temporal sense) dimension based on temporal bets and financial speculations. On the contrary, the second kind of autopoïesis performs figurations, constantly creating itself, open : the word poïesiscomes from the Greek auto and poiesis,creation.
The global financial crisis that we are living in, since 2008, isalso a crisis of the auto-reproductive and autopoietic mechanism of capital. The generalization of precarity and poverty implies a lack of social, biological and creative reproduction. This is the contradiction of bio-economic and cognitive capitalism and here is the crisis : a crisis of the capacity of capital to reproduce while it increases the exploitation of life.
 
2. Revealing/creating revolution
- Forecasting revelations. In the substance and in the very way images are build there is something biological. Photographs are techno-biological devices: light is necessary to impress a form on a support, thanks to abonding animal agent : an organic glue fixing light with silver. A photographic impression can last hours : it is life and time embedded in materiality. The organic molecules are spectral sensitizers. Starting from the invention of X rays, and then, bio-imaging technologies, light itself will be produced by technologies of visualization of the interior of a body - and not anymore only by exterior light capturing exterior forms. Images reveal the existent, and this process of revelation of life comes from below : an inside light coming from the interior of the bio-technological device, which is the latent image. Then, it is necessary to apply chemical processes of revelation (development, generation) to the film, to have a stable image.
Furthermore, with bio-imaging, starting from the 50s, if technique can intervene in the processes of biological generation through biogenetics, this seems to be a visual phenomenon. The recombinant model is a generative model that images and life have in common. Technique can interfere in the biogenesis using procedures, which have developed in the realm of images. In this sense, we can talk about some constants, in the biogenetic realm, ways of functioning through visual editing. Therefore, we can assume that, capitalistic autopoïesis (mimetic auto-reproduction) works through a specific biogenetic visual grammar. The possibility to describe biogenetic processes as visual processes becomes an epistemic foundation for all the biotechnological developments. If, starting from the 1950, the analogy between information and life becomes the more and more frequent, why wouldn’t we consider also the analogy between image and life ? The biogenetic process would be the actualization of a code, the deployment of aninformationin spaceand time, spread acrossavisualrevelation/detectiondevice or mediasupport.
This revelationor detectiondevice can be a biological body or an artificial body (as for machines like robots). Therefore, it seems to us necessary, considering the visual saturation of our era and starting from the developments in molecular biology, to point the necessity of explaining life as a visual phenomenon.
The semiotization of biological generation becomes a biologization of images, not only of language. From one side, digital simulation of life needs its visual production. From the other, the very informational biogenesis is a generative process. Here are two different processes, whose node is the re-production : a biological and visual phenomenon, at the same time11. The production of genetic material is inoculated in living organisms : computer simulation intertwined with biological modelling shows that an image can generate and transform life. The morphogenetic bio-image is necessary to the synthetic bio-morfogenesis12. When visualizing “biogenetic grammar”, life appears as an editing of images, on the basis of a code. Mapping human genetic constitution, means then, organizing a set of visual enunciations. The generative bio-editing is made of a complex intertwining between language, images and bodies. Visual reproduction takes the form of biological generation. This visual reproduction, which is, at the same time, biological generation, is produced by the creative potency of the general intellect and then captured by the systems of financial valorization, expropriated for the regeneration and reproduction of the capital itself, infinitely. Our point is, therefore, to understand how to re-appropriate our bio-visual generation, against the perverse performative capitalist injunction to regenerate capital itself. In this scenario, revelations are continuously forecast by financial agencies : rating agencies continuously forecastwaves of depth and speculation, therefore, they producedebt and speculation over depth. The technologies of forecast (global machines of control such as Standard and Poor’s and Fitch) induce waves, processes of accumulation, heterogeneous stratifications.
- Creating revolution.
  
Fig. 2Anonymous, A Young Tunisian Who Burned Himself,4 January 2011 – Sidi Bouzid, Tunisia Fig. 3Unknown, Puerta del Sol - #SpanishRevolution, 17-05-2011- Madrid, Spain
 
If media images are also biological images, the technical automatism is articulated to an image which can last a life, articulated with the deposit of time between an image and an other, so as the deposits of biological substances and natural light on inorganic supports. These inorganic supports or inert material platforms use to work as a fixed capital in the industrial era that Marx describes (would it be in Duchamp, in photography or in cinema) separated from the variable capital that was the visible resultof the image - the visible surface of revelation, coming from below. These elements are today articulated with life as a permanent support, when the substance of an image is a body itself, as for Mohamed Bouazizi self-immolation anonymous photograph on the 4th, January 201113.
Anelliptic visual « biopic », an image of a body captured in a state of transformation, and, in the other, an image of an insurrectional Plaça del Sol (Madrid, 15 may 2011). In a glance, appears, in our political eye, the image of a whole insurrectional generation : a technical body, an inert body, a material body, a revealing-collective body, the general intellect. The articulation of techno-political-mediatic aspects determine living effects which do not only « give visibility », « illuminate » the real, but who do createthe real, against the financial forecasts (revelation as promise, eschatology, pre-vision). These images are biological because they are constituted and linked one to the other by the biological temporality of a common becoming, in the rapid lightening of the temporality of revolution. They articulate, therefore, biological revelations together with bio-imaging modes of production. No more inert supports as machines, but living platforms of bodies at work : this is the infinite biological reproducibility of images.
Revelation is something about newness, it is not the discovery of something which existed before and that was just hidden under the surface, revelation is creation. Revelation of a body is, therefore, creation of a body: it is generation in the most creative sense of the notion.
The neoliberal media-economic-political imperative of the infinite biological reproduction of servitude is a process centred on power of bonds over life, through embeddings of privacy, inertia, insensitiveness inoculated in bodies treated as financial platforms within corporations, and debt over life in its most carnal characteristics. Some biopolitical examples of images show how these very bio-images torn the necropolitical imperatives and the apocalyptical forecasts, and organize its vital elements in a common biopolitical creation of life.
 
3.The biopolitical image, between an alreadyand a not yet
Fig. 4 Gustave Courbet,La Vague,1866
 
The global movement goes forth. It is innovation and change of corporeal, spatial, material, epistemological dimensions, disproportionately, exceedingly. The global wave exceeds itself at the same time it rises, that is to say when it's here: the global wave is the restless, unquiet undulation of the autopoietic movement, that by which the subject builds itself, restlessly. If the wave breaks temporality between the eternal (what is « before » what is about to start) and innovation (what is « after » what begins here), its material field consists in all the events that define it by transformation, that of the becoming-body of a multitude of monads of bio-images - the general intellect constituted by a multitude of single bodies. All the events that build the multiple becoming-body constitute the material field of the bio-image,here and now. This field is the place in the image and the place of temporality where the body produces something, where the body materially produces its field in each singular body-predicate that innovate and create it, at the same time - the series of Courbet’s Waveslike the global wave of occupiers. It is a materialistic field, a resistance field between the body and the undulation of the process of knowledge, as the materiality of general intellect resists, while undulating: the bio-image has a corporeal intensity. Here is the paradigm-virtue of resistance to fate and thus to the linear representation of time and corporeal homogeneity.It is this resistance to any transcendentalism and any predetermination, which is virtue, as an active constitution of the world. If this virtue comes from a will - a will to constitution - it asserts itself immediately as political, and its potency immediately becomes political power of transformation. The subjective and collective affirmation of potency implies an ethical, political and necessarily materialistic statement: the active transformation of substance, of flesh, of power relations, in the temporality of change - courageous openness to risk. Temporality is made as unquiet and restless praxis of Kairòs, which produces truth and subjectivities in the corporeal immersion14. Between Aliaa’s body, who speaks and acts, and what her image says and acts, there is the same unquiet undulation defining the « here » in the field of knowledge and the « here » of the footstool, which is the co-production of this body, this epistemological field and the material footstool. It is the body that produces, as power of determination, the reflexivity of the globalized image as a material field of production, between an « already » and a « not yet »: the difference is reflexive and fully active, generating disproportionately, but embodied. This is the ontological difference of temporality, the fact of being productive - of this singular body – from resistance to resistance, from body to body, from wave to wave, caught in the material and common field of their constitution : the praxis of time.
The genesis of this image, for the common of all the bodies, is that of expression and imagination, that is to say, a biopolitical image.
 
Notes:
1Karl Marx, « Fragment on Machines » (1858), Grundrisse, London, Penguin Books, 1974.
2Paolo Virno, « General intellect », in Lessico Postfordista, Rome, Feltrinelli, 2001, translated by Arianna Bove. http://www.generation-online.org/p/fpvirno10.htm. I emphasize.
3See Franco Berardi, Alessandro Sarti, Run Forme Vita Ricombinazione, Mimesis, 2008.
4Walter Benjamin, « The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction», 1936. See http://www.marxists.org/reference/subject/philosophy/works/ge/benjamin.htm
5« Seeing the Cell Nucleus in 3-D », Berkeley Lab Research Review,http://www.lbl.gov/Science-Articles/Research-Review/Magazine/2000/Winter/features/01seeing.html
6See ChristianMarazzi, La place des chaussettes, Ed. De L’Eclat, (Trad. F. Rosso, A. Querrien)1997.
7See Michael Hardt, « La société mondiale de contrôle », inÉ. Alliez (dir.), Gilles Deleuze une vie philosophique, Le Plessis Robinson, Les Empêcheurs de penser en rond, 1998, p. 359.
8As Beatriz Preciado calls it in Beatriz Preciado, Pornotopie- Playboy et l’invention de la sexualité multimédias, Climats, 2011.
9See Cristina Morini, Per amore o per forza – Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, OmbreCorte, 2010.
10Humberto Maturana, Francisco Varela, Autopoiesis and Cognition. The Realization of the Living, Dordrecht, Reidel, 1980, p. 78.
11Franco Berardi, Alessandro Sarti, op. cit., p. 32
12Idem, p. 32-33
13Mohamed Bouazizi was a 28-year-old university student who burned himself alive when the Tunisian authorities confiscated the fruits and vegetables he was selling to feed his family.
14I am thinking on the wave of Antonio Negri’s Kairòs, Alma Venus, multitude, translated by Judith Revel, Paris, Calmann-Lévy, 2001.