menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
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lunedì 13 agosto 2018

Claudia Provenzano, scrittrice di nitido talento

Claudia Provenzano è autrice del romanzo Le ragioni degli altri, ma non solo: ecco infatti la sua bibliografia.


Storia di Miryam (2007- pubblicato da Armando Curcio nel 2016)- vincitore del premio Franz Kafka Italia 2017, è la storia laica e profana della maternità di Maria di Nazareth, nota come la madre di Gesù, senza arrivare però a toccare il momento della natività. In questo libro la sua figura di donna è resa utonoma, completamente svincolata dalla quella del figlio cui è tradizionalmente sempre associata. Storia di Miryam è una ricostruzione letteraria della biografia di Maria e della sua gravidanza spiegata attingendo alle fonti storiche del Vangelo e dell’Antico Testamento, senza fare alcun riferimento a spiegazioni divine e spiritualistiche. Maria è la controfigura reale dell’icona eterea della Madonna della tradizione religiosa cattolica. E’ una giovane donna di spiccata sensibilità esistenziale, che si interroga sulle credenze e i costumi del suo tempo, sui principi teologici del bene e del male e sull’esistenza di Dio con la freschezza di un’intelligenza incontaminata, fino a sfidare con determinazione, non senza paura, le convenzioni e le regole imposte dalla cultura patriarcale dell’epoca. In questa storia si disegna il profilo di una ragazza di quattordici anni dai tratti umani e del suo amore per Gabriele, un ragazzo reale, in carne ed ossa. Si narra del concepimento naturale e illegittimo di un bambino e della difficile scelta che Maria, nel contesto della società ebraica antica, con la complicità di Giuseppe, l’uomo onesto, generoso e lucidamente razionale che le fu destinato in marito, compie per salvare se stessa e il suo bambino. 
Miryam è la ragazzina ebrea narrata nei Vangeli in pochi scarni passaggi il cui profilo e le cui vicende vengono ricostruite dall’immaginazione femminile di una donna contemporanea che vede nell’amore terreno il vero senso dell’esistere umano e che trova nel libero arbitrio l’esercizio della propria ragione in relazione a domande metafisiche e alla fede. Una storia universale che va oltre il tempo per raggiungere ed entrare in risonanza con gli animi delle donne di oggi. Storia di Miryam è la storia del concepimento del figlio di Maria come non si è mai sentita prima.  Una giovane donna, due uomini, una madre, un’amica in un intreccio emozionante di amore, passione e ribellione.

Le ragioni degli altri (2015- pubblicato da Armando Curcio nel 2018) – Si tratta di un moderno racconto corale, in cui le vite dei vari personaggi si intersecano fra loro scambiandosi i punti di vista, parlando uno dell’altro in un reciproco gioco di specchi teso a dar voce alle ragioni degli altri. Tuttavia i vari personaggi non hanno lo stesso peso, ma si irraggiano da un unico centro, quella della protagonista, Clodel e di suo figlio. Un libro articolato sia per l’intreccio dei personaggi sia per l’incastro delle voci narranti. Strutturato su continui sbalzi narrativi dalla prima alla terza persona, conduce il lettore nel labirinto di un gioco prospettico fatto di salti dentro e fuori la psicologia dei diversi caratteri. Rovesciamenti del punto di vista che hanno lo scopo di fornire una rappresentazione a tutto tondo del personaggio, descritto sia dall’interno della sua soggettiva consapevolezza, sia dallo sguardo esterno più completo ed oggettivo di un ipotetico osservatore. Sono qui rappresentate, in uno spaccato di grande attualità, varie esistenze: storie di donne che concepiscono da sole i loro figli con l’inseminazione artificiale e di donne ebbre di autonomia che consumano gelide esperienze di sesso in una notte, storie di relazioni omosessuali, di trans-gender, di bulli e vittime di bullismo, di autolesionisti, di uomini-oggetto sessualmente usati come dispensatori di seme e di uomini figli del cambiamento dei tempi non più capaci di gestire la loro virilità, fino a tematiche più tradizionali come il delitto passionale, la sottrazione della patria potestà, l’adozione, l’occultamento della paternità biologica, l’adescamento e l’abuso di minori. Temi talvolta drammatici non privi di accenti ironici ed umoristici e mai caratterizzati da risvolti nichilistici. Il ritmo del racconto è spesso incalzante e la narrazione viene qua e là insaporita da momenti spiccatamente erotici e talvolta truculenti.

Libri in corso di stesura finale

Figli mancati (2017) : affronta le storie difficili di una serie di ragazzi con famiglie problematiche il cui trait d’union è la comune professoressa di psicologia di un istituto professionale: i ragazzi frequentano tutti, taluni negli stessi anni, taluni in anni diversi la stessa scuola. Daniel, il bambino ‘esposto’, figlio abbandonato davanti al negozio di McDonald che viene adottato dal poliziotto chiamato al momento del ritrovamento. I tre fratelli Arianna, Iacopo ed Elia, i figli di Giunone, tre fratelli sottratti dall’assistenza sociale alla madre obesa dichiarata incurante per le sue difficoltà a muoversi. Amal e Ikram, le ragazze senza velo, due sorelle algerine nate in Europa punite dal padre con la rasatura dei capelli per il rifiuto del velo. Agnieszka, la bambina ‘selvaggia’, bambina ucraina ritrovata dall’assistenza sociale allo stato selvaggio nel fienile della casa del padre, suo unico famigliare. Liang, il ragazzo nella cruna dell’ago, una studentessa liceale cinese nata in Europa sottratta alla famiglia dal padre per lavorare nella fabbrica nonostante i suoi risultati eccelsi a scuola. Danush, il ragazzo dei materassi, la storia di un bambino immigrato ad un anno con la madre dall’Albania, che dopo 12 anni di stenti morirà lasciandolo sulla strada. Bianca, la bambina di cera, la ragazza di famiglia borghese che scappa di casa e diventa una punk’a’bestia,


Libri in corso di seconda stesura

Le gravi madri (2017): Tre madri e i loro figli. Madri figlie di altre madri. Madri presenti, assenti, troppo presenti, ossessive, noncuranti, ipercuranti. Storie di vita che si intrecciano in un arco di tempo che va dagli anni ’70 del Novecento ad oggi. Storie di carriere in ascesa o in rovinosa caduta, storie di eterni adolescenti alla ricerca del proprio posto nel mondo, storie di amori e delusioni, di fedeltà e tradimenti, di gravidanze non volute, di adozioni mai rivelate, di distruttive battaglie legali per l’affido dei figli, di perfidi scambi di neonati nella culla, storie di stalking e di molestie pedofile, di ragazzi abusati, storie di senzatetto e di persone ai margini della società, storie di donne sole e di donne sempre alla ricerca. Storie tutte a loro modo segnate dalle tracce che, pur senza volerlo, “gravi madri” hanno lasciato sui loro figli. (“I nostri genitori hanno determinato  le nostre ferite, le nostre ferite ci sono genitrici”. James Hilman.)

Libro in corso di prima stesura

Il corpo parla: la vita di persone il cui malessere esistenziale si esprime attraverso il corpo.

Convenzionali ha il piacere di intervistarla per voi.

Da dove nasce Le ragioni degli altri? Che cosa rappresentano gli altri per lei?

Questo romanzo nasce dallo stupore per Le vite degli altri, che poi, in effetti, era il suo titolo originale. Ad un certo punto mi sono resa conto di aver collezionato un ventaglio variegato di storie di vita, osservazioni e testimonianze che avevo avuto modo di raccogliere nelle mie diverse esperienze di viaggio, nei miei studi all’estero, nel mondo dell’arte prima e dell’insegnamento dopo. Ogni incontro era per me una sorpresa, una gemma che ad attenderne l’apertura sbocciava sotto i miei occhi e a scrutarla mi rivelava il suo meraviglioso interno. Reale e immaginario. Ogni esistenza è un mondo denso e intenso che l’esperienza tesse col filo di seta, prezioso e resistenze, dei vissuti. Di questi mondi della nostra contemporaneità io volevo raccontare, fantasticare sulle loro ragioni. Perché non c’è verità nella nostra conoscenza. Ciò che cogliamo nelle storie delle vite degli altri non è che un’interpretazione soggettiva fatta della materia delle nostre credenze, delle nostre aspettative, dei nostri desideri e delle nostre paure, che vi proiettiamo dentro. E il romanzo è lo strumento che meglio coglie questa verità: verità interpretata. Dunque volevo ricostruire, inventandone le ragioni, le cause, l’origine, quelle vite che incrociando sulla mia strada mi avevano attratta, ammaliata, accalappiata.  E volevo renderle prototipo. Caso particolare che testimonia di tanti casi analoghi e simili, che ritornano sotto altri nomi ed altre fisionomie, ma che alla fine nel loro nocciolo essenziale si ritrovano nel minimo comun denominatore di un modello universale. Storicamente universale. Poiché ogni esemplare di vita è il precipitato storico della sua epoca. La lesbica, il transgender, il bullo, lo stalker, l’autolesionista, il pedofilo, il tossicodipendente, l’immigrato, il senzatetto, le donne single, le madri che concepiscono con l’inseminazione artificiale, le famiglie omosessuali, ricomposte, monoparentali… sono figure legate al loro tempo. Alcune sono sempre esistite ma assumono caratteri diversi a seconda dell’epoca in cui vivono, altre sono novità assolute sorte dalle innovazioni tecnologiche e culturali della modernità.


Parlando con le persone, scavando nei loro racconti, interrogando e frugando nei loro vissuti ci si rende presto conto che ogni esistenza non solo è un microcosmo complesso, un coagulo affascinante di emozioni, pensieri, bisogni e aspirazioni tutto da scoprire, ma anche che a seconda del punto di vista da cui la si guardi assume colori e forme diverse. E questo è il personaggio di un romanzo: il prototipo di una vita nella quale i lettori possono ritrovarsi. Più ci si addentra nella vita di un individuo, poi, più ci si accorge che, attraverso una fitta rete di relazioni, si intreccia a quella degli altri individui. Quelle vite degli altri che tanto mi intrigavano diventavano così un poliedrico gioco di specchi in cui l’essere di ognuno si definisce non solo in base a sé stesso, ma anche in base a ciò che gli altri vedono di lui. Ecco allora Le ragioni degli altri.

Dov’è la ragione quando si dialoga, si litiga, ci si lascia?


La ragione ha il suo luogo nel soggetto. Dunque non c’è una ragione, ci sono una, nessuna, centomila ragioni. È proprio questo che ho cercato di esprimere nel mio Le ragioni degli altri. Ed ho cercato di farlo tanto a livello dei contenuti quanto a livello narratologico utilizzando una voce narrante poliedrica, che continuamente balza da un narratore esterno ad uno interno, da un narratore che si rende complice del lettore ad uno che lo tradisce e balza fuori dal noi che prima li univa svelandogli dettagli e retroscena di cui lui solo sa.

La nostra è una società capace di empatia?


No. Sebbene le teorie sperimentali della psicologia abbiano verificato l’esistenza di neuroni specchio, il che dimostrerebbe il fatto che l’empatia è innata, tuttavia ogni comportamento innato nell’uomo, a differenza di quello animale che è rigido ed immodificabile, è plastico, modificabile in base all’esperienza che compie. L’apprendimento, la capacità di cambiare adattandosi all’ambiente, è infatti la caratteristica peculiare dell’essere umano, che non a caso ha predominato e vinto, indiscusso dominatore del mondo, su tutti gli altri esseri viventi. Pertanto anche l’empatia lo è. Modificabile, intendo. Se è vero che ha una base innata è pur vero che è modificabile dall’ambiente, dunque dal contesto storico-sociale in cui si esplicita. Nel nostro, nella società occidentale liberista, forgiato sul principio morale – e biologico– dell’egoismo, dove cioè la sopravvivenza sociale giustifica il primato dell’io sugli altri, l’empatia trova il suo spazio d’esistenza nella sfera del privato, nell’intimo delle proprie emozioni e dei propri affetti, ma nei confronti dell’altro in senso puro – l’estraneo –  no.

Il suo romanzo tocca molti temi: che importanza riveste al giorno d’oggi l’amore?

L’amore nel senso tradizionale del termine, nel senso in cui il filosofo Platone ha disegnato per noi all’origine della cultura occidentale, l’amore ideale, solido, eterno, l’unione con la metà mancante che ci completa, al giorno d’oggi, è utopia. Letteralmente, sentimento senza luogo.  È miraggio, desiderio etereo cui si tende. Cui ci si avvicina, lo si sfiora, forse si riesce a toccarlo perfino, ma che non si riesce ad afferrare e tantomeno a trattenere. Nella contemporaneità, per dirla con il sociologo Bauman nella società liquida, l’amore è esso pure diventato liquido. Non dura, galleggia sulla zattera di un sentimento che ci transita da una fase ad un’altra della vita, si consuma, ci consuma, e muore. E poi viene sostituito con uno nuovo, insieme a noi, che rinasciamo a nuova vita.  La legge e i costumi, che si adeguano al movimento del reale, sono cambiati e ce lo consentono. Ci legittimano a viverlo in questo modo senza più paure e sensi di colpa.

Il sesso? Il desiderio?

Il sesso da sempre è la vitalità che innerva la carne del nostro essere animale. È desiderio, brama. È piacere che conduce al benessere se appagato, frustrazione che conduce a malessere e all’aggressività se inappagato. Il sesso in senso più genuinamente freudiano è il desiderio per eccellenza, è l’energia che sta alla base di ogni nostra azione, di ogni nostra scelta, è ciò che ci muove, ci scuote, sbattendoci poi vilmente a terra o lanciandoci, sublimati, verso il cielo. Dipende da come, verso cosa canalizziamo quell’energia. Senza questa energia psico-sessuale non ci sarebbe l’arte (energia canalizzata nella creatività), la scienza (energia canalizzata nell’attività intellettuale), il volontariato sociale, la religione perfino. Il desiderio, con Freud, e con tutta la psicanalisi che ne segue, è sessualità. O meglio la sessualità non è altro che desiderio. Libido. Eros. Energia psichica che scorre nelle vene del nostro corpo. Perché corpo e psiche sono un tutt’uno. Non c’è l’uno senza l’altro. Non c’è vita senza desiderio. Ma nella nostra società della mercificazione, dove tutto è ridotto a merce, è anche la più preziosa merce di scambio e il più potente strumento di ricatto.

La colpa?

Colpa o senso di colpa? La colpa è il venir meno di una responsabilità che si è coscientemente e liberamente assunta. La si può riconoscere. La si può non riconoscere. Gli altri possono imporcela, scaraventandocela addosso come proiezione della loro propria assunzione di responsabilità, che però non ci riguarda. In questo senso, allora, ci sono due tipi di colpa. Una in senso morale, interna alla coscienza, quella che si è formata in noi con l’educazione dei genitori, che è puramente personale e non perseguibile. E c’è una colpa in senso legale, convenzionale, stabilita, oggettiva, quella che serve alla conservazione della società, e che perciò viene perseguita con la legge. Le due colpe spesso entrano in conflitto, si pensi al mito di Antigone.  È  ciò che sta alla base della distinzione fra diritto naturale e diritto positivo. Il senso di colpa invece è quel peso opprimente con cui la nostra coscienza morale ci schiaccia per frenare le nostre pulsioni (quell’energia sessuale di cui si parlava sopra) quando queste non riescono ad essere canalizzate e dirompono allo stato puro, nella loro più cruda animalità. Di questa animalità ho parlato in Le ragioni degli altri attraverso un paio di personaggi secondari, che compaiono fulmini e… fulminanti, proprio per la truculenza della loro pulsione non governata.

L’ossessione?

L’ossessione è la fissazione assoluta e coatta su un’idea. Alla sua origine sta ancora quella pulsione erotica, di cui abbiamo parlato prima, desiderio, mancanza che chiede di essere colmata. Quell’ energia psichica che muove, smuove, ci agita e percuote, che non può essere ignorata, ma che nondimeno può essere indirizzata. Può essere diretta verso oggetti vili e allora diventa malattia, pericolosa nevrosi, oppure verso oggetti nobili e allora diventa fonte di creatività e devozione. L’ossessione è quella che spinge ai suoi delitti il serial killer, ma è anche quella che muove in modo sorgivo la mano dell’artista, dello scienziato, del missionario. L’ossessione è il rapimento della psiche da parte di un’idea che dapprima si insinua e poi si insedia nella coscienza. È un assedio invadente e tenace, prepotente ed esondante. L’idea ti chiama a sé con seduttiva dolcezza, ti solletica l’orecchio, sussurra, suggerisce, ti invita a seguirla, e poi ti cattura. Pretende tutto per sé. Attenzione, tempo, cura. È tirannica come un neonato. (Ma ti è cara,  la ami). Non ti lascia mai, di giorno, di notte, entra nelle tue azioni, nei tuoi pensieri coscienti, in quelli inconsci, anima i tuoi sogni, ti penetra fra le fibre del corpo, si fa largo sgomitando in mezzo alle tue relazioni. Non hai un momento per i tuoi figli, per il tuo compagno, per i tuoi amici, non per Gabriele Ottaviani che ti chiede un’intervista. Non ti dà tregua. Finché non l’hai divorata, spolpata, ridotta al midollo, finché non l’hai consumata, finché non ne è rimasta neanche una briciola, non puoi fare altro.

Poi, ti senti bene. Come dopo un parto.

La violenza?

È ancora una pulsione. È una delle modalità in cui la nostra energia psichica si manifesta.  Violenza è la pulsione sessuale (desiderante, libidica, erotica) che non riuscendo a trovare una via ‘umana’ per sfogarsi in modo alternativo, si sfoga in modo arcaico, bestiale. La violenza non è solo fisica ma anche psicologica, e questa, fra le due, di certo è la più subdola perché non porta la stigmate di un livido, di un’escoriazione, di un braccio rotto, e nondimeno comporta sofferenze anche più gravi.

La paura?

La paura è il senso di impotenza di fronte ad un pericolo che mette a rischio la nostra vita, pericolo individuato che sappiamo riconoscere come tale e dal quale possiamo pertanto tenerci a distanza. La paura non è dei vili è degli oculati, è lo strumento di cui ci equipaggia la biologia per difenderci dal rischio e tener salva la nostra vita. Chi non ha paura non è coraggioso come si crede, bensì un avventuriero che non ha cara la vita.

La speranza?

La speranza è il peggiore dei mali. Fra tutte le emozioni e i sentimenti umani è quella che resta sul fondo del vaso di Pandora, proprio perché la più temibile. La speranza induce ad attendersi qualcosa di meglio eppure è vano aspettarsi un futuro migliore perché nel momento in cui si realizza ci delude sempre, perché nella speranza noi proiettiamo tutti i nostri desideri impossibili.  E la delusione ci abbate, ci schianta al suolo, ci ammazza. Tuttavia l’uomo non può vivere senza questo effimero sentimento perché è ciò che ci proietta verso il futuro e, come ci ha insegnato l’esistenzialismo, non c’è presente senza tensione verso il futuro.

Il dolore?

Il dolore è mancanza. Vuoto, lacuna, fame. È il bisogno non appagato, è frustrazione, gioia mancata, privazione. È illusione delusa.

Il pregiudizio?

Il pregiudizio è uno stereotipo sovraccaricato di un giudizio di valore assoluto. Buono-cattivo, bello-brutto, sano-malsano, giusto-ingiusto. Lo stereotipo non è altro che uno schema irrigidito che non ammette eccezioni.  Se lo stereotipo è il cemento armato nel quale rimaniamo imbrigliati poiché inibisce la nostra curiosità, la spinta ad esplorare e a conoscere tutto ciò che è nuovo, ovvero ciò che fuoriesce dagli schemi, il pregiudizio ci autorizza a disprezzare, ovvero allontanare ed annientare, ciò che è diverso da noi. Nuovo e diverso si identificano nella nostra mente nel minimo comun denominatore di ciò che è ignoto e che in quanto tale temiamo. Tant’è vero che quando ci avviciniamo e curiosi ci lasciamo andare all’esplorazione di ciò che non conosciamo ecco che, visto da vicino, ci diventa familiare e non ci spaventa più. Stereotipi e pregiudizi nascono dalla paura dell’ignoto e del diverso, e dal bisogno di autoaffermazione di chi, sapendo di valere poco o nulla, non trova alto modo di prevalere se non affondando gli altri. Facile.

Perché scrive?

Scrivo per eccesso di libido. Sempre in senso psicanalitico, intendo. Desiderio, voluttà, bisogno vitale. Scrivere è una forma d’arte. Tutta l’energia che a fiotti mi scuote, sopraffacendomi con un eccesso di vitalità, io la scarico nello scrivere. Questa è la fonte del perché su cui mi interroga. La meta è il lettore. La possibilità di entrare in risonanza con gli altri attraverso le mie parole, veicoli di umani sentimenti e pensieri e desideri che agogno condividere con gli altri. Cosa possibile se il personaggio funziona, se è credibile, se è riuscito. Per dirla con Hemingway, un personaggio è riuscito se riesce ad essere umano. Solo così si innesca quel fenomeno psicologico definito identificazione.

Qual è il ruolo dello scrittore nella contemporaneità?

Bella domanda. Qual è il ruolo dello scrittore nell’epoca contemporanea non saprei dirlo. Ci sono tanti ruoli, così è sempre stato, in base alla poetica letteraria che lo ispira. Non c’è un ruolo che la società gli possa delegare, non in un paese libero almeno. Non c’è un unico ruolo che i lettori gli richiedano di svolgere perché ogni lettore è diverso dall’altro e cerca nella lettura cose diverse. Potrei dire quale vorrei che fosse il mio. Cioè: il narratore delle vicende umane.  Vorrei riuscire, e vorrei riuscirci davvero bene, a dare voce alle emozioni, ai pensieri, ai sentimenti, alle ambizioni e ai cedimenti che impregnano quelle vicende e farne di ognuna un prototipo nel quale i lettori possano riconoscerci. E perciò sentirsi meno soli e meno insignificanti nel marasma e nell’infinita sconfinatezza dell’esistenza. Io cerco questo.

Qual è la situazione culturale italiana?

Domanda da porre ad un sociologo. Per poter rispondere dovrei fare una ricerca storica e sociale, attingere alle statistiche di enti accreditati, rielaborare tutti questi dati raccolti, rifletterci sopra e infine riuscire ad elaborare una tesi mia. Cosa che richiederebbe troppo tempo ed io il mio lo impiego per scrivere e per compiere ricerche sui soggetti di cui scrivo. Se mai scriverò un libro che abbia a che fare con la situazione culturale italiana le risponderò.  (ride)

Il libro e il film del cuore, e perché?

Ho un libro ed un film del cuore per ogni fase della mia vita. Nel momento in cui ho scritto Le ragioni degli altri il libro era Il bacio della medusa di Melania Mazzucco, perché ho sentito risuonare nella sua la mia scrittura: quella tensione della creatività per cui le parole si riversano in modo alluvionale dall’anima. L’abbondanza delle emozioni che tracimano dai pensieri, la ricchezza della frase non secca, non anoressica, ma grassa di aggettivazioni, di figure retoriche, di ridondanze, di attenzione alla melodia, alla sonorità delle parole. Affinché affiorino sfumature, slittamenti di senso, evocazioni. Un romanzo in cui la potenza della parola sia affidata alle briglie capaci dello scrittore, pur senza togliere spazio alla libertà di immaginazione del lettore. Perché non è solo con l’asciuttezza dell’eloquio, con l’alveo vuoto della parola, che si può scatenare l’immaginazione. Concepisco il romanzo come il luogo in cui chi legge può scivolare nelle parole come sulle onde di un mare che non si assopisce, indugiando su quelle che più sente affini, affezionate o affascinanti per usarle come trampolino per la propria creatività immaginifica e lanciarsi “verso l’infinito ed oltre” (per citare un famoso cartone animato). Il film, per sua natura più sintetico ma anche più visivo, non è stato uno solo. Ma in quel periodo pensavo molto a America oggi e The Hours, per l’intreccio dei personaggi, per la molteplicità poliedrica dei punti di vista, per l’architettura narrativa e a Pulp Fiction, per gli aspetti di violenza parossistica cui mi sono ispirata.

By Gabriele Ottaviani

Convenzionali

mercoledì 25 ottobre 2017

Compagne di lotta libera: visioni Comunicattive a Gender Bender

"Dal 25 Ottobre al 5 Novembre si svolgerà a Bologna la XV edizione di Gender Bender, festival internazionale dedicato alle rappresentazioni del corpo, delle identità di genere e di orientamento sessuale nella cultura e delle arti contemporanee. 
Ci ricordiamo bene le prime edizioni del festival: noi eravamo, allora, giovani attiviste, ci eravamo da poco incontrate fondando il nostro progetto Comunicattive, e probabilmente in qualche scatolone in garage abbiamo ancora le riprese in minidv di quei primi incontri, che parlavano di genere, generi, corpi e immaginari fuori dalla norma. Una delle iniziative che ci hanno fatto continuare ad amare questa città.

Dopo la bella esperienza dell’anno scorso, anche quest’anno proseguiamo la collaborazione con il festival, che nel frattempo continua a crescere in qualità ed ampiezza, coinvolgendo ormai 20 luoghi della città con oltre 100 appuntamenti.
Torniamo con la nostra proposta di visioni femministe, un percorso – e davvero solo uno dei molti possibili – parziale, situato e personalpolitico come lo è sempre qualsiasi pratica femminista. Si tratta di film, spettacoli, incontri che consiglieremmo alle nostre amiche e compagne, perché appassionano, rendono più complessi gli immaginari, costruiscono memoria, ci interrogano, a volte ci inquietano, e sono “materiale vivo” utile in quel viaggio di liberazione, trasformazione e desiderio che sono le nostre vite. Alcuni progetti ci hanno letteralmente entusiasmate, coinvolte e commosse, altri ci pongono qualche dubbio, ma riteniamo interessante proporveli e magari discuterne insieme. Ci hanno colpito ritratti di donne potenti (nel senso di potenza e non di potere), anche nei momenti di fragilità e incontri con corpi fuori dalla norma, altri sguardi sulla sessualità e altri amori di cui sentiamo tanto bisogno, tentativi di decostruire gli stereotipi che forse possiamo usare qui e ora, pratiche di attivismo, relazioni, passioni, amori e storie che vale la pena conoscere, infine artiste il cui lavoro abbiamo incontrato e sentiamo che ci riguarda.
Questi i film, gli spettacoli e gli incontri che vi consigliamo, buone visioni ..." Scopri di più

sabato 27 maggio 2017

Note per la cultura - 7 - A volte capita di pensare, scrivere, agire ...

Stupido è chi lo stupido fa!” questa è la frase che Tom Hanks nei panni di Forrest Gump usava per difendersi (intelligentemente) dagli attacchi di chi lo etichettava come stupido nell’omonimo film di Robert Zemeckis (1994).

Forrest aveva ragione perché il concetto di stupidità umana (argomento purtroppo vastissimo e ancora inesplorato adeguatamente dal punto di vista bio-psichico) è relativo e spesso utilizzato a sproposito: quasi sempre sono gli atti, le decisioni, le prese di posizione ed i dogmatismi a essere stupidi, in pratica i comportamenti, a configurare l'essere stupido. Si può essere stupidi di natura, ma spesso lo si è per propria volontà. Lo si è sopratutto quando si tradisce la fiducia degli altri ed intenzionalmente si adottano specifici atteggiamenti negativi denunciando uno stato alterato di coscienza.
Il termine deriva dal latino stupĭdus, derivato di stupēre «stupire»; in letteratura trasla nel significato di “preso da stupore, attonito, sbalordito”; ”che è in una condizione d’incapacità o insensibilità indotta da meraviglia, sorpresa, o da altre cause fisiche o morali”; Dante scrive “Non altrimenti stupido si turba Lo montanaro, e rimirando ammuta, Quando rozzo e salvatico s’inurba“; Manzoni: “sopportiamo non rassegnati ma stupidi il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile”. Nel significato di torpido, ottuso, o che induce uno stato di torpore, di ottundimento dei sensi o dell’intelletto, l'usa il Parini: “Non più serti di rose ... Ma stupido papavero, grondante Di crassa onda letea; come il vate: “succedeva al sopore stupido la quiete naturale del sonno” (D’Annunzio). Nell’uso comune: che ha, o denota, scarsissima intelligenza, lentezza e fatica nell’apprendere, ottusità di mente.
Quando s'affermò la teoria delle intelligenze multiple che sostiene la contestuale esistenza di altre diverse forme di intelligenza oltre a quelle logico-matematica e linguistica (Howard Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, 1987, 2002), sfidando il tradizionale punto di vista sull’intelligenza considerata come una capacità unitaria che può essere misurata attraverso i tests (tanto cari agli obnubilati INVALSI), non si era ancora pronti a degustare l'idea secondo la quale, nell'intrico delle connessioni neurologiche ove risiedono le localizzazioni neurofisiologiche delle competenze intellettuali autonome, c'è possibilità di altrettante plurime espressioni di ignoranza, ottusità, confusione, offuscamento, deficienza con il corollario di aberranti cedimenti psico-sociali (stereotipi e pregiudizi) e morali (disonestà intellettuale).
Spesso non ci si rende conto, ma la stupidità la si incontra, la si sopporta, la si combatte. Quando affiora il malessere relazionale, la concausa più pervasiva risiede nel comportamento dell'interlocutore portatore di stupidità. Per quanto riguarda i luoghi di produzione culturale – come la scuola, l'Università, l'intelligencija "diffusa" – le condotte evidenziate sono poste al centro di una dissennatezza generalizzata; tale irragionevolezza è data per lo più dalla compresenza d'una lacerazione di una memoria comune (rif. a paraocchi equini) e dallo smarrimento di ogni tensione morale (mors tua vita mea). Spesso la condizione di insania (contraddizioni tra pensiero, eloquio ed azioni) genera edulcorate narrazioni delle situazioni e le voci narranti producono menzogne. Si, è constatabile la contestuale presenza di “formazione culturale” e “stupidità”. Ciascun contributo di balordaggine, qualsiasi reperto d'una quotidianità pregna di oltraggio all'intelligenza, mira a mostrare come alcuni esiti tragici dello scivolamento dal “sapere” all'“essere come se non si sapesse” siano il precipitato di percorsi ritenuti normali, nonostante siano manifestamente la costituzione in medias res di rapporti miopi e poco avveduti. Percorsi sociali e professionali in cui gradualmente i saperi agiti – forse unico caso di autentica inter-transdisciplinarietà ! – nell’apparente e rassicurante oggettività ed equidistanza dalle loro formulazioni, hanno scavato il terreno su cui sono radicate le più rigorose e violente forme di stupidità sociale, perchè in rari casi si vive come il proprio sapere (consentirebbe). Anzi, quante più nozioni si posseggono, tanto più convenzionale ed incolta è la mentalità. Paradossale ?
Non più di tanto, considerata l'esperienza quotidiana.
Il dipanarsi della vicenda della mediazione tra l’essere ed il dover essere, nel percorso di consolidamento delle identità individuali e delle relazioni attori-mondo, lacera il “velo di Maya” che non è più sufficiente a coprire l'immonda ambiguità borghese. Identità, negazione ed alterità soffocata dalla stupidità diffusa, dislocate sul terreno bifronte della contrapposizione e della interiorizzazione reciproca, divengono coefficienti di una percezione di sé e dell’altro che deroga dal processo controverso dell’organizzazione dell’umano. Come si fa – testardamente – a non capire che il diaframma delle identità è via via aperto, seppure indefinitivamente, attraverso l’apporto della dialettica, sino a rivolgere la consapevolezza filosofica dell’essere, di là dai confini dell’autosufficienza, alla sua natura intimamente relazionale. É la stupidità, bellezza ! Stupidità ignara del fatto che il rispecchiamento di Sé nell’altro da Sé diviene, a diversa ragione, catalizzatore del superamento dell’autarchia del soggetto ed elemento qualificante il ruolo delle dinamiche di riconoscimento/misconoscimento nell’ambito della riflessione per migliorarsi. Da questa prospettiva, certo, ben si comprende come un’identità morbosamente bloccata, deprivata del rapporto con la propria base emozionale, “possa volgere tale struttura interiore di terrore e dominio in un terrorismo esterno, avendo proiettato e collocato nell’altro il fondo negativo della propria identità”.
Si tratta di prendere atto, nelle more dell’incipiente giuridicizzazione (la gabbia della formalità costituita) della società occidentale, il senso e la misura di un percorso mai domo di implementazione culturale, di incubazione progressiva e discontinua di stupidità che si mette in gioco e ragione. L’ignoranza dell'altro, innervata a ridosso dell’anticollettivismo premoderno, raccogliendo la vernacolare eredità medievale, precipita negli interstizi della contesa, giuridica ma non soltanto giuridica, tra civiltà e ignoranza. Per ora, nel contesto dato, si mostra solo una perniciosa penetrazione del pregiudizio nei luoghi della ragione.
Sono eliminabili la stupidità e le stereotipie ? È questo l’interrogativo che va acclarato, indagando tra i refusi della dia-logicità di matrice discriminatoria, tutt'altro, quindi, che inclusiva. Emergono intendimenti neotribali ed una diversificata nefasta progettualità che tende al “potere”, quand’anche intrise della medesima cifra di intolleranza e disprezzo dell’alterità. La maniera “civile” borghese è la foglia di fico d'una prassi dell'introversione che connota l’approdo di alcuni "operatori della cultura", unitamente ad altri profili professionali, nel porto sicuro del conservatorismo e della negazione della collaboratività, nel gruppale appello mistico e disperato alla resurrezione dell'innocuità del fare fine a se stesso, nell'ebbra coalizione contro presenze scomode non essendo più in grado di convivere neanche con la rituale tolleranza.
Contro quanto descritto, se il celebre dipinto “L'urlo” (1893) del pittore norvegese Edvard Munch stenta a conservare la sua alta dignità storico-artistica, il semplice urlo dolente ed antagonista formato black bloc fa la sua figura. Purtroppo, non ancora del tutto agli occhi degli stupidi.
La ragione ci comanda più imperiosamente assai d’un padrone;
perché disobbedendo al padrone, sarai disgraziato;
ma disobbedendo alla ragione, sarai uno sciocco - Blaise Pascal

sabato 18 febbraio 2017

Autoproduzioni multimediali indipendenti

“Duepuntozero”, parliamo di autoproduzioni multimediali indipendenti [speciale Zic+video+foto] - By

http://www.zic.it/
Le foto dell’ultima giornata di Duepuntozero, i video e audio degli incontri con Radio Onda d’Urto, Andrea Ronchi e Simone Aliprandi. Infine, il nostro numero speciale con le riflessioni di Smk, Zic e RadioAlSuolo.

10259702_10201952265626817_8645972205372613504_nDopo la prima bolognese di “Vite al centro” e poi il Rèvolution touR con Wu Ming e la presentazione de “L’Armata dei Sonnambuli”, sabato scorso “Duepuntozero – Autoproduzioni multimediali indipendenti” si è chiuso con tre incontri a cura di RadioAlSuolo, Zic.it e Smk anticipati dal pranzo autogestito targato Eat the rich.
Il primo incontro, “Radio 2.0: info e musica in movimento”, ha visto la partecipazione di Radio Onda d’Urto da Brescia. Poi “Informazione e tutele legali” con l’avvocato Andrea Ronchi ed infine “Licenze Creative Commons e multimedia”, con Simone Aliprandi (responsabile del progetto Copyleft-Italia.it). Al termine degli incontri, la tre giorni sulle autoproduzioni multimediali indipendenti si è conclusa con i vinili di Bologna Calibro 7 Pollici e Folpower (Cannonball Allnighter).
Pubblichiamo i video del primo e del terzo incontro, l’audio del secondo e le foto della giornata. Inoltre, mettiamo a disposizione dei nostri lettori lo speciale di Zic con le riflessioni del nostro giornale, di RadioAlSuolo e di Smk sul mondo dell’autoproduzione indipendente.
> Scarica il numero speciale di Zic / Duepuntozero: pdf
(oppure leggi i testi in fondo a questa pagina)
> Guarda il video dell’incontro “Radio 2.0: info e musica in movimento”:
> Ascolta l’audio dell’incontro “Informazione e tutele legali”:
> Guarda il video dell’incontro “Licenze Creative Commons e multimedia”:
> Guarda le foto della terza giornata:

> I testi dello speciale cartaceo realizzato da Zic in occasione di Duepuntozero:
logo-smk-traslaEra il 29 aprile 2009, quando mostravamo per la prima volta al pubblico il nostro primo
documentario lungometraggio: “La Resistenza Nascosta. Viaggio nella scena musicale di Sarajevo”. In quel preciso momento nasceva SMK Videofactory. Un progetto collettivo, un percorso autodidattico che ci ha permesso di individuare e sperimentare, in un’epoca di crisi economica e culturale, nuovi modelli di autoproduzione cinematografica, riuscendo a realizzare, tra i vari format video, anche 6 documentari lungometraggi:
– La Resistenza Nascosta (2009)
– Tomorrow’s Land (2011)
– Una Follia Effimera (2012)
– Kosovo versus Kosovo (2012)
– Green Lies (2014)
– Vite al Centro (2014)
Da dove si è partiti
Il desiderio di condivisione ma anche e soprattutto la consapevolezza delle difficoltà concrete che i freelance e i creativi vivono in questo momento storico sono ragioni importanti della nascita del nostro gruppo. L’esigenza di creare un collettivo nasce da due necessità complementari: da una parte, mettere in condivisione pratiche e saperi volti alla creazione di opere audiovisive, dall’altra, provare a sperimentare forme di produzioni orizzontali e dal basso per sviluppare narrazioni politicamente e socialmente impegnate.
Tutto questo, in un momento in cui la forte precarizzazione del mondo del lavoro e le trasformazioni in atto in ogni tipo di mercato hanno reso più urgente la ricerca di nuove strade, sia lavorative che creative, spesso vanificando o rendendo molto difficili percorsi di reale autonomia e autodeterminazione. Per SMK i due livelli hanno finito con il coincidere: l’autoproduzione si sta trasformando in una sperimentazione di autoreddito e il processo politico ha finito con il pervadere le pratiche artistiche da cui siamo partiti (audiovisivi). La
necessità di sostenere delle opere ci ha fatto scoprire la necessità di costruire reti di relazione solide come premessa per la buona riuscita di una prassi tanto lavorativa quanto politica. In un momento in cui qualsiasi modello di business si fonda sul web 2.0, sul lavoro di integrazione di reti e sulla costruzione di network di utenze, abbiamo riscoperto il brivido di scommettere su pratiche di relazione e condivisione dirette, fondate sul mutuo riconoscimento, la solidarietà e l’orizzontalità come condizioni senza le quali di un processo di produzione partecipato e partigiano.
Dove si è arrivati
Da questo punto di partenza inizia tutto il ragionamento e la pratica sperimentale: come riuscire ad autoprodurre documentari e film, sganciandosi dalle logiche di produzione mainstream e contemporanemente come avviare efficaci pratiche autodistributive che rendano sostenibile il percorso? Nel 2011 SMK Videofactory firma il suo primo vero documentario collettivo: Tomorrow’s Land, che racconta la storia del Comitato di Resistenza Popolare del villaggio palestinese di At-Tuwani. Con quell’esperienza il gruppo si affaccia per la prima volta al mondo del crowdfunding. Utilizzando per la prima volta il portale di Produzioni dal Basso vengono raccolti circa 250 coproduttori (sia in rete che in serate di dibattito off-line). Il meccanismo è molto semplice: 10 euro per ogni quota di coproduzione e 1 DVD del film per ogni quota.
Gli strumenti usati sono semplici e per nulla nuovi: il meccanismo del dono e la colletta popolare, riadattati e perfezionati all’interno del web 2.0. L’esperimento riesce in pieno, permettendo cosi al gruppo di portare a termine il lavoro di produzione del film. Il passo successivo è stato quello rispetto all’autodistribuzione: attraverso la costruzione di una fitta rete di circoli, centri sociali, sale d’essai prende corpo il network che porterà poi alla nascita di Distribuzioni dal Basso. A distanza di 2 anni Tomorrow’s Land rimane l’esperimento fondativo delle pratiche di autoproduzione di SMK Videofactory: oltre 200 date di proiezione pubbliche in tutta Europa, 3000 DVD autodistribuiti e decine festival (partecipati e o vinti) in tutto il mondo. L’esperimento è riuscito. E la cosa importante è soprattutto il fatto che è un modello diffondibile e utilizzabile da altre realta emergenti sul piano nazionale.
La logica conseguenza è la scelta delle licenze Creative Commons. Una scelta che risulta sia pratica che politica. Pratica, perché è diventata un nuovo strumento di autodeterminazione culturale e creativa, in un momento in cui è palese la totale inefficacia dei modelli di copyright per i freelance e gli emergenti, che oltre non tutelare affatto i “piccoli”, spesso divengono per questi un ulteriore ostacolo da superare. Politica, perché rimarca la scelta ponderata di un modello che privilegia la diffusione delle opere creative ai meri ed esclusivi meccanismi di profitto. Distinguendo, senza averne paura, la sostanziale differenza tra profitto commerciale e le formule di sostenibilità e di autoreddito.
logo-rossoLa riflessione scaturita dagli esperimenti di autoproduzione ed autodistribuzione porta a un ragionamento di ampio respiro sul potenziale dei meccanismi di coproduzione popolare, di donazione e rapporto responsabile con gli utenti e della forza che emerge sempre più dall’utilizzo delle licenze Creative Commons. Il gruppo decide cosi, ad aprile 2013, che è arrivato il momento per fondare Distribuzioni Dal Basso. Il portale ha come obbiettivo quello di sostenere la circolazione di film e documentari indipendenti realizzati dalla nuova generazione di freelance, nata sull’onda del fenomeno Creative Commons e dei nuovi meccanismi di produzione basati sul crowdfunding. In altre parole, il tentativo è ora quello di stabilizzare il meccanismo di autodistribuzione e di fare in modo che tante altre realtà indipendenti possano usufruirne, andando graduatalmente a formare un network nazionale di freelance.
Il futuro
La sfida a questo punto è rappresentata dalla capacità di rendere sostenibili sul lungo periodo processi di inclusione sociale che permettano la continuazione di un processo generativo di idee e di rappresentazione critica della realtà senza che ciò resti una mera opzione volontaristica e di sacrificio; in altre parole si tratta di comprendere come rendere sempre più stabile questo percorso di autoproduzione senza snaturarne il senso complessivo di matrice “popolare” e “dal basso”, riuscendo nel medesimo tempo a mantenerlo economicamente sostenibile pur facendolo crescere e maturare.
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adesivo1Raccontare un mondo mutevole e fluido come quello dei movimenti, dei collettivi, dei centri sociali. E, al contempo, dare voce a chi non ce l’ha mai, a chi paga il conto più salato della crisi, a chi è ai margini, a chi subisce lo smantellamento del welfare. La sfida di Zic.it, raccogliendo il testimone dell’esperienza cartacea di Zeroincondotta, nasce da una necessità che sentivamo e sentiamo non aggirabile per una città come Bologna: creare uno strumento di comunicazione ed informazione che aiuti a dare spazio alle esperienze di autorganizzazione ed autogestione, in modo trasversale e senza vincoli di appartenenza o “di area” (esperienze di questo tipo, non c’è dubbio, erano e sono preziosissime: ma secondo noi non sufficienti).
Uno strumento libero e indipendente che, però, a queste caratteristiche imprescindibili sappia affiancare un metodo in grado di fornire alcune giuste garanzie a chi cerca informazioni, soprattutto in rete, dove il rischio di imbattersi in approssimazione, “bufale” e overload informativo è spesso dietro l’angolo. L’autoproduzione e di un giornale quotidiano
on line, dunque, come combinazione di sperimentazione e affidabilità, di autonomia e credibilità, facendo tesoro delle precedenti esperienze di mediattivismo ma cercando anche di superarne i limiti, attraverso la costante elaborazione di una “deontologia” (passateci il termine) tutta dal basso, incardinata su concetti e pratiche mutuate dai percorsi di autorganizzazione ed autogestione: orizzontalità del processo decisionale, cooperazione, condivisione dei saperi, scambio con l’esterno e capacità di tradurre l’eterogeneità in ricchezza. La redazione c’è, ma si vede il meno possibile.
Dal 2007 ad oggi, così, sulle pagine di Zic hanno trovato spazio, giorno dopo giorno, migliaia di articoli, fotografie ed appuntamenti segnalati, centinaia di video e file audio: materiale in massima parte pubblicato sotto Licenza Creative Commons, che consente di condividerlo e rielaborarlo, escludendo però ogni finalità commerciale. Un impegno, costante e volontario, premiato da un numero crescente di visitatori e che in diverse occasioni ha anche consentito a Zic di “bucare” il muro dell’informazione cosiddetta ufficiale, costringendo anche i media mainstream a fare i conti con notizie da noi pubblicate. Questo, però, non vuol dire affatto che si sia delineato un modello compiuto, che non ha bisogno di aggiornarsi e rimettersi in discussione. Tra vecchi e nuovi limiti, i miglioramenti possibili non mancano e, allo stesso tempo, ciò che ci circonda impone un confronto continuo con sfide inedite ed altrettanto inedite opportunità.
Proviamo ad elencarne alcune:
– l’evoluzione tecnologica e del web 2.0 favorisce, ma allo stesso tempo impone, un’elevata capacità di risposta sul fronte della multimedialità: in termini quantitativi, qualitativi e di tempestività. Tenere insieme questi tre aspetti richiede competenze e strumentazioni, per altro in continuo aggiornamento. Un’indubbia ricchezza, da questo punto di vista, è rappresentata dalle connessioni che vanno via via sviluppandosi con le altre esperienze di comunicazione e autoproduzione che come Zic hanno casa a Vag61.
– l’impronta “citizen journalism” con cui Zic ha inaugurato la presenza sul web ha faticato a trovare sbocco, probabilmente superata dall’affermarsi della “self-communication”. Come garantire forme di interattività con i lettori, favorendo le condizioni per un loro contributo alla realizzazione del progetto, senza modificare gli standard di qualità ed affidabilità a cui cerca di attenersi? La mediazione redazionale, attuata caso per caso, necessariamente limita le potenzialità “in ingresso”. Più ampie quelle “in uscita”: la Licenza Creative Commons permette a chiunque di condividere e rielaborare i contenuti pubblicati su Zic.
– la trama di connessioni creata dai social network, sempre più fitta e versatile, moltiplica esponenzialmente la velocità e il raggio di diffusione dei contenuti. E’ necessario stare al passo: per sfruttare al meglio le potenzialità di trasmissione di quanto pubblichiamo; per non subire i tempi di una filiera della notizia che si è sensibilmente accorciata. Questo, però, evitando il rischio di “schiacciare” sul modello social la progettualità più articolata di Zic, che trova nel sito la sua espressione organica.
– se la copertura e la diffusione delle notizie riguardanti Bologna può dirsi consolidata, per ovvi motivi appare più frastagliato il campo relativo alle informazioni provenienti da fuori città. La natura prevalente di Zic è quella di quotidiano locale, ma quali sono i margini per tendere ad un allineamento?
– le pratiche dell’autoproduzione, dell’autogestione e dell’autorganizzazione non sono sufficienti per ottenere un quotidiano a costo zero. La gratuità d’accesso e l’assenza di messaggi pubblicitari, d’altro canto, escludono le due fonti principali di entrata per una realtà web. Intensificare i canali di autofinanziamento, tradizionali e di più recente diffusione (vedi crowdfounding), può consentire la disponibilità di migliore e maggiore strumentazione tecnica (informatica e multimediale), implementare il progetto, aumentarne la riconoscibilità ed aprire eventuali percorsi di autoreddito che, se messi in atto con intelligenza, potrebbero consentire di dedicare maggiori energie al giornale.
– l’andamento delle visite rivela che Zic può contare su un’elevata fidelizzazione dei propri lettori e su un graduale aumento del loro numero. Compatibilmente con il già affrontato tema delle risorse a disposizione, però, è sicuramente possibile migliorare la conoscenza e la consultazione del giornale potenziando gli strumenti di promozione sia off che on line.
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RadioAlSuolo-LogoLa radio è stata, e noi crediamo abbia tutto il potenziale di esserlo ancora, lo strumento delle più importanti rivoluzioni e resistenze culturali e sociali. L’aspetto che ci ha coagulato attorno all’esperimento, che costituisce questo progetto, è una peculiarità che a noi sembra caratterizzare il mezzo radiofonico rispetto ad altri media, ossia la sua capacità di favorire in maniera trasversale l’espressione e la diffusione dei nuovi linguaggi giovanili e delle nuove forme culturali. Non trascurando tuttavia alcune culture non mainstream del passato che a noi sembrano avere, all’oggi, ancora qualcosa da dire.
L ‘autogestione come scelta politica e come modus operandi. L’unica che a nostro avviso potesse rispettare adeguatamente la sensibilità, che ci accomuna, verso il mondo; l’unica che fosse in grado di veicolare contenuti musicali e politici, i primi in grado di aprire un varco in quella che è l’offerta mainstream, i secondi non dettati dagli appetiti mediatici del momento; l’unica che potesse soddisfare il bisogno di realizzare tutto ciò in maniera orizzontale e collettiva. L’autoproduzione come necessità: D.I.Y or DIE! Ma da questa necessità cerchiamo di trarre dei punti di forza, ovvero attraverso il passaggio informale di competenze ci appropriamo del “know how” senza doverlo esperire con i ritmi imposti anche, e forse soprattutto, nell’ambito dei media in questa società multitasking.
Dove vogliamo arrivare
L’obbiettivo è quello di essere un collettore politico e culturale, mantenendo alta l’attenzione sui temi che hanno finora costituito il cardine dei nostri interessi, ossia aspetti sociali, culturali, d’informazione e d’intrattenimento a cui è sottesa una visione partigiana e critica del reale.
Contraddizioni e limiti
Lavorare in maniera “hobbistica” diventa una lotta quotidiana per riuscire a realizzare tutti i progetti che desideriamo costringendoci ogni volta a confrontarci con la scarsità di mezzi e risorse. Per approfondire alcuni contenuti infatti, sentiamo la necessità di un grado di conoscenza che presuppone il tempo per un’autoformazione continua.
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