menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"
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martedì 6 giugno 2017

Claudio Lolli: Il grande freddo

copertina dell'album Il grande freddo di Claudio LolliOtto brani e uno strumentale quelli che compongono Il grande freddo. Lo si potrebbe definire in tanti modi. In particolare per i testi che spesso galleggiano in quel fiume chiamato poesia. Filosofico, cinematografico, politico e personale sono gli aggettivi che potremmo usare ascoltando Il grande freddo che si presenta in tutta la sua delicatezza e profondità fin dalla grafica con cui l’artista salentino Enzo De Giorgi ha visualizzato i brani dell’album, “finestre pittoriche” come le ha definite lo stesso De Giorgi.
Claudio Lolli ritorna, in bello stile, dopo otto anni da Lovesongs (Storie di Note, 2009) e dopo undici da La scoperta dell’America (2006), l’ultimo disco di canzoni originali. E ci torna con Danilo Tomasetta (sassofoni) e Roberto Soldati (chitarre) musicisti del Collettivo Autonomo Musicisti di Bologna con cui produsse l’indimenticabile “Ho visto anche degli zingari felici” del 1976. Con loro troviamo anche Felice Del Gaudio (basso e contrabasso), Lele Veronesi (batteria e percussioni), Pasquale Morgante (piano e tastiere) e Paolo Capodacqua (chitarra).
Claudio Lolli
Un disco armonioso, costruito con atmosfere leggiadre e ovattate, arrangiamenti di levatura necessari a sostenere un racconto che parte anche dall’animo. Quell’animo che sembra mancare alla nostra società perché mostra indifferenza invece che solidarietà, dove si fa fatica a trovare l’amore. Delicati tocchi di pianoforte in pochi passaggi arricchiti dal sax che lascia spazio alla riflessione  
copertina dell'album Il grande freddo di Claudio LolliE quanto amore sprecato negli autobus tra gente che potrebbe volersi bene perché siamo tutti umani e mortali nella natura e nelle sue catene E quanto amore sprecato negli autobus in questo circo di gente diversa per cui la vita è soltanto una lotta ma è troppo spesso una battaglia persa
Una semplice e lenta bossa nova in Gli uomini senza amore: parla di uomini e di solitudini. Prigioniero politico, molto poco politica, autobiografica, pennellate di disillusioni, riflessioni sui ricordi incastonati in un ritmo più veloce e che vede una bella chitarra elettrica nella seconda parte. Senza dubbio il gioiello del disco
E non importa la luce negli angeli né la bellezza di un sorriso equivoco ma nei tuoi occhi io ero un prigioniero politico E poi Sai com’è, una ballata con arpeggi lievi e la voce di Lolli che essa stessa diventa narrato, poesia, appunto la lettera che, postuma, il partigiano Giovanni indirizza alla moglie Nori, il cui nome di battaglia era Sandra. Ma ricordo non solo la guerra e il terrore in quei campi in montagna io ho visto dei fiori un miracolo assurdo che invita all’amore e di tutti quei fiori il più bello eri tu, era la Nori
Non vi curate di noi e ascoltate.
Ciro Ardiglione
mentinfuga

Genere: cauntautorato Claudio Lolli Il grande freddo
etichetta: La Tempesta Dischi
data di uscita: 19 maggio 2017
brani: 9 durata: 48:35 cd: singolo

domenica 10 aprile 2016

Tra homo patiens e homo sapiens

Essere, agire, patire: l'anomali della finitezza - Un saggio di Luigi Alici
 
« “Fuori splendeva il sole e la gente sbrigava le solite faccende d’ogni giorno. Una donna si precipitò. Un’altra stava rientrando con la spesa. Nella mente di Charlotte si affollavano mille domande: Quanto tempo ci resta ancora ? Come supereremo le difficoltà ? E come pagheremo i conti ? Dal canto suo il mio vecchio professore era strabiliato dalla normalità di quanto vedeva intorno a sé: Non dovrebbe fermarsi il mondo? Non sanno quel che mi è capitato ? 
Ma il mondo non si era fermato, era rimasto completamente indifferente e, mentre apriva fiaccamente la portiera della macchina, Morrie si era sentito sprofondare in un baratro” (citazione da M. Albom, I miei martedì col professore. La lezione più grande: la vita , la morte, l’amore, tr. it. di F. Bandel Fragone, Rizzoli, Milano 1998, p.16). Con questa toccante annotazione ci viene descritto il primo incontro di Morrie Schwartz con il male che lo avrebbe ben presto portato alla morte; un incontro dal quale, tuttavia, egli sarebbe riuscito a ricavare e trasmetterci una esemplare lezione di vita. [. . .] Siamo in ogni caso ricondotti, attraverso questi riferimenti, ad una corporeità che s’annuncia come una sorta di linea vivente di frontiera tra la dimensione dell’essere e quella dell’avere: il ‘corpo che abbiamo’ e il ‘corpo che siamo’ attestano una duplicità, una sorta di ambivalenza originaria, che dischiude, come ci ricorda Marcel, l’orizzonte del metaproblematico. [. . .] ».