"Le persone istupidiscono all'ingrosso, e rinsaviscono al dettaglio" (W. Szymborska)
Proponiamo oggi la
recensione/commento del testo di Gayle Rubin dal titolo “Thinking Sex:
Notes for a Radical Theory of the Politics of Sexuality”. Inauguriamo
con questo post un percorso che ci auguriamo proficuo attraverso i testi
delle femministe cosiddette “pro-sex” con l’intento di esaminarne gli
argomenti. Riteniamo che ciò sia essenziale per approfondire la
discussione su certe tematiche come prostituzione e pornografia e per
evitare i fraintendimenti, le mistificazioni e i qualunquismi. Le
recensioni sono state preparate e redatte da Maria Rossi, che non
possiamo che ringraziare di cuore.
Capitolo I: Gayle Rubin, Thinking Sex: Notes for a Radical Theory of the Politics of Sexuality*
In
questo saggio, scritto nel 1984, l’antropologa femminista statunitense
Gayle Rubin non si occupa precipuamente di prostituzione, ma di tutte le
forme “non convenzionali” di sessualità.
L’autrice
si propone di descrivere e di denunciare l’oppressione sessuale che
trova espressione nelle leggi, nelle ideologie, nelle teorie
psichiatriche e che si fonda sulla stratificazione gerarchica piramidale delle differenti tipologie di comportamento sessuale. Tale ordinamento pone al
vertice la relazione eterosessuale monogamica, fondata sul matrimonio e
finalizzata alla procreazione, che gode del più elevato grado di
legittimazione e di riconoscimento sociale. Segue la relazione
eterosessuale non consacrata dalle nozze, ma caratterizzata da
stabilità. Lo statuto della masturbazione è ambiguo. Le coppie stabili
di gay e di lesbiche si collocano ai bordi della rispettabilità, ma le
relazioni omosessuali promiscue e incostanti occupano la posizione più
elevata tra i comportamenti collocati sul fondo della piramide. Le
“caste” sessuali più disprezzate includono i transessuali, i feticisti, i
sadomasochisti, le sex workers , gli attori e le attrici pornografiche
e, più in basso di tutti, gli adulti le cui pratiche sessuali
trasgrediscono e travalicano le frontiere generazionali. Gli individui
che appartengono a questi gruppi sono soggetti alla patologizzazione,
alla criminalizzazione e alla stigmatizzazione dei loro comportamenti,
alla restrizione della loro mobilità fisica e sociale, all’assenza di
sostegno da parte delle istituzioni e si trovano anche ad affrontare
difficoltà economiche a causa dei pregiudizi e del disprezzo che li
circonda. I loro comportamenti sessuali sollevano ondate di panico
morale che conducono spesso alla promulgazione di leggi repressive che
li privano del diritto legale a consentire e a scegliere liberamente
determinate pratiche.
Fin
qui le riflessioni di Gayle Rubin risultano in larga parte
condivisibili. Che ci piacciano o meno, le condotte sessuali qui
enunciate non dovrebbero produrre la denigrazione, lo svilimento e la
marginalizzazione di chi le pratica. Astenersi dal disprezzare e
dall’emarginare gli autori e le autrici di determinati comportamenti
sessuali (mi riferisco alle prostitute e alle attrici porno) non
significa, però, rinunciare ad una valutazione assiologica di quelle
condotte, fondata su un’etica femminista. In altre parole: io non
disprezzo le prostitute, ma non intendo precludermi la possibilità di
esprimere un giudizio negativo sulla prostituzione che, nella mia ottica
di femminista, concorre a perpetuare l’ordine patriarcale. Gayle
Rubin, però, vorrebbe proprio sollecitarci ad assumere un atteggiamento
avalutativo, o meglio, ad accettare qualsiasi pratica sessuale
“consensuale”.
Non
solo. Quest’autrice sostiene che il pensiero femminista non sia in
grado di comprendere l’organizzazione sociale della sessualità e ritiene
che i criteri fondamentali di cui si avvale non gli consentano di
valutare i rapporti di potere che trovano estrinsecazione nel campo
sessuale.
Feminist
thought simply lacks angles of vision which can fully encompass the
social organization of sexuality. The criteria of relevance in feminist
thought do not allow it to see or assess critical power relations in the
area of sexuality (p. 170).
Ma allora perché le femministe pro-sex si pronunciano continuamente sulla questione? Ma, soprattutto, perché il femminismo non dovrebbe occuparsi del tema, dal momento che esso dispone degli strumenti concettuali necessari ad analizzare, rivelare e denunciare il dominio esercitato dagli uomini sulle donne e Gayle Rubin riconosce che anche nel campo sessuale si manifestano relazioni di potere?
Ma allora perché le femministe pro-sex si pronunciano continuamente sulla questione? Ma, soprattutto, perché il femminismo non dovrebbe occuparsi del tema, dal momento che esso dispone degli strumenti concettuali necessari ad analizzare, rivelare e denunciare il dominio esercitato dagli uomini sulle donne e Gayle Rubin riconosce che anche nel campo sessuale si manifestano relazioni di potere?
L’antropologa statunitense offre questa risposta al nostro interrogativo. Il
femminismo è la teoria dell’oppressione del genere, ma supporre che
possa essere, automaticamente, anche una teoria dell’oppressione
sessuale significa non porre alcuna distinzione tra sesso e genere, tra
sesso e desiderio erotico, supponendo che quest’ultimo sia
esclusivamente maschile, mentre la purezza sia un connotato femminile.
Il sesso e il genere sono in relazione tra di loro, ma non sono identici
e costituiscono la base di due aree distinte della pratica sociale. Ciò
si oppone a buona parte del pensiero femminista attuale che considera
la sessualità come semplice derivazione del genere, commettendo, secondo
Rubin, un errore. Per esempio, le lesbiche sono perseguitate non solo
in quanto donne, ma soprattutto in quanto omosessuali e quindi per le
loro pratiche sessuali, la cui stigmatizzazione e sanzione penale le
accomuna ai gay, ai sadomasochisti, ai travestiti, alle prostitute.
Feminism
is the theory of gender oppression. To assume automatically that this
makes it the theory of sexual oppression is to fail to distinguish
between gender, on the one hand, and erotic desire, on the other. […]
Part of the modern ideology of sex is that lust is the province of men,
purity that of women. But although sex and gender are related, they are
not the same thing, and they form the basis of two distinct arenas of
social practice. This goes against the grain of much contemporary
feminist thought, which treats sexuality as a derivation of gender. For
instance, lesbian feminist ideology has mostly analysed the oppression
of lesbians in terms of the oppression of women. However, lesbians are
also oppressed as queers and perverts, by the operation of sexual, not
gender, stratification. Although it pains many lesbians to think about
it, the fact is that lesbians have shared many of the sociological
features and suffered from many of the same social penalties as have gay
men, sadomasochists, transvestites, and prostitutes (pp. 169-170).
In contrasto con quanto da lei precedentemente affermato nel saggio The traffic women, Rubin ritiene ora che sia essenziale analizzare separatamente genere e sessualità, trattandosi di due differenti aree sociali. Personalmente ritengo artificiosa la distinzione tra genere e sesso operata da Gayle Rubin. È inevitabile, infatti, che l’oppressione e le diseguaglianze di genere si ripercuotano anche nella sfera sessuale, plasmandola. Minore sarà il potere di cui dispone una donna e maggiore la sua dipendenza economica e affettiva dall’uomo, minore sarà il suo diritto a una sessualità non asservita alle istanze di godimento maschili. Da lei ci si attenderà l’esercizio di una sessualità “di servizio” che costituisce un mero corollario di quella oblatività, capacità di sacrificio, di annullamento di sé, di appagamento delle esigenze altrui che è tipicamente collegata, nella tradizione, al “genere” femminile. Come potete notare la connessione tra sesso e genere esiste. Eccome!
In contrasto con quanto da lei precedentemente affermato nel saggio The traffic women, Rubin ritiene ora che sia essenziale analizzare separatamente genere e sessualità, trattandosi di due differenti aree sociali. Personalmente ritengo artificiosa la distinzione tra genere e sesso operata da Gayle Rubin. È inevitabile, infatti, che l’oppressione e le diseguaglianze di genere si ripercuotano anche nella sfera sessuale, plasmandola. Minore sarà il potere di cui dispone una donna e maggiore la sua dipendenza economica e affettiva dall’uomo, minore sarà il suo diritto a una sessualità non asservita alle istanze di godimento maschili. Da lei ci si attenderà l’esercizio di una sessualità “di servizio” che costituisce un mero corollario di quella oblatività, capacità di sacrificio, di annullamento di sé, di appagamento delle esigenze altrui che è tipicamente collegata, nella tradizione, al “genere” femminile. Come potete notare la connessione tra sesso e genere esiste. Eccome!
Nel
2010 è stata effettuata una ricerca sulla sessualità degli italiani,
coordinata dal sociologo Marzio Barbagli, che mostra quanto sia stretto
il nesso tra sesso e genere. Per esempio: i rapporti anali risultano
praticati dal 40% delle coppie (molto più che all’estero), ma amati
soltanto dal 19% delle donne. La deduzione che ne traggono gli autori
della ricerca è la seguente:
Questa
curiosa peculiarità italiana ci sembra riconducibile a due diversi
fattori. Il primo è che nel nostro paese le diseguaglianze di genere
sono maggiori che altrove. Il fatto che le donne italiane si masturbino e
pratichino la fellatio meno di quelle inglesi, francesi e americane e i
rapporti anali molto più di loro non è una contraddizione, ma dipende
dalla situazione di maggior dipendenza dal partner in cui si trovano.
Infatti, come abbiamo visto, la pratica anale è tanto desiderata e
richiesta dagli uomini quanto avversata dalle loro compagne. Il secondo
fattore è costituito dalla tradizione storica.
Strettamente
connessi al genere sono l’aspettativa di una totale e permanente
disponibilità sessuale della donna, così come la sua riduzione ad
oggetto erotico.
Quanto
alle lesbiche, esse sono certo perseguitate a causa delle loro
pratiche, ma, a mio parere, proprio perché queste trasgrediscono
platealmente le norme, oltre che eterosessuali, di “genere” che
caratterizzano le donne come esseri complementari agli uomini, che
abbisognano di una presenza maschile per essere complete e che sono
inclini ad una sessualità volta ad appagare i desideri dei partner di
sesso opposto e finalizzata alla procreazione (che, per la verità, può
riguardare anche le donne omosessuali). Le lesbiche si sottraggono al
potere degli uomini: anche per questo non sono amate dai maschilisti e
dai fondamentalisti di tutte le religioni.
La
prostituzione, poi, mostra quanto sia forte l’interrelazione tra sesso e
genere, a partire dal fatto che è esercitata prevalentemente da donne.
“A livello simbolico la prostituzione è accettazione del ruolo femminile
che il patriarcato ci assegna”, come giustamente afferma Ferdinanda
Vigliani. E’ espressione di una sessualità, assai tradizionale, al
servizio dei desideri maschili ed è l’emblema della riduzione del
“genere ” femminile a corpo sessuato.
La
distinzione tra genere e sessualità istituita da Rubin è, dunque,
capziosa e non giustifica la pretesa di sottrarre al femminismo il
diritto di elaborare teorie e di esprimere giudizi su questo importante
campo di esperienza.
Quali sono i criteri (non femministi) che dovrebbero ispirare un’etica sessuale democratica e che dovrebbero
consentirci
di valutare come “buono” un determinato rapporto? Essi sono: il
reciproco livello di considerazione e il modo in cui i partner si
trattano, la presenza o l’assenza di coercizione e la quantità e qualità
del piacere che apporta uno specifico atto. Basterebbe quest’ultimo
criterio (il piacere) per escludere la prostituzione dai rapporti
sessuali “positivi”, giacché la mercificazione del proprio corpo non è
finalizzata né conduce al godimento. Ma la prostituzione non soddisfa
neppure altri parametri: come il rispetto reciproco. Questo tipo di
rapporto, infatti, incorpora spesso il disprezzo del cliente come forma
di dominio sulla prostituta. Per non parlare poi delle molteplici
tipologie di violenza (fisica, sessuale, psicologica), fino all’omicidio
cui è esposta la persona prostituita.
La
questione cruciale della coercizione e della libertà di scelta, invece,
costantemente agitata dalle femministe pro-sex, merita un’approfondita
riflessione che vorrei compiere, con il vostro aiuto, alla fine del mio
excursus sul pensiero di queste intellettuali favorevoli alla
prostituzione.
Quali
critiche rivolge Gayle Rubin alle femministe contrarie alla
prostituzione e alla pornografia? Le accusa, con toni molto duri, di
conformarsi ad un’etica sessuale molto conservatrice e puritana,
identica a quella che ispira i cattolici più retrivi:
Nevertheless,
the current feminist sexual demonology generally elevates the anti-vice
crusaders to positions of ancestral honour, while condemning the more
liberatory tradition as antifeminist (p. 166).
In
realtà, è la Chiesa che negli ultimi anni ha mutuato dal femminismo
argomenti contro la prostituzione (condanna della tratta, della
mercificazione del corpo, della riduzione della donna ad oggetto
sessuale), affiancandoli alle tradizionali proibizioni della sessualità
praticata fuori dal matrimonio e non eteronormata.
Ad
ogni modo, l’etica femminista è imperniata sulla lotta all’ordine
patriarcale: è questo presupposto che la distingue da qualsiasi altra
concezione morale.
Per
quanto concerne la pornografia, la nostra antropologa, lungi dal
volerla combattere in quanto espressione del dominio sessuale maschile e
della sottomissione femminile, sollecita le donne a parteciparvi
attivamente come consumatrici e come produttrici (p. 170). In tal modo,
evidentemente, anche le donne saranno coinvolte nell’esercizio della
dominazione, come se obiettivo del femminismo fosse l’inversione, non la
soppressione del potere di un genere sull’altro.
Infine,
non è affatto inutile rilevare come, nella sua ansia di liberare la
sessualità da qualsiasi tabù e divieto, Gayle Rubin perviene ad
auspicare l’abolizione della legge che proibisce l’incesto tra adulti ed
esprime forti critiche sul divieto della pornografia infantile (per la
pornografia infantile p. 146):
Sodomy
laws, adult incest laws, and legal interpretations such as the one
above clearly interfere with consensual behaviour and impose criminal
penalties on it (p. 168).
È da
rilevare, inoltre, che Rubin impiega l’espressione ambigua
“Intergenerational Sex” per indicare rapporti, per lei pienamente
legittimi, tra minorenni e maggiorenni, proponendo l’esempio di una
relazione amorosa e consensuale tra una diciassettenne e un ventiduenne.
Nulla di male, dunque. L’espressione, però, verrà successivamente
adottata per indicare con un eufemismo e, sostanzialmente, legittimare
la pedofilia, come in questo documento.
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