In quei “dieci giorni che sconvolsero il
mondo” (come li definì John Reed) nell’ottobre-novembre del 1917 a
Pietroburgo ha avuto inizio una nuova era: per la prima volta nella
storia dell’umanità i lavoratori avevano conquistato il potere politico.
Tutto era possibile in quel momento e da quel momento in avanti, in
Russia come in tutto il mondo. Si poteva, non solo immaginare, ma
finalmente lavorare per cambiare la vecchia società basata
sull’individualismo egoista del capitalismo (come lo aveva definito Marx
nel saggio fondamentale “Sulla questione ebraica”), in una nuova
società basata sulla responsabilità collettiva, sulla solidarietà, sulla
parità prima ancora che sull’eguaglianza. Il primo vagito, ancora
immaturo e intempestivo, della Comune di Parigi del 1870 era diventato
l’urlo dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Un nuovo ordine sociale, del
quale l’economia, intesa come rapporti di dominio del mondo del lavoro,
era solo la punta emergente, stava per essere fondato con al centro la
liberazione della persona umana. Nessun idealismo utopistico, nessuna
religione aveva sino ad allora predicato, immaginato e osato tanto. Ma
il marxismo-leninismo è una scienza e non un’ideologia e insegna che
intanto i diritti si possono garantire, in quanto si rendono disponibili
i mezzi per poterli concretamente esercitare. La Russia allora era un
paese sterminato e arretrato, devastato da sei anni di guerra, seguiti
da venti anni di preparazione all’inevitabile invasione militare
capitalista, quaranta anni di accerchiamento e di guerra fredda, poi il
collasso di una esperienza fallita. Ma per ogni fallimento subito, ci ha
insegnato Honecker nella sua autodifesa, l’umanità non ha mai smesso di
riprovare. Ma soprattutto le nuove ere, seppure identificano il loro
inizio in una evento cronologicamente determinato, in realtà richiedono
un lungo passaggio temporale prima di affermarsi e superare
definitivamente l’era tramontata. Dalla rivoluzione d’ottobre sono
trascorsi appena 100 anni, un tempo assai breve per concretizzare il
cambiamento di un’era. L’era del capitalismo è chiaramente in crisi
irreversibile, l’era del socialismo stenta ad affermarsi, ma progredisce
inarrestabilmente. Il testimone lasciato dall’Unione Sovietica è stato
raccolto dalla Cina, non è caduto e non si è perso.
Ma torniamo a quel momento straordinario
della storia dell’umanità che solo la scienza dei secoli futuri (i
posteri manzoniani) potrà compiutamente apprezzare nella sua dimensione
rivoluzionaria. Accanto alle prime misure sulla nuova amministrazione
dello Stato e dell’economia, il governo sovietico varò la prima
legislazione sulla liberazione delle persone umane e prime fra tutte,
delle donne. A guidare questa rivoluzione epocale fu una donna,
Aleksandra Kollontaj che varò la prima legislazione sulla parità dei
sessi fondata sulla rottura, più che sul superamento, dell’istituto
borghese della famiglia monogama patriarcale, o meglio padronale.
Rompere il concetto di proprietà che era insito nel matrimonio borghese,
così come in tutte le relazioni economiche e sociali del capitalismo,
era il passaggio necessario per rendere libero e dunque paritario anche
il rapporto affetivo e sessuale uomo-donna. Il progetto della Kollontaj
si scontrò con due opposte, ma parimenti infondate, interpretazioni. Da
un lato la borghesia illuminata interpretò l’azione della rivoluzionaria
russa come una mera trasposizione del femminismo già attivo
nell’Inghilterra post vittoriana; dall’altro l’ignoranza della incultura
religiosa tacciò la nuova libertà di relazioni paritarie sovietica come
libero amore letto, ovviamente, nella versione più lasciva della
repressione misogena, sul piano esclusivamente sessuale.
Ben altro era il messaggio di libertà
nelle relazioni anche sessuali che prefigurava il nuovo ordine sociale
sovietico e il saggio della Kollontaj che pubblichiamo nelle pagine
seguenti (per estratto) ne da una approfondita esposizione. Aveva
scritto Trotsky che la nuova cultura proletaria non sarebbe potuta
nascere dall’attuale miseria e povertà solo in virtù di ordini
amministrativi, occorreva la ricchezza e il benessere economico anche
per produrre una nuova cultura; così anche per la liberazione della
donna non fu sufficiente emanare direttive, occorrevano asili, scuole,
ospedali, case, servizi sociali e posti di lavoro sufficienti e adeguati
alla componente femminile della società socialista. Allora non fu
possibile garantire i mezzi necessari per rendere effettivo e concreto
il godimento di quei diritti, ancorché formalmente affermati e
giuridicamente tutelati. L’Unione Sovietica, non per sua sola colpa, non
è stata in grado di fornire in misura sufficiente quegli strumenti
anche se furono fatti passi in avanti giganteschi. Basti pensare che già
nel 1918 le donne sovietiche godevano degli stessi diritti degli
uomini, con le ulteriori tutele della maternità anche sole, mentre in
Italia le donne hanno avuto il diritto di voto solo nel 1946, decenni
più tardi quello ereditario (per chi non lo ricorda esisteva l’istituto
ereditario del solo usufrutto sul quarto vedovile), quello della pari
potestà dei genitori sui figli, il divorzio, l’aborto e solo nel 1981 è
stata soppressa la vergognosa attenuante del delitto d’onore (maschile
ovviamente). Il saggio della Kollontaj che pubblichiamo mantiene oggi,
in una situazione di vergognosa recrudescenza della incultura del
predomino maschile che si fonda sul concetto borghese di proprietà
privata, una indubbia attualità, ma anche un progetto per il futuro di
una società migliore. Il testimone non è caduto. La Cina porta avanti il
suo progetto di società armoniosa e, con il sogno cinese, rilancia gli
ideali socialisti della solidarietà, dell’amicizia, del rispetto,
creando le condizioni economiche di una società “mediamente benestante”
che potrà concretamente garantire i mezzi necessari. L’Eros alato della
società socialista sta rimettendo le sue piume.
Di Sandro Ridolfi
La questione femminile nell'Unione Sovietica degli anni Venti del XX secolo: il pensiero di Aleksandra Kollontaj; la questione vuene trattata nella Tesi di Caterina Saracco. Il lavoro si propone di studiare il concetto di famiglia e di femminilità così come era concepito negli anni '20 dell’ultimo secolo, focalizzando l’attenzione su una donna molto particolare, Aleksandra Kollontaj, che fu femminista e bolscevica e anche, verso la fine della sua vita pubblica, quasi un oppositore del regime stalinista. Dopo una breve panoramica sulla posizione della donna nella società e dell’istituto matrimoniale nella legislazione comunista, è stato tracciata la parabola umana e politica di Aleksandra Kollontaj, analizzando il suo pensiero sulla famiglia, sull’amore e sul matrimonio, con un’analisi del saggio Dorogu krylatomu Erosu! Pis’mo k trudjaščejsja molodёži (Largo all’Eros alato! Lettera alla gioventù lavoratrice), che si ritiene essere il suo manifesto nella lotta “di classe” tra i sessi.
Aleksandra Kollontaj (1871-1952) è stata
la prima donna ministro della storia. Di lei aveva scritto Maxim
Gorkij: ci sono solo due comunisti in Russia: uno è Lenin, l’altra è
Aleksandra Kollontaj. A Lenin la Kollontaj rimase sempre strettamente
legata con una tale reciproca attestazione di stima che già nella
formazione del primo governo sovietico la valse la nomina a ministro
all’assistenza sociale. Tale rapporto privilegiato non le impedì,
tuttavia, di contestare ripetutamente, anche con forti manifestazioni di
dissenso quali le dimissioni dalla carica di ministro, diverse
decisioni: dalla pace di Brest-Litovst alla Nuova Politica Economica,
ambedue fortemente volute da Lenin, fondando e guidando anche una
corrente di opposizione all’interno del Partito Bolscevico, denominata
“Opposizione Operaia”, che contestava la burocratizzazione dei dirigenti
politici in favore di una presenza, anche manageriale nelle industrie,
prevalentemente operaia. L’attività politica della Kollontaj si
concentrò sull’organizzazione della componente femminile nel partito
bolscevico e nel nuovo Stato sovietico e la creazione del sistema
dell’assistenza sociale ai bambini e alle donne lavoratrici. In ragione
di questo particolare impegno la letteratura politica occidentale ha
attribuito alla Kollontaj l’attributo di “femminista nel cuore del
soviet”. L’affermazione è non solo molto riduttiva rispetto alla assai
più ampia dimensione della militanza politica della rivoluzionaria
russa, ma è soprattutto errata e fuorviante. La liberazione delle donne
rivendicata dalla Kollontaj andava, infatti, ben oltre il riconoscimento
alle donne degli stessi (o quanto meno simili) diritti goduti dagli
uomini, ma coinvolgeva una radicale revisione dei rapporti sociali, dei
quali i rapporti uomo/donna erano una derivazione condizionata. La nuova
società degli uguali prefigurata dalla rivoluzione comunista non si
proponeva solo di equiparare sul piano giuridico le donne agli uomini,
ma di stabilire un nuovo patto sociale fondato sulla equiparazione
naturale dei due sessi e sulla loro essenziale complementarietà. La
Kollontaj ha scritto numerosi saggi sul nuovo concetto di amore della
società socialista e alcuni romanzi reperibili in internet in italiano.
L’amore da compagni
La nuova società dei lavoratori, la
società comunista, è fondata sul principio della solidarietà. Ma cos’è
la solidarietà? E’ la “coscienza” non solo della comunanza degli
interessi, ma anche dei vincoli spirituali e morali intessuti tra gli
appartenenti al collettivo. Una struttura sociale edificata sulla
solidarietà e la cooperazione esige dalla società un «potenziale
d’amore» notevolmente sviluppato: in altre parole, che le persone siano
capaci di provare dei sentimenti di autentica simpatia. Senza di che, la
solidarietà non può essere durevole. Per questo l’ideologia proletaria
tenta di far nascere e rafforzare in ciascun membro della classe operaia
sentimenti di partecipazione alle sofferenze e ai bisogni dei suoi
compagni di classe, di comprensione delle altrui aspirazioni, di
profonda coscienza dei suoi legami con gli altri appartenenti al
collettivo. Tutti questi sentimenti di simpatia, di compassione, di
rispetto, sgorgano da un’unica, comune sorgente: la facoltà di amare,
non nel senso strettamente sessuale, ma nella larga accezione di questo
termine. In quanto emozione (sentimento), l’amore costituisce un
elemento di coesione, e quindi un elemento organizzatore. Che l’amore
sia una grande forza di coesione, la borghesia ne è perfettamente
cosciente, e ne tiene conto. Ecco perché l’ideologia borghese, allo
scopo di consolidare la famiglia rese «l’amore coniugale» una virtù
morale. Il proletariato, da parte sua, non può non tener conto del ruolo
psico-sociale che l’amore, in senso lato o nel campo dei rapporti
sessuali, può e deve svolgere per il rafforzamento dei vincoli, non
coniugali e familiari, ma riguardanti lo sviluppo della solidarietà
collettiva.
Qual è dunque l’ideale amoroso della
classe operaia? Quali sono i sentimenti e le emozioni che l’ideologia
proletaria pone alla base dei rapporti tra i sessi? Nelle varie fasi
dello sviluppo economico e sociale, il contenuto della nozione di amore è
mutato. Da fenomeno biologico, l’amore è divenuto un fattore
psico-sociale. Sotto l’azione delle forze economiche e sociali,
l’istinto biologico di riproduzione, che ha determinato i rapporti
sessuali nei primi stadi dello sviluppo dell’umanità, ha subito due
degenerazioni in direzioni diametralmente opposte. Da un lato, per uno
scopo riproduttivo, sotto la spinta di rapporti socio-economici abnormi,
e in particolare sotto il dominio del capitalismo, il normale istinto
sessuale, la normale attrazione tra i sessi, sono degenerati in “malsana
libidine”. Nella sua forma attuale, l’amore è uno stato d’animo
estremamente complesso, che si è da molto tempo allontanato dalla sua
primitiva fonte (l’istinto biologico di riproduzione) e spesso si trova
perfino in netto contrasto con essa. L’amore è una sorta di
conglomerato, un complesso insieme formato di passione, di amicizia, di
tenerezza materna, d’inclinazione amorosa, di comunanza di spirito, di
pietà, di ammirazione, di abitudine e di molte altre sfumature
sentimentali ed emotive. Di fronte ad una simile complessità è sempre
più problematico stabilire un nesso diretto tra voce della natura, “Eros
senz’ali” (l’attrazione fisica dei sessi), e “Eros alato” (l’attrazione
carnale mista a emozioni spirituali e morali). L’amore-amicizia, nel
quale non v’è alcuna componente fisica, l’amore spirituale per una causa
o un’idea, l’amore impersonale per la collettività: tutti questi
fenomeni sono la testimonianza di quanto il “sentimento d’amore” si sia
distaccato dalla sua base biologica, di quanto si sia «spiritualizzato».
L’amore è divenuto multiforme e multicorde. Ciò che l’uomo d’oggi, nel
quale le fasi della cultura hanno sviluppato e accentuato nel corso di
molti millenni diverse sfumature di amore, prova nel campo delle
emozioni amorose non può essere racchiuso in un termine, «amore», troppo
generico, e quindi inesatto.
Sotto il dominio dell’ideologia borghese
e del sistema di vita capitalistico-borghese la dicotomia dell’amore,
del sentimento, è causa di sofferenze ineluttabili. Per millenni, una
cultura fondata sull’istinto di proprietà ha inculcato negli uomini la
convinzione che il sentimento d’amore aveva anch’esso come base il
principio della proprietà. L’ideologia borghese ha messo in testa alla
gente l’idea che l’amore, compreso l’amore reciproco, dava il diritto di
possedere interamente e senza spartizioni il cuore dell’essere amato.
Quest’ideale, questo esclusivismo nell’amore, derivava naturalmente
dalla forma di unione coniugale stabilita e dall’ideale borghese di
«amore totale ed esclusivo» tra gli sposi. L’essere esclusivi in amore,
l’esigere «totalmente assorbiti» dall’amore, non può costituire l’ideale
dei rapporti tra i sessi dal punto di vista dell’ideologia proletaria.
Al contrario, lo scoprire che “Eros alato” è multiforme e multicorde non
produce nel proletariato né orrore né indignazione, come avviene per
l’ipocrita morale borghese. Al contrario il proletariato tenterà con
tutte le sue forze di indirizzare questo fenomeno nella direzione
corrispondente ai suoi compiti di classe in un dato momento della lotta,
in un dato momento della costruzione della società comunista. Il fatto
che l’amore sia multiforme non è, di per sé, in contraddizione con gli
interessi del proletariato. Al contrario, esso facilita il trionfo di
quell’ideale di amore nei rapporti tra i sessi che sta già prendendo
forma e cristallizzandosi in seno alla classe operaia.
Si tratta precisamente dell’amore da
compagni. L’ideale d’amore della classe operaia, che discende dalla
cooperazione nel lavoro e dalla solidarietà di spirito e di volontà dei
membri di questa classe, uomini e donne, si differenzia naturalmente,
sia per la forma che per il contenuto, dalle nozioni dell’amore proprie
alle altre epoche culturali. Ma cos’è l’amore da compagni? Significa
forse che l’austera ideologia della classe operaia, elaborata
nell’atmosfera arroventata delle lotte per la dittatura del
proletariato, vorrà scacciare senza pietà il tenero e fremente “Eros
alato” dai rapporti sessuali? Assolutamente no. Non solo l’ideologia
della classe operaia non ha intenzione di abolire “Eros alato”, ma al
contrario essa libera la strada al riconoscimento del valore dell’amore
come forza psico-sociale. La morale ipocrita della cultura borghese ha
strappato senza pietà le piume dalle ali multicolori e sgargianti di
Eros, obbligandolo a frequentare unicamente le «coppie legittime». Al di
fuori del matrimonio, l’ideologia borghese lascia posto unicamente ad
un Eros senza piume e senza ali: l’unione sessuale momentanea, sotto
forma di carezze comperate (prostituzione) o rubate (adulterio). La
morale della classe operaia invece, nella misura in cui ha già iniziato a
cristallizzarsi, trascura completamente la forma esteriore che possono
assumere i rapporti d’amore tra i sessi. Per ciò che concerne gli
obiettivi di classe del proletariato, è del tutto indifferente che
l’amore assuma la forma di un’unione duratura e legalizzata o che si
esprima semplicemente in una relazione passeggera.
La ideologia della classe operaia non
impone alcun limite formale all’amore. Al contrario, fin da ora essa
guarda soprattutto al contenuto dell’amore, delle sfumature sentimentali
ed emozionali che uniscono i due sessi. E in questo senso, l’ideologia
della classe operaia darà la caccia a “Eros senz’ali” (la concupiscenza,
la soddisfazione carnale egoista per mezzo della prostituzione, la
trasformazione dell’atto sessuale in scopo a se stante) molto più
rigorosamente e spietatamente di quanto non facesse la morale borghese.
“Eros senz’ali” è contrario agli interessi della classe operaia, è di
solito basato sull’ineguaglianza dei diritti nei rapporti sessuali,
sulla dipendenza della donna nei confronti dell’uomo, sulla fatuità e
sulla rozzezza maschili, il che può unicamente frenare lo sviluppo del
sentimento di solidarietà fra compagni. La presenza di “Eros alato”
agisce esattamente in senso contrario.
Va da sé che alla base di “Eros alato”
troviamo la medesima attrazione di un sesso per l’altro che in “Eros
senz’ali”, ma la differenza è grande: nell’essere che ama un altro
essere, si risvegliano e si manifestano proprio quei tratti dell’animo
che sono indispensabili agli edificatori della nuova cultura:
delicatezza, sensibilità desiderio di aiutare l’altro. L’ideologia
borghese voleva che l’essere umano manifestasse queste qualità
unicamente nei confronti dell’eletto, o l’eletta, del suo cuore, in
altre parole nei confronti di un unico essere. Ciò che conta
innanzitutto per l’ideologia proletaria, è che queste qualità siano
risvegliate e sviluppate nell’essere umano, e che si manifestino non
solo nei rapporti con l’eletto del cuore, ma anche nelle relazioni con
tutti gli appartenenti alla collettività. Il riconoscimento, anche
nell’amore, dei diritti reciproci, la capacità di tener conto della
personalità dell’altro, un fermo e mutuo sostegno, una sollecitudine
attenta e una reale comprensione di ciascuno per i bisogni dell’altro,
congiunti alla comunanza degli interessi o delle aspirazioni: ecco
l’ideale dell’amore da compagni che l’ideologia proletaria sta forgiando
per sostituire il caduco ideale di amore coniugale «assorbente» ed
«esclusivo» della cultura borghese. L’amore da compagni costituisce
l’ideale di cui il proletariato ha bisogno nel periodo gravido di
responsabilità e di difficoltà in cui lotta per fondare e consolidare la
propria dittatura. Ma non v’è alcun dubbio che, quando la società
comunista sarà divenuta una realtà, “Eros alato” si presenterà sotto un
aspetto interamente rinnovato, completamente sconosciuto a tutti fino ad
oggi. In quel momento, i «vincoli di simpatia» tra tutti i membri della
nuova società si saranno sviluppati e consolidati, la «forma
dell’amore» sarà molto più grande, e l’amore-solidarietà avrà un ruolo
motore analogo a quello della concorrenza e dell’amor proprio nella
società borghese. Il collettivismo dello spirito e della volontà
riporterà la sua vittoria sulla fatuità individualista. La «fredda
solitudine morale», alla quale le persone, nella società borghese,
tentavano spesso di sfuggire attraverso l’amore e il matrimonio, sarà
scomparsa; molteplici e svariati vincoli uniranno le persone in una vera
comunanza spirituale e morale. I sentimenti degli uomini
s’indirizzeranno verso lo sviluppo della coscienza sociale, mentre
l’ineguaglianza tra i sessi, affondata nella memoria dei secoli passati,
e ogni forma di dipendenza della donna dall’uomo saranno scomparsi
senza lasciar traccia. In questa società nuova, collettivista sul piano
spirituale ed emozionale, Eros occuperà, sullo sfondo di una gioiosa
unità e fratellanza tra tutti i membri del collettivo, un posto d’onore,
come sentimento destinato a decuplicare la gioia degli uomini. Quale
sarà quest’Eros nuovo, trasfigurato? La più ardita immaginazione non
saprebbe tracciarne il ritratto. Ma una cosa è chiara: maggiore sarà la
solidarietà in seno all’umanità nuova, maggiore sarà la coesione morale
in tutti i settori della vita, della creatività, delle relazioni umane, e
minore sarà il posto per l’amore inteso nel senso attuale del termine.
Ma per il momento ci troviamo ancora in
una fase di svolta tra due culture. Durante questo periodo di
transizione, insieme alla lotta accanita dei due mondi su tutti i
fronti, compreso quello ideologico, il proletariato ha interesse a
favorire al più presto e con ogni mezzo l’accumulazione delle riserve di
«sentimenti di simpatia». In questo periodo, l’ideale morale che
determina i rapporti sentimentali non è il mero istinto sessuale, bensì
una grande varietà di emozioni amorose e di solidarietà, tanto per gli
uomini quanto per le donne. Per rispondere agli imperativi della nuova,
nascente morale proletaria, queste condizioni devono essere fondate su
tre principi basilari: 1. uguaglianza reciproca (nessuna predominanza
maschile, né schiavitù e annullamento della personalità della donna nei
rapporti d’amore); 2. riconoscimento reciproco dei diritti dell’altro,
il che esclude la pretesa di possedere interamente il cuore e l’anima
dell’altro (sentimento di proprietà creato e conservato dalla cultura
borghese); 3. sollecitudine da compagni, attitudine ad ascoltare e
comprendere i moti dell’animo dell’essere caro (la cultura borghese
esigeva questa sollecitudine nell’amore unicamente da parte della
donna). Pur proclamando i diritti di “Eros alato” (l’amore), l’ideologia
della classe operaia subordina l’amore reciproco tra i membri della
collettività ad un sentimento più imperioso: l’amore-dovere verso la
collettività stessa. Per quanto grande sia l’amore che lega i due sessi,
per quanto numerosi siano i legami di cuore e di spirito che intesse
tra di loro, i vincoli dello stesso tipo con l’intera collettività
debbono essere ancora più forti, più numerosi, più organici. La morale
borghese esigeva: tutto per l’essere amato. La morale proletaria
prescrive: tutto per il collettivo. Rigettando la «morale» borghese nel
campo dei rapporti amorosi e coniugali, l’ideologia proletaria non può
non forgiare a sua volta la propria morale di classe, le sue nuove
regole nelle relazioni sessuali, meglio rispondenti agli interessi della
classe operaia. Nella misura in cui si tratta dell’amore forgiato e
sviluppato dalla cultura borghese, incontestabilmente il proletariato
strapperà molte piume alle ali dell’Eros di formazione borghese. È
chiaro che in luogo delle vecchie, l’ideologia della classe in ascesa
saprà sistemare nuove piume sulle ali di Eros: e saranno piume di una
forza, di una bellezza e di una lucentezza ancora mai viste. Se, nei
rapporti d’amore, la passione cieca, assorbente, esigente, perde vigore,
se il sentimento di proprietà e il desiderio egoista di vincolare a sé
«per sempre» l’essere amato deperiscono, se la prepotenza maschile e la
mostruosa rinuncia della donna al proprio io scompaiono, si assisterà
allo sviluppo di altri preziosi aspetti dell’amore: il rafforzamento del
rispetto della personalità dell’altro, la attitudine a prendere in
considerazione i suoi diritti, lo sviluppo della comprensione reciproca,
la crescita dell’aspirazione ad esprimere l’amore non solo con i baci e
le carezze, ma anche con l’azione congiunta, con l’unità delle volontà,
con la comune opera creativa. Il compito dell’ideologia proletaria non è
quello di scacciare Eros dai rapporti sociali, ma solamente quello di
riempire la sua faretra di frecce di nuova tempra, di educare il
sentimento dell’amore tra i sessi nello spirito della nuova grande forza
psichica: la solidarietà fra compagni.
di Aleksandra Kollontaj
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