Contro il "feticismo retorico e gnoseologico"
Negli ultimi anni si è verificata un’ampia diffusione delle più diverse pratiche di riflessione pubblica (politica, filosofica, scientifica ed anche d'intrattenimento ...) per le più disparate questioni. In realtà, poco si legge, nel merito delle questioni dibattute, attingendo a quella documentazione esplicativa, alle “fonti” autorevoli necessarie per aprir bocca con cognizione di causa. Questa sorta di “feticismo del dire” (ad ogni costo, talvolta ripetendo quanto sentito dire altrove, senza attento preventivo controllo …) ha contagiato, evolvendo in “feticismo del sapere”, anche la dimensione microsociale (priva, per sua natura, dello scopo della persuasione), un tempo spazio di autenticità e di sincerità, dei gruppi amicali e delle persone che condividono interessi culturali o professionali, delle diadi affettive e dell'intimità, raggiungendo il parossismo della loquacità ignorante che innesca un delirio di massa in termini di convinzioni mal fondate.
Talvolta
queste pratiche – orfane di elaborazioni e rigidi protocolli di
verifica -, in alcuni casi, sviluppano empiricamente metodologie
plurali di caos semantico, sulla base delle singole
sensibilità individuali ed altrettanti arbitrii concettuali, che
atrocemente mette in difficoltà coloro che s'appellano alla logica,
alle complesse verità delle fenomenologie socio-culturali, al metodo
della dimostrazione. Con il “feticismo retorico e gnoseologico”
si è entrati, in questa guisa, nell'epoca dell'enfatizzazione dei
toni comunicativi, delle confuse allusioni, del condizionamento
linguistico e di pensiero, del dire non più in grado d'alimentarsi
cognitivamente. Le sinapsi si ridimensionano nell'unilateralità
funzionale, il laboratorio elettro-chimico dell'encefalo è
depotenziato guidando solo la facoltà verbale.
Oltremodo
diversa è stata la concezione razionale utilizzata come base del
libero e robusto pensiero e della democratizzazione della conoscenza
a fini educativi e di emancipazione civile: il sapere come
introduzione alle pratiche di convivenza sociale, come faticosa, ma
doverosa ricerca delle verità, come costruzione comunitaria di
argomentazione logiche, come forme di elaborazione mentale adeguata e
condivisa per l'avviamento alla conoscenza scientifica. Oggi,
viceversa, questa tradizione del parlare a ragion veduta (dalla
quale, del resto, sono scaturite le più ingegnose e radicali
rivoluzioni politiche e tecnico-scientifiche), del produrre e
proporre idee ponderate, esatte, risolutive di rilevanti questioni
rilevanti, sembra smarrirsi nel vorticoso chiacchiericcio (alcuni
direbbero cinguettio), della ignoranza tout court. In questa
prospettiva, ancor più sviluppato è il lavoro delle istituzioni
sociali delegate alla formazione (famiglia, scuola, mass media)
nella maleducazione della new generation attraverso la
dilagante svalorizzazione del ruolo del sapere filosofico
nell’analisi delle questioni etiche e sociali, della razionalità e
della logica, del riscontro oggettivo anche in ogni semplice
espressione d'opinione.
Proprio
su questo terreno si muove il progetto pluriennale – proponimento e
disegno operativo del sistema capitalistico di subordinazione umana -
d'alienazione coscienziale, di pervasiva disseminazione in ogni
ambito sociale della supremazia della parola sulla cognizione, del
gergo melting pot sugli ambiti specifici di sapere, dei suoni
gutturali sulla consapevolezza, concentrandosi altrove, negli
effettivi centri di potere economico-politici, il sapere necessario.
Se
la docta ignoratia, depurata
dell'afflato teologico tipicamente cusaniano, è giunta, dal
primordiale pensiero etico socratico, all'età contemporanea
concependo «il bene e il male», «l'utopia», «l'ordine ed il
disordine», «l'autonomia» e «la cittadinanza», oggi s'arrende
all'incedere della indiscutibilità delle icone tecnologiche, dei
linguaggi didascalici, delle asfittiche sintesi, della sincopatia.
Tutto ciò si riverbera culturalmente: nell'assecondare
l'infantilismo permanente nell'eloquio e nell'elaborazione
concettuale, nella messa in mora, fino all'oblio, d'ogni riflessione
critica sulle diverse forme della conoscenza di sé e di altri, sulla
barbara castrazione dei residui di pensiero critico, da tempo
trascurato e considerato poco significativo rispetto al dilagante
disinteresse per l'intelligenza, in tutte le sue alte espressioni, e
della feconda capacità del riconoscimento delle emozioni.
Una
maggiore attenzione agli egemonici “modi di dire” dovrebbe far
nascere, in coloro che conservano ancora parti sane nell'antica autonoma
facoltà di pensiero, una prima consapevolezza di fronte alla sfera
dell’agire collettivo e della vita in comune posti, indifesi, su di
un piano inclinato che precipita nel neo-oscurantismo, in modo che le
conoscenze necessarie alla convivenza civile, macro e microsociale,
al rispetto esperto degli altri e all’accettazione delle diversità
comportamentali possano essere attivamente interiorizzati perché
prodotti da un sapere fondato sull’esperienza filosofica e
scientifica plurigenerazionale in grado di costruire abilità sociali
atte alla comprensione della realtà per quella che essa è. Doveroso
porsi l’obiettivo di far emergere e consolidare, discutendole
correttamente e collettivamente, le idee e le rappresentazioni
riguardanti tutti temi presenti nelle esistenze di ciascuno,
considerati come pensatori capaci d'elaborare una particolare ed attendibile visione
del mondo e delle dinamiche sociali.
Un'ultima
opportunità di riflessione attende il corpo sociale, uno spazio di
scoperta del linguaggio e delle modalità di riflessione nelle quali,
a partire da un’ipotesi, la conoscenza effettiva si costruisce
insieme, pezzo dopo pezzo, per tentativi ed errori. Il sapere
ricercato e così co-costruito può infatti fornire gli strumenti
culturali adeguati a sviluppare la capacità critica di tutti intesi
come cittadini liberi, attivi e consapevoli, pronti a esercitare le
loro domande di fronte ai problemi posti dalla società
contemporanea che va trasformata, ed anche felicemente fuoriusciti, auspicabilmente,
dalla gabbie semantiche dimorando nelle quali si muore come persona e
si uccidono le altrui risorse esistenziali.
Si
tratta di questioni che interessano trasversalmente il mondo in cui
viviamo e che incoraggiano una riflessione conseguente sulle forme
consolidate, stereotipate e pregiudiziali, di sapere.
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