Secondo
una certa linea di pensiero, quella occamistico-empirista, solo gli
individui esistono, le idee generali essendo “flatus vocis”, o
costruzioni mentali.
Eppure,
mirando intorno, l'omologazione fisico-estetica, la standardizzazione
dei comportamenti, la banalizzazione dei linguaggi usati per
“comunicare”, l'uniformazione dei pensieri e delle emozioni
rendono massificato, quasi indistinguibile il “proprio modo
d'essere”. Originalità vo' cercando.
D'altro
canto l’esser-un-individuo è davvero qualcosa di più immediato,
di riscontrabile, di più facile da capire di un universale, di un
collettivo, o, più banalmente, “e parte sermonis”, di un nome
comune?
Quando
fermarsi nell’analisi per trovare l’in-dividuo, ciò che non si
può più dividere?
Per
gli organismi viventi in fondo la cosa è dominabile, perché fa da
discriminante quella misteriosa cosa che è chiamata “vita”.
Così
sembra plausibile che un cane, o un cavallo, siano un individuo, e
non un insieme di molecole: tagliandolo a pezzi, il cavallo “muore”.
Viceversa
per le cose inanimate il problema pare di tutt’altra natura.
Un
tavolo è un individuo o un ammasso di legno, o di molecole, o di
atomi, o di particelle sub-atomiche, o, persino, nemmeno di materia,
ma di materia/energia?
Secondo
una certa altra chiave di lettura, un individuo è una astrazione
metaempirica al pari di una categoria: in realtà noi esperiamo
sempre e solo dati sensibili, e solo attraverso la percezione e la
concettualizzazione li organizziamo poi in individui e collettivi.
Così
l’individuo sarebbe una astrazione, un punto limite mai esperito,
mentre il nostro vissuto si svolgerebbe entro una dimensione
intermedia, un fascio di sensazioni simile alla primordiale broda
cartesiana.
Quindi,
ci si illude di vedere bikini, quel bikini in particolare, quella
peculiare “forma” d'esistenza. Pensare di “vedere”
l'oggettività, di “leggere” la sua struttura, contiene già in
nuce quella vocazione di liberalismo esistenziale, che produce
distanze, dalla verità. Ciò è esclusiva e inconsapevole condizione
della solitudine di un “individuo” che s'affanna a capire il
mondo. Del resto, la mentalità diffusa preannuncia direttive
spirituali per l'intera umanità alle quali conformarla
coercitivamente.
L'omologazione
fisico-estetica, la standardizzazione dei comportamenti, la
banalizzazione dei linguaggi usati per “comunicare”,
l'uniformazione dei pensieri e delle emozioni sono anche la
materialistica testimonianza della formazione di una gruppalità
sociale, che venne storicamente costituendosi, a testimonianza del
notevole livello di immaturità e di deprivazione culturale,
facendo, dei consistenti gruppi sociali subalterni, davvero entità
umane periferiche nel generale processo di incubazione della sempre
mutevole barbarie.
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