Claudia Provenzano è autrice del romanzo Le ragioni degli altri, ma non solo: ecco infatti la sua bibliografia.
Storia
di Miryam (2007- pubblicato da Armando Curcio nel 2016)- vincitore
del premio Franz Kafka Italia 2017,
è la storia laica e profana della maternità di Maria di Nazareth,
nota come la madre di Gesù, senza arrivare però a toccare il
momento della natività. In questo libro la sua figura di donna è
resa utonoma, completamente svincolata dalla quella del figlio cui è
tradizionalmente sempre associata. Storia di Miryam è una
ricostruzione letteraria della biografia di Maria e della sua
gravidanza spiegata attingendo alle fonti storiche del Vangelo e
dell’Antico Testamento, senza fare alcun riferimento a spiegazioni
divine e spiritualistiche. Maria è la controfigura reale dell’icona
eterea della Madonna della tradizione religiosa cattolica. E’ una
giovane donna di spiccata sensibilità esistenziale, che si interroga
sulle credenze e i costumi del suo tempo, sui principi teologici del
bene e del male e sull’esistenza di Dio con la freschezza di
un’intelligenza incontaminata, fino a sfidare con determinazione,
non senza paura, le convenzioni e le regole imposte dalla cultura
patriarcale dell’epoca. In questa storia si disegna il profilo di
una ragazza di quattordici anni dai tratti umani e del suo amore per
Gabriele, un ragazzo reale, in carne ed ossa. Si narra del
concepimento naturale e illegittimo di un bambino e della difficile
scelta che Maria, nel contesto della società ebraica antica, con la
complicità di Giuseppe, l’uomo onesto, generoso e lucidamente
razionale che le fu destinato in marito, compie per salvare se stessa
e il suo bambino.
Miryam è la ragazzina ebrea narrata nei Vangeli in
pochi scarni passaggi il cui profilo e le cui vicende vengono
ricostruite dall’immaginazione femminile di una donna contemporanea
che vede nell’amore terreno il vero senso dell’esistere umano e
che trova nel libero arbitrio l’esercizio della propria ragione in
relazione a domande metafisiche e alla fede. Una storia universale
che va oltre il tempo per raggiungere ed entrare in risonanza con gli
animi delle donne di oggi. Storia di Miryam è la storia del
concepimento del figlio di Maria come non si è mai sentita prima.
Una giovane donna, due uomini, una madre, un’amica in un intreccio
emozionante di amore, passione e ribellione.
Le
ragioni degli altri (2015- pubblicato da Armando Curcio nel 2018) –
Si tratta di un moderno racconto corale, in cui le vite dei vari
personaggi si intersecano fra loro scambiandosi i punti di vista,
parlando uno dell’altro in un reciproco gioco di specchi teso a dar
voce alle ragioni degli altri. Tuttavia i vari personaggi non hanno
lo stesso peso, ma si irraggiano da un unico centro, quella della
protagonista, Clodel e di suo figlio. Un libro articolato sia per
l’intreccio dei personaggi sia per l’incastro delle voci
narranti. Strutturato su continui sbalzi narrativi dalla prima alla
terza persona, conduce il lettore nel labirinto di un gioco
prospettico fatto di salti dentro e fuori la psicologia dei diversi
caratteri. Rovesciamenti del punto di vista che hanno lo scopo di
fornire una rappresentazione a tutto tondo del personaggio, descritto
sia dall’interno della sua soggettiva consapevolezza, sia dallo
sguardo esterno più completo ed oggettivo di un ipotetico
osservatore. Sono qui rappresentate, in uno spaccato di grande
attualità, varie esistenze: storie di donne che concepiscono da sole
i loro figli con l’inseminazione artificiale e di donne ebbre di
autonomia che consumano gelide esperienze di sesso in una notte,
storie di relazioni omosessuali, di trans-gender, di bulli e vittime
di bullismo, di autolesionisti, di uomini-oggetto sessualmente usati
come dispensatori di seme e di uomini figli del cambiamento dei tempi
non più capaci di gestire la loro virilità, fino a tematiche più
tradizionali come il delitto passionale, la sottrazione della patria
potestà, l’adozione, l’occultamento della paternità biologica,
l’adescamento e l’abuso di minori. Temi talvolta drammatici non
privi di accenti ironici ed umoristici e mai caratterizzati da
risvolti nichilistici. Il ritmo del racconto è spesso incalzante e
la narrazione viene qua e là insaporita da momenti spiccatamente
erotici e talvolta truculenti.
Libri in corso di stesura finale
Figli
mancati (2017) : affronta le storie difficili di una serie di ragazzi
con famiglie problematiche il cui trait d’union è la comune
professoressa di psicologia di un istituto professionale: i ragazzi
frequentano tutti, taluni negli stessi anni, taluni in anni diversi
la stessa scuola. Daniel, il bambino ‘esposto’, figlio
abbandonato davanti al negozio di McDonald che viene adottato dal
poliziotto chiamato al momento del ritrovamento. I tre fratelli
Arianna, Iacopo ed Elia, i figli di Giunone, tre fratelli sottratti
dall’assistenza sociale alla madre obesa dichiarata incurante per
le sue difficoltà a muoversi. Amal e Ikram, le ragazze senza velo,
due sorelle algerine nate in Europa punite dal padre con la rasatura
dei capelli per il rifiuto del velo. Agnieszka, la bambina
‘selvaggia’, bambina ucraina ritrovata dall’assistenza sociale
allo stato selvaggio nel fienile della casa del padre, suo unico
famigliare. Liang, il ragazzo nella cruna dell’ago, una studentessa
liceale cinese nata in Europa sottratta alla famiglia dal padre per
lavorare nella fabbrica nonostante i suoi risultati eccelsi a scuola.
Danush, il ragazzo dei materassi, la storia di un bambino immigrato
ad un anno con la madre dall’Albania, che dopo 12 anni di stenti
morirà lasciandolo sulla strada. Bianca, la bambina di cera, la
ragazza di famiglia borghese che scappa di casa e diventa una
punk’a’bestia,
Libri
in corso di seconda stesura
Le
gravi madri (2017): Tre madri e i loro figli. Madri figlie di altre
madri. Madri presenti, assenti, troppo presenti, ossessive,
noncuranti, ipercuranti. Storie di vita che si intrecciano in un arco
di tempo che va dagli anni ’70 del Novecento ad oggi. Storie di
carriere in ascesa o in rovinosa caduta, storie di eterni adolescenti
alla ricerca del proprio posto nel mondo, storie di amori e
delusioni, di fedeltà e tradimenti, di gravidanze non volute, di
adozioni mai rivelate, di distruttive battaglie legali per l’affido
dei figli, di perfidi scambi di neonati nella culla, storie di
stalking e di molestie pedofile, di ragazzi abusati, storie di
senzatetto e di persone ai margini della società, storie di donne
sole e di donne sempre alla ricerca. Storie tutte a loro modo segnate
dalle tracce che, pur senza volerlo, “gravi madri” hanno lasciato
sui loro figli. (“I nostri genitori hanno determinato le
nostre ferite, le nostre ferite ci sono genitrici”. James Hilman.)
Libro
in corso di prima stesura
Il
corpo parla: la vita di persone il cui malessere esistenziale si
esprime attraverso il corpo.
Convenzionali
ha
il piacere di intervistarla per voi.
Da
dove nasce Le
ragioni degli altri?
Che cosa rappresentano gli altri per lei?
Questo
romanzo nasce dallo stupore per Le
vite degli altri,
che poi, in effetti, era il suo titolo originale. Ad un certo punto
mi sono resa conto di aver collezionato un ventaglio variegato di
storie di vita, osservazioni e testimonianze che avevo avuto modo di
raccogliere nelle mie diverse esperienze di viaggio, nei miei studi
all’estero, nel mondo dell’arte prima e dell’insegnamento dopo.
Ogni incontro era per me una sorpresa, una gemma che ad attenderne
l’apertura sbocciava sotto i miei occhi e a scrutarla mi rivelava
il suo meraviglioso interno. Reale e immaginario. Ogni esistenza è
un mondo denso e intenso che l’esperienza tesse col filo di seta,
prezioso e resistenze, dei vissuti. Di questi mondi della nostra
contemporaneità io volevo raccontare, fantasticare sulle loro
ragioni. Perché non c’è verità nella nostra conoscenza. Ciò che
cogliamo nelle storie delle vite degli altri non è che
un’interpretazione soggettiva fatta della materia delle nostre
credenze, delle nostre aspettative, dei nostri desideri e delle
nostre paure, che vi proiettiamo dentro. E il romanzo è lo strumento
che meglio coglie questa verità: verità interpretata. Dunque volevo
ricostruire, inventandone le ragioni, le cause, l’origine, quelle
vite che incrociando sulla mia strada mi avevano attratta, ammaliata,
accalappiata. E volevo renderle prototipo. Caso particolare che
testimonia di tanti casi analoghi e simili, che ritornano sotto altri
nomi ed altre fisionomie, ma che alla fine nel loro nocciolo
essenziale si ritrovano nel minimo comun denominatore di un modello
universale. Storicamente universale. Poiché ogni esemplare di vita è
il precipitato storico della sua epoca. La lesbica, il transgender,
il bullo, lo stalker, l’autolesionista, il pedofilo, il
tossicodipendente, l’immigrato, il senzatetto, le donne single, le
madri che concepiscono con l’inseminazione artificiale, le famiglie
omosessuali, ricomposte, monoparentali… sono figure legate al loro
tempo. Alcune sono sempre esistite ma assumono caratteri diversi a
seconda dell’epoca in cui vivono, altre sono novità assolute sorte
dalle innovazioni tecnologiche e culturali della modernità.
Parlando
con le persone, scavando nei loro racconti, interrogando e frugando
nei loro vissuti ci si rende presto conto che ogni esistenza non solo
è un microcosmo complesso, un coagulo affascinante di emozioni,
pensieri, bisogni e aspirazioni tutto da scoprire, ma anche che a
seconda del punto di vista da cui la si guardi assume colori e forme
diverse. E questo è il personaggio di un romanzo: il prototipo di
una vita nella quale i lettori possono ritrovarsi. Più ci si
addentra nella vita di un individuo, poi, più ci si accorge che,
attraverso una fitta rete di relazioni, si intreccia a quella degli
altri individui. Quelle vite degli altri che tanto mi intrigavano
diventavano così un poliedrico gioco di specchi in cui l’essere di
ognuno si definisce non solo in base a sé stesso, ma anche in base a
ciò che gli altri vedono di lui. Ecco allora Le
ragioni degli altri.
Dov’è
la ragione quando si dialoga, si litiga, ci si lascia?
La
ragione ha il suo luogo nel soggetto. Dunque non c’è una ragione,
ci sono una, nessuna, centomila ragioni. È proprio questo che ho
cercato di esprimere nel mio
Le ragioni degli altri. Ed
ho cercato di farlo tanto a livello dei contenuti quanto a livello
narratologico utilizzando una voce narrante poliedrica, che
continuamente balza da un narratore esterno ad uno interno, da un
narratore che si rende complice del lettore ad uno che lo tradisce e
balza fuori dal noi che prima li univa svelandogli dettagli e
retroscena di cui lui solo sa.
La
nostra è una società capace di empatia?
No.
Sebbene le teorie sperimentali della psicologia abbiano verificato
l’esistenza di neuroni
specchio,
il che dimostrerebbe il fatto che l’empatia è innata, tuttavia
ogni comportamento innato nell’uomo, a differenza di quello animale
che è rigido ed immodificabile, è plastico, modificabile in base
all’esperienza che compie. L’apprendimento, la capacità di
cambiare adattandosi all’ambiente, è infatti la caratteristica
peculiare dell’essere umano, che non a caso ha predominato e vinto,
indiscusso dominatore del mondo, su tutti gli altri esseri viventi.
Pertanto anche l’empatia lo è. Modificabile, intendo. Se è vero
che ha una base innata è pur vero che è modificabile dall’ambiente,
dunque dal contesto storico-sociale in cui si esplicita. Nel nostro,
nella società occidentale liberista, forgiato sul principio morale –
e biologico– dell’egoismo, dove cioè la sopravvivenza sociale
giustifica il primato dell’io sugli altri, l’empatia trova il suo
spazio d’esistenza nella sfera del privato, nell’intimo delle
proprie emozioni e dei propri affetti, ma nei confronti dell’altro
in
senso puro –
l’estraneo – no.
Il
suo romanzo tocca molti temi: che importanza riveste al giorno d’oggi
l’amore?
L’amore
nel senso tradizionale del termine, nel senso in cui il filosofo
Platone ha disegnato per noi all’origine della cultura occidentale,
l’amore ideale, solido, eterno, l’unione con la metà mancante
che ci completa, al giorno d’oggi, è utopia. Letteralmente,
sentimento senza luogo. È miraggio, desiderio etereo cui si
tende. Cui ci si avvicina, lo si sfiora, forse si riesce a toccarlo
perfino, ma che non si riesce ad afferrare e tantomeno a trattenere.
Nella contemporaneità, per dirla con il sociologo Bauman nella
società liquida, l’amore è esso pure diventato liquido. Non dura,
galleggia sulla zattera di un sentimento che ci transita da una fase
ad un’altra della vita, si consuma,
ci
consuma, e muore. E poi viene sostituito con uno nuovo, insieme a
noi, che rinasciamo a nuova vita. La legge e i costumi, che si
adeguano al movimento del reale, sono cambiati e ce lo consentono. Ci
legittimano a viverlo in questo modo senza più paure e sensi di
colpa.
Il
sesso? Il desiderio?
Il
sesso da sempre è la vitalità che innerva la carne del nostro
essere animale. È desiderio, brama. È piacere che conduce al
benessere se appagato, frustrazione che conduce a malessere e
all’aggressività se inappagato. Il sesso in senso più
genuinamente freudiano è il desiderio per eccellenza, è l’energia
che sta alla base di ogni nostra azione, di ogni nostra scelta, è
ciò che ci muove, ci scuote, sbattendoci poi vilmente a terra o
lanciandoci, sublimati, verso il cielo. Dipende da come, verso cosa
canalizziamo quell’energia. Senza questa energia psico-sessuale
non ci sarebbe l’arte (energia canalizzata nella creatività), la
scienza (energia canalizzata nell’attività intellettuale), il
volontariato sociale, la religione perfino. Il desiderio, con Freud,
e con tutta la psicanalisi che ne segue, è sessualità.
O meglio la sessualità non è altro che desiderio. Libido. Eros.
Energia psichica che scorre nelle vene del nostro corpo. Perché
corpo e psiche sono un tutt’uno. Non c’è l’uno senza l’altro.
Non c’è vita senza desiderio. Ma nella nostra società della
mercificazione, dove tutto è ridotto a merce, è anche la più
preziosa merce di scambio e il più potente strumento di ricatto.
La
colpa?
Colpa
o senso di colpa? La colpa è il venir meno di una responsabilità
che si è coscientemente e liberamente assunta. La si può
riconoscere. La si può non riconoscere. Gli altri possono imporcela,
scaraventandocela addosso come proiezione della loro propria
assunzione di responsabilità, che però non ci riguarda. In questo
senso, allora, ci sono due tipi di colpa. Una in senso morale,
interna alla coscienza, quella che si è formata in noi con
l’educazione dei genitori, che è puramente personale e non
perseguibile. E c’è una colpa in senso legale, convenzionale,
stabilita, oggettiva, quella che serve alla conservazione della
società, e che perciò viene perseguita con la legge. Le due colpe
spesso entrano in conflitto, si pensi al mito di Antigone. È
ciò che sta alla base della distinzione fra diritto naturale e
diritto positivo. Il senso di colpa invece è quel peso opprimente
con cui la nostra coscienza morale ci schiaccia per frenare le nostre
pulsioni (quell’energia sessuale
di cui si parlava sopra) quando queste non riescono ad essere
canalizzate e dirompono allo stato puro, nella loro più cruda
animalità. Di questa animalità ho parlato in Le
ragioni degli altri attraverso
un paio di personaggi secondari, che compaiono fulmini e…
fulminanti, proprio per la truculenza della loro pulsione non
governata.
L’ossessione?
L’ossessione
è la fissazione assoluta e coatta su un’idea. Alla sua origine sta
ancora quella pulsione erotica, di cui abbiamo parlato prima,
desiderio, mancanza che chiede di essere colmata. Quell’ energia
psichica che muove, smuove, ci agita e percuote, che non può essere
ignorata, ma che nondimeno può essere indirizzata. Può essere
diretta verso oggetti vili e allora diventa malattia, pericolosa
nevrosi, oppure verso oggetti nobili e allora diventa fonte di
creatività e devozione. L’ossessione è quella che spinge ai suoi
delitti il serial killer, ma è anche quella che muove in modo
sorgivo la mano dell’artista, dello scienziato, del missionario.
L’ossessione è il rapimento della psiche da parte di un’idea che
dapprima si insinua e poi si insedia nella coscienza. È un assedio
invadente e tenace, prepotente ed esondante. L’idea ti chiama a sé
con seduttiva dolcezza, ti solletica l’orecchio, sussurra,
suggerisce, ti invita a seguirla, e poi ti cattura. Pretende tutto
per sé. Attenzione, tempo, cura. È tirannica come un neonato. (Ma
ti è cara, la ami). Non ti lascia mai, di giorno, di notte,
entra nelle tue azioni, nei tuoi pensieri coscienti, in quelli
inconsci, anima i tuoi sogni, ti penetra fra le fibre del corpo, si
fa largo sgomitando in mezzo alle tue relazioni. Non hai un momento
per i tuoi figli, per il tuo compagno, per i tuoi amici, non per
Gabriele Ottaviani che ti chiede un’intervista. Non ti dà tregua.
Finché non l’hai divorata, spolpata, ridotta al midollo, finché
non l’hai consumata, finché non ne è rimasta neanche una
briciola, non puoi fare altro.
Poi,
ti senti bene. Come dopo un parto.
La
violenza?
È
ancora una pulsione. È una delle modalità in cui la nostra energia
psichica si manifesta. Violenza è la pulsione sessuale
(desiderante, libidica, erotica) che non riuscendo a trovare una via
‘umana’ per sfogarsi in modo alternativo, si sfoga in modo
arcaico, bestiale. La violenza non è solo fisica ma anche
psicologica, e questa, fra le due, di certo è la più subdola perché
non porta la stigmate di un livido, di un’escoriazione, di un
braccio rotto, e nondimeno comporta sofferenze anche più gravi.
La
paura?
La
paura è il senso di impotenza di fronte ad un pericolo che mette a
rischio la nostra vita, pericolo individuato che sappiamo riconoscere
come tale e dal quale possiamo pertanto tenerci a distanza. La paura
non è dei vili è degli oculati, è lo strumento di cui ci
equipaggia la biologia per difenderci dal rischio e tener salva la
nostra vita. Chi non ha paura non è coraggioso come si crede, bensì
un avventuriero che non ha cara la vita.
La
speranza?
La
speranza è il peggiore dei mali. Fra tutte le emozioni e i
sentimenti umani è quella che resta sul fondo del vaso di Pandora,
proprio perché la più temibile. La speranza induce ad attendersi
qualcosa di meglio eppure è vano aspettarsi un futuro migliore
perché nel momento in cui si realizza ci delude sempre, perché
nella speranza noi proiettiamo tutti i nostri desideri impossibili.
E la delusione ci abbate, ci schianta al suolo, ci ammazza. Tuttavia
l’uomo non può vivere senza questo effimero sentimento perché è
ciò che ci proietta verso il futuro e, come ci ha insegnato
l’esistenzialismo, non c’è presente senza tensione verso il
futuro.
Il
dolore?
Il
dolore è mancanza. Vuoto, lacuna, fame. È il bisogno non appagato,
è frustrazione, gioia mancata, privazione. È illusione delusa.
Il
pregiudizio?
Il
pregiudizio è uno stereotipo sovraccaricato di un giudizio di valore
assoluto. Buono-cattivo, bello-brutto, sano-malsano, giusto-ingiusto.
Lo stereotipo non è altro che uno schema irrigidito che non ammette
eccezioni. Se lo stereotipo è il cemento armato nel quale
rimaniamo imbrigliati poiché inibisce la nostra curiosità, la
spinta ad esplorare e a conoscere tutto ciò che è nuovo, ovvero ciò
che fuoriesce dagli schemi, il pregiudizio ci autorizza a
disprezzare, ovvero allontanare ed annientare, ciò che è diverso da
noi. Nuovo e diverso si identificano nella nostra mente nel minimo
comun denominatore di ciò che è ignoto e che in quanto tale
temiamo. Tant’è vero che quando ci avviciniamo e curiosi ci
lasciamo andare all’esplorazione di ciò che non conosciamo ecco
che, visto da vicino, ci diventa familiare e non ci spaventa più.
Stereotipi e pregiudizi nascono dalla paura dell’ignoto e del
diverso, e dal bisogno di autoaffermazione di chi, sapendo di valere
poco o nulla, non trova alto modo di prevalere se non affondando gli
altri. Facile.
Perché
scrive?
Scrivo
per eccesso di libido.
Sempre in senso psicanalitico, intendo. Desiderio, voluttà, bisogno
vitale. Scrivere è una forma d’arte. Tutta l’energia che a
fiotti mi scuote, sopraffacendomi con un eccesso di vitalità, io la
scarico nello scrivere. Questa è la fonte del perché
su cui mi interroga. La meta è il lettore. La possibilità di
entrare in risonanza con gli
altri
attraverso le mie parole, veicoli di umani sentimenti e pensieri e
desideri che agogno condividere con gli
altri.
Cosa possibile se il personaggio funziona, se è credibile, se è
riuscito. Per dirla con Hemingway, un personaggio è riuscito se
riesce ad essere umano. Solo così si innesca quel fenomeno
psicologico definito identificazione.
Qual
è il ruolo dello scrittore nella contemporaneità?
Bella
domanda. Qual è
il ruolo dello scrittore nell’epoca contemporanea non saprei dirlo.
Ci sono tanti ruoli, così è sempre stato, in base alla poetica
letteraria che lo ispira. Non c’è un ruolo che la società gli
possa delegare, non in un paese libero almeno. Non c’è un unico
ruolo che i lettori gli richiedano di svolgere perché ogni lettore è
diverso dall’altro e cerca nella lettura cose diverse. Potrei dire
quale vorrei
che fosse
il mio. Cioè: il narratore delle vicende umane. Vorrei
riuscire, e vorrei riuscirci davvero bene, a dare voce alle emozioni,
ai pensieri, ai sentimenti, alle ambizioni e ai cedimenti che
impregnano quelle vicende e farne di ognuna un prototipo nel quale i
lettori possano riconoscerci. E perciò sentirsi meno soli e meno
insignificanti nel marasma e nell’infinita sconfinatezza
dell’esistenza. Io cerco questo.
Qual
è la situazione culturale italiana?
Domanda
da porre ad un sociologo. Per poter rispondere dovrei fare una
ricerca storica e sociale, attingere alle statistiche di enti
accreditati, rielaborare tutti questi dati raccolti, rifletterci
sopra e infine riuscire ad elaborare una tesi mia. Cosa che
richiederebbe troppo tempo ed io il mio lo impiego per scrivere e per
compiere ricerche sui soggetti di cui scrivo. Se mai scriverò un
libro che abbia a che fare con la situazione culturale italiana le
risponderò. (ride)
Il
libro e il film del cuore, e perché?
Ho
un libro ed un film del cuore per ogni fase della mia vita. Nel
momento in cui ho scritto Le
ragioni degli altri
il libro era Il
bacio della medusa di
Melania Mazzucco, perché ho sentito risuonare nella sua la mia
scrittura: quella tensione della creatività per cui le parole si
riversano in modo alluvionale dall’anima. L’abbondanza delle
emozioni che tracimano dai pensieri, la ricchezza della frase non
secca, non anoressica, ma grassa di aggettivazioni, di figure
retoriche, di ridondanze, di attenzione alla melodia, alla sonorità
delle parole. Affinché affiorino sfumature, slittamenti di senso,
evocazioni. Un romanzo in cui la potenza della parola sia affidata
alle briglie capaci dello scrittore, pur senza togliere spazio alla
libertà di immaginazione del lettore. Perché non è solo con
l’asciuttezza dell’eloquio, con l’alveo vuoto della parola, che
si può scatenare l’immaginazione. Concepisco il romanzo come il
luogo in cui chi legge può scivolare nelle parole come sulle onde di
un mare che non si assopisce, indugiando su quelle che più sente
affini, affezionate o affascinanti per usarle come trampolino per la
propria creatività immaginifica e lanciarsi “verso l’infinito ed
oltre” (per citare un famoso cartone animato). Il film, per sua
natura più sintetico ma anche più visivo, non è stato uno solo. Ma
in quel periodo pensavo molto a America
oggi
e The
Hours,
per l’intreccio dei personaggi, per la molteplicità poliedrica dei
punti di vista, per l’architettura narrativa e a Pulp
Fiction,
per gli aspetti di violenza parossistica cui mi sono ispirata.
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