Nell’estate del 1975, Pier Paolo Pasolini è
impegnato al montaggio di uno dei suoi film più discussi, “Salò o le 120
giornate di Sodoma”, e nella stesura del romanzo “Petrolio”, un atto di accusa
contro il potere politico ed economico dell’epoca. Intanto, da mesi ha una
relazione con Pino Pelosi, un giovane sottoproletario romano che ha legami con
il mondo criminale della capitale. Una notte, alcuni amici di Pelosi rubano il
negativo di “Salò” e chiedono un riscatto esorbitante. Il loro vero obiettivo
non sono i soldi, ma uccidere Pasolini. Il film, in questi giorni nelle sale,
“La macchinazione”, per la regia di David Greco, sceneggiato dalla stesso Greco
in collaborazione con Guido Bulla, risulta effettivamente fedele ad una verità
da molti sostenuta in modo documentato ed argomentato sulla fine del poeta,
scrittore, regista ed intellettuale bolognese di nascita. Inoltre, propone
un'esperienza d'approfondimento consistente nella lettura o rilettura del
libro, “Petrolio”, purtroppo ultima fatica pasoliniana, pubblicato da Einaudi
nel 1992 e da Mondadori nel 1998 che, nell'ambito della curatissima edizione
speciale per Corriere della sera di tutti gli scritti pasoliniani in
corso di uscita, lo offre nuovamente all'attenzione (RCS Media Group, 2015,
Vol. n° 10). Testo di ardua comprensione, tuttavia capace di accompagnare
adulti e giovani verso quell'autentica maturità del vivere che è sconvolgimento
irreversibile delle più sedimentate e recondite convinzioni individuali sulla
società italiana nell'attuale complicatissimo scenario d'una globalizzazione
che esige i suoi morti, le sue guerre, le sue devastazioni ambientali, le sue
discriminazioni, come cifra, apparentemente immodificabile, dell'umanità
storicamente determinata nella formazione economico-sociale capitalista.
Nell’intervista di Luisella Re del 1 Gennaio
1975, Pier Paolo Pasolini di “Petrolio” dice: “Ho iniziato un libro che mi
impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne,
però: basti sapere che è una specie di ‘summa’ di tutte le mie esperienze, di
tutte le mie memorie”. Riferendosi all'opera che stava sviluppando, a Paolo
Volponi, amico e scrittore (autore, tra l'altro, de “Le mosche del capitale”,
Einaudi, 1989; potremmo definirlo un docu-romanzo sul mondo dell'industria
italiana, della finanza e del potere, con il quale Volponi ha lasciato il suo
testamento narrativo), Pasolini scrive: “Il racconto è la fedele
rappresentazione della sviscerata crisi della Repubblica e della società, con
il petrolio sullo sfondo come grande protagonista della divisione
internazionale del lavoro, del mondo del capitale che è quello che determina
poi questa crisi, le nostre sofferenze, le nostre immaturità, le nostre
debolezze, e insieme le condizioni di sudditanza della nostra borghesia, del
nostro presuntuoso neocapitalismo”. Dell'opera incompiuta pasoliniana, è stato
pubblicato un frammento di seicento pagine la cui prima bozza della trama
risale al 1972. L’opera, in ogni caso, trova proprio nell’incompiutezza una
delle sue caratteristiche, tanto che essa si presenta “sotto forma di edizione
critica di un testo inedito”, una sorta di ulteriore salutare provocazione
culturale per la società civile ed intellettualità diffusa, non solo italiane,
troppo conformiste ed inclini alla subordinazione esistenziale al potere
vigente, alla vigilia di un movimento di rivolta che, alla fine degli anni '70
del Novecento, trova l'espressione sincera e residuale, al tempo stesso, di un
dilagante disagio sociale, movimento giovanile e proletario inconsapevolmente pasoliniano,
ancora una volta inascoltato, represso e7o anestetizzato. Impegnando
tutte le sue energie, Pasolini intendeva battere una strada nuova
nell'interventismo culturale inventando, piuttosto che fondendo stili letterari
diversi, il linguaggio del docu-romanzo alimentato da una ben percepibile ansia
di partecipazione e di denuncia che si coglie nelle parole d'una lettera ad
Alberto Moravia: “ … mi riuscirebbe molto faticoso ricominciare da capo ...”.
Infatti, il carattere volutamente frammentario e disorganico è più volte
descritto da Pasolini, all’interno dello stesso “Petrolio”, come un esplicito e
lucido tentativo di “fare una forma”, instituendola in corpore vili,
ovvero all’interno dello stesso testo, e di creare un nuovo romanzo, non più a
“schiodinata”, ma “a brulichio”, ovvero tramite la progressiva accumulazione e
stratificazione di materiale, tanto è stata l'attenzione pasoliniana al
presente per far si che esso potesse dotarsi d'una alternativa. Guardare dentro
l’immanenza, esplorarla senza riserve ed il protagonismo critico-pratico sono
le azioni che si amalgamano nella scrittura di Pasolini rispondendo
all'esigenza di non “sparire” nella classica funzione di narratore esterno ben
consolidata nella letteratura precedente, e di permanere all’interno del
docu-romanzo come una presenza che guida il lettore nel suo percorso, gli
spiega il significato di certe sue scelte narrative codificate nella lingua
della saggistica e del giornalismo.
Come è stato osservato, “Pasolini, con una penna
violentemente espressionista, dipinge una realtà hegelianamente dinamica, in
automovimento, sintesi di opposti che trapassano continuamente l’uno
nell’altro, in virtù della loro coincidenza, in cui niente è senza il suo
contrario” (Marco Michelutti); “Petrolio è un opera totalizzante,
paradossalmente illimitata nella sua (non) forzata limitatezza. Essa è la
descrizione di una società e della sua logica. È la storia di un individuo, di
molti. È creazione, prodotto dell’arte di Pasolini. È il suo testamento,
l’espressione ultima di un intera carriera, il suo ultimo respiro, brutalmente
spezzato. Ma non solo. Petrolio è Pasolini” (autore citato). È vero che
evocando oggi “Petrolio”, non si può liquidare l'esigenza d'una nuova stagione
di elaborazione delle idee e della loro traduzione in prassi d'emancipazione
come velleitarismo intellettualistico; il libro in questione fa entrare
l'inquietudine nelle coscienze pronte a divincolarsi dal giogo
dell'omologazione e dell'ignavia. È l’insieme delle morti che hanno come movente
l’oro nero che interroga ancora oggi. Nel 2003 lo scriveva già il magistrato
Vincenzo Calia nella “Richiesta d’archiviazione del caso Mattei”, citando
appunto “Petrolio”. In quel docu-romanzo incompiuto, che mescola l’allegoria
erotica con i riferimenti alla storia e all’attualità politico-economica,
l’autore arriva alle stesse conclusioni a cui venticinque anni dopo sarebbe
giunto Calia dopo la sua lunga indagine. Pasolini lo scrive in uno schema
riassuntivo intitolato Appunti 20-30. Storia del petrolio e retroscena:
«In questo preciso momento storico (I Blocco politico) Troya (!) sta per essere
fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore
(caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti)». Troya è il nome che nella
finzione lo scrittore attribuisce a Eugenio Cefis. Era quanto aveva rivelato,
peraltro, un misterioso libro firmato con lo pseudonimo Giorgio Steimetz e
intitolato Questo è Cefis. Il libro, richiamato nel film “La
macchinazione” di David Greco, uscito nel 1972 per l’Agenzia Milano
Informazioni di Corrado Ragozzino, racconta la spregiudicata avventura di un
capitano d’industria tra pubblico e privato, tra Stato e centri di potere
occulto. L’Agenzia era finanziata dal democristiano Graziano Verzotto , della
corrente rumoriana, braccio destro siciliano di Mattei e informatore segreto di
Mauro De Mauro, il giornalista de «L’Ora» di Palermo ucciso nel 1970 mentre
indagava sul caso Mattei, arrivando più meno alle stesse conclusioni riguardo
alla responsabilità di Cefis.
Ebbene, in “Petrolio” si
parla del nuovo potere che agisce sugli individui in forme capillari,
non solo a livello mentale, attraverso imposizione di modelli, e che raggiunge
anche i loro corpi. Espedienti narrativi sono il sesso, il potere, la
frantumazione dell’Io, l'ultima forma di borghesizzazione, certo, e vari
altri motivi si intersecano in un gioco di scambi e rimandi in quella
che è la vera e propria trama dell’opera. Si parla
della banalità del potere, quella che agisce attraverso la «col-lusione»
innocente (dove “innocente” sta per “nascosto alla coscienza”) degli individui,
degli intellettuali, persino dei letterati, nel loro desiderio di emersione
dall'anonimato e dalla scarsità di denaro poiché non si può scalare
la società se si mantiene una certa integrità. Si parla della società italiana
e delle radicali alternative da inventare.
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