Avrebbe compiuto 87 anni il prossimo 23
maggio Paolo Poli che si è spento ieri a Roma dopo un periodo di
malattia. Un artista versatile, libero, come il sindaco di Firenze Dario
Nardella, la città in cui era nato, l'ha voluto definire diffondendo su
twitter la notizia della scomparsa. I funerali saranno nella sua città.
Paolo Poli è stato un maestro per tutto un teatro tra varieta' e lazzi e
sberleffi con una solida cultura dietro ad evitare il cattivo gusto.
Poli è rimasto sempre, anche quando ne aveva di certo superato l'età, un
bambino, e non si puo' disgiungerlo da quella vocina impertinente della
sua celebre lettura e interpretazione di Pinocchio, lui, figlio di
Collodi e buffo palazzeschiano sin nell'impronta toscana del suo
eloquio, come dalla malizia con cui raccontava favole per i piu' piccoli
o novelle famose alla Radio negli anni Settanta. Era gia' li' la cifra
dei suoi spettacoli futuri, che passano dai grandi classici alla
letteratura rosa per signorine. Attore brillante per vocazione, dalla
comicita' intelligente e provocatoria, ma sempre con un sottofondo
giocoso, come nei suoi famosi en travesti', Poli amava i testi surreali,
i lati onirici, il ridicolo del sentimentalismo, il rapido sberleffo,
l'ironia che smonta e rivela anche quella sotterranea nota malinconica e
esistenziale propria di ogni vero artista. Nato nel 1928 a Firenze
Paolo Poli era laureato in letteratura francese con una tesi su Henry
Beque ed aveva cominciato lavorando in radio e nel teatro vernacolare,
sino a quando era entrato a far parte, a Genova, della Borsa di
Arlecchino fondata da Aldo Trionfo.
Da li' approdera' a Roma,
alla Cometa, con uno spettacolo sul Novellino nel 1961, cominciando il
suo viaggio attraverso testi letterari di ogni genere. Particolare e
spettacolare affabulatore sarcastico, ha il suo primo momento di vera
gloria con Santa Rita da Cascia nel 1967, che scandalizza e viene
accusata di vilipendio alla religione. Alla ricerca sempre di quel lato
paradossale proprio della vita, fuori e sopra il palcoscenico, Poli si
prendeva sempre gioco di tutto, ma e' un'apparenza, se, per poterlo fare
sempre con tanta sicurezza, vuol dire che sa prendere prima tutto sul
serio, con un sicuro criterio critico e una sensibilita' vera, cosi' da
poter passare con lo stesso atteggiamento dalla letteratura alla vita,
per esempio non nascondendo la propria natura omosessuale, cosa seria,
ovviamente, ma su cui scherzava con la stessa impertinenza di tutto il
resto. E' cosi' che riesce, con naturalezza e in compagnia di Ida
Ombroni, che ha firmato con lui i testi di tanti celebri spettacoli,
passare da Carolina Invernizio o la Vispa Teresa a Savinio o Queneau,
senza dimenticare alcuni eroi romantici come l'Alfieri.
E cosi'
esemplare, se si vuole, resta nel fatidico 1969, la sua proposta de 'La
nemica' di Niccodemi con una compagnia en travesti' di soli uomini e
dando vita a una scatenata, italica mamma duchessa tutta vezzi, gesti ad
effetto, che si sventola le ascelle con un ventaglio o si mordicchia
provocatoria il povero boa di struzzo, gorgheggiando avvolta nella
bandiera, intonando vocine di ogni tipo e isteriche urla, che diventano
una critica dall'interno, un ridicolizzare quel mondo borghese a cavallo
tra Otto e Novecento, che ha portato senza alcuna coscienza il paese
alla guerra e al fascismo. Lui si divertiva, si mascherava, tirava fuori
tutti i vezzi possibili, alla fine di ogni spettacolo improvvisando e
quasi dialogando col pubblico, da beato immoralista dell'ambiguita' e
della crisi dei valori, provocatore amato ma solitario, unico,
esibizionista che rompeva gli ipocriti confini del perbenismo, facendolo
sempre anche sulla propria pelle. Nonostante l'età, energico e
irriverente, aveva continuato anche dopo gli 80 anni a frequentare il
palco, a realizzare libri - come l'audiolibro Emons in cui leggeva da
par suo ''La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene'' di Pellegrino
Artusi - ed era anche tornato in tv nel giugno scorso dopo oltre 40 anni
su Rai3 con 'E lasciatemi divertire', 8 puntate insieme all'amico Pino
Strabioli. Era stato, al solito, mattatore. ''Il mio peccato preferito?
E' la superbia. Quello che non sopporto, invece, e' l'accidia. Il
borbottio continuo di certa gente", aveva detto.
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