Se Durkheim sottolinea il ruolo coercitivo della società, in quanto impone
agli individui i
propri modelli e valori, Marx (1818
-
1883)
concorda con
il pensatore francese puntando il dito
contro le
ideologie
. Questo
termine è stato usato per la prima volta dal filosofo Destutt de Tracy
(1754
-
1836) per far riferimento all'insieme delle analisi sulle origini delle idee, la grammatica e la
logica. L'accezione subisce l'inflessione negativa nel momento in cui il termine
“ideologues”
va ad
indicare gli intellettuali astratti o in malafede. Anche per Marx l'ideologia ha un carattere negativo
poiché indica quelle
“rappresentazioni illusorie della realtà che servono ad occultare le effettive
contraddizioni di essa e a legittimare gli interessi del potere costituito”
che danno luogo a
false
universalizzazioni, la cui funzione è soprattutto quella di giustificare l'ordine costituito e di
incanalare le frustrazioni proprie degli individui verso ideali astratti (...) in modo da allentare le
tensioni conflittuali presenti nella società e da mantenere il consenso. Le ideologie sono, quindi,
soprattutto uno strumento di potere e di manipolazione delle coscienze
(Crespi 2002,
29
-
30).
Le idee di Marx poggiano su di una
concezione materiale del mondo; in questi termini
il punto
di partenza dell'analisi marxista è l'homo faber, l'uomo produttore,
vale a dire l'
uomo
che lavora per
sostenersi attraverso la produzione e la riproduzione.
Ciò che la concezione materialista implica
per la sociologia della cultura è che la religione, i valori, l'arte, le idee, le leggi e la cultura in
generale sono i prodotti della realtà materiale. Come dice
Marx, i materialisti partono dall'assunto
che la direzione della causalità è dalla terra
al cielo e non dal cielo alla terra; la ricerca culturale,
pertanto, dovrebbe muoversi nella stessa direzione. Così, tutto ciò che esiste, dalle cose materiali
come gli alberi fino alla stessa cultura, sono prodotti sociali tutti generati da una base costituita
dall'economia e dalle forze materiali di produzione.
In base a questo Marx afferma
che la cultura,
il governo, la religione, la politica e le leggi erano tutte sovrastrutture poste su una base fatta di
forze materiali di produzione e delle loro fondamenta economiche;
non è la coscienza degli
uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro
coscienza
(Marx, 1978)
. In quest'ottica, la cultura e le idee
prevalenti
di una società riflettono la posizione della sua
classe dominante, e la presunta validità e universalità di tali idee permetterebbero alla classe stessa
di giustificare la sua posizione di preminenza. Le idee dominanti
presenti
in un determinato
contesto storico
non sono altro che il frutto di una
trasposizione
delle stesse idee all
‟
interno della
società perché, usando le parole di Marx,
“la classe che è la potenza
materiale
dominante della
società è in pari tempo la sua potenza
spirituale
dominante. La classe che
dispone dei mezzi di
produzione materiale dispone con ciò (...) dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad
essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione
intellettuale. Le idee dominanti (...) sono i
rapporti materiali dominanti presi come idee: sono
dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque
sono le idee del suo dominio”
(1975,
35
-
36)
.
Si può tuttavia constatare che a livello dell'ideologia
in
generale
si distinguono in realtà diverse
ideologie specifiche: di queste, alcune sono destinate a dominare su altre, le quali resteranno,
invece, un fenomeno marginale;
a
d emergere sulle altre saranno le ideologie che ricalcano gli
interessi dei gruppi
dominanti
nella società
(Hebdige 2000).
Il marxismo è stato il punto di riferimento per i teorici della Scuola di Francoforte, l'Institut
che
raggruppava al suo interno intellettuali le cui aree di pertinenza erano anche molto diversificate
tra loro; tra i fondatori si possono citare Adorno (1903
-
1969) e Horkheimer (1859
-
1973), i quali
sono tra i protagonisti, con Pollock e Marcuse, della Scuola attorno agli anni Trenta.
I teorici francofortesi sostengono il carattere giustificatorio proprio dell'ideologia: quest'ultima
si palesa nel momento in cui sussistono rapporti di potere non trasparenti oppure si
razionalizzano situazioni di interesse e di gruppo. L'alienazione
-
altro concetto sul quale Marx ha
sviluppato notevoli argomentazioni
-
secondo la Scuola di Francoforte
“arriva a violare spazi un
tempo riservati alla libera soggettività: il tempo libero, ad esempio, e la sfera dell'esercizi
o della
Kultur”
(Apergi 1977,
59). La nozione di
Kultur
può essere intesa secondo diverse significazioni
semantiche, anche se la Scuola di Francoforte ne riduce l'ampiezza a due accezioni:
“una nozione di Kultur di tipo descrittivo
-
analitico
. In senso largo Kultur designa l'intera
sfera sociale, nella totalità delle sue articolazioni, sia
“materiali”
, che
“spirituali”
. In senso
forte Kultur designa quei settori dell'attività sociale complessiva, i quali si presentano come
relativamente disarticolati dal processo di produzione della vita materiale. Horkheimer li
chiama:
Kulturgebiete
(sfere culturali) e li enuncia nella serie:
“abitudini, arte, religione e
filosofia”;
una nozione di kultur costruita con una forte coloritura assiologia positiva,
tanto da
diventare nozione normativamente connotata, con valenza di dover essere, speranza
utopica, progetto di emancipazione, in tensione eversiva rispetto all'esistente
(Apergi
1977,
96
-
97).
Tra i temi centrali dell'analisi della Scuola di Francoforte non vi è solo la
Kultur, ma la
Krisis
della
Kultur
stessa:
“uno dei motivi più ricorrenti è quello della critica al progresso culturale e alla
divaricazione a forbice che si aprirebbe (...) tra l'estensione sempre più quantitativamente rilevante della cultura da un lato, e il depotenziamento qualitativo della stessa dall'altro. Il
progresso materiale (Zivilisation) viene associato irreversibilmente al regresso culturale
”
(Apergi
1977,
97).
Appare qui evidente l'emergere del
carattere mercificatorio della cultura, cultura che
nelle parole dei teorici francofortesi sembra però conservare un certo grado di qualità se
accessibile da un bacino d
‟
utenza piuttosto ristretto, infatti
“la qualità (...) si lega alla limitata
estensione
quantitativa dei suoi destinatari sociali; mentre (...) un allargamento dei suoi
“
utenti
”
si converte inesorabilmente, in uno sgretolamento del contenuto trasmesso”
(Apergi 1977,
97).
Lukàcs, in un saggio del 1923
, asserisce
-
anticipando le posizioni della
stessa Scuola di
Francoforte
-
che
“
nel momento in cui [la cultura] assume carattere di merce nel sistema di
rapporti che la trasforma in merce, cessa anche la sua autonomia, la possibilità della Kultur
”
(Lukacs, 1923)
.
La tesi della cultura come ideologia
sostiene che
“
la cultura prospetta l
‟
immagine di una
società umana che non esiste; copre e dissimula le condizioni materiali su cui si eleva tutto ciò che
è umano e, con la sua azione calmante e consolatrice, contribuisce a mantenere in vita la cattiva
struttura economica dell'esistenza”
(Apergi 1977, 28)
.
Secondo Adorno e Horkheimer
(1966)
, l'ideologia capitalistica ha lo scopo di fissare e
modellare gli stati di coscienza degli individui, soprattutto attraverso i prodotti dell'industria
culturale
–
quali riviste, radio, televisione, cinema, letteratura di grande diffusione
-
che
strumentalizzerebbero le masse, impedendo così un uso critico dei mezzi di comunicazione di
massa. Si viene così ad implementare un
addestramento al conformismo
che giunge fino alle emozioni
più profonde dell'uomo:
“la categorica sconfessione della cultura diviene il pretesto per
promuovere quanto v'è di più sano e grossolano, che è esso stesso repressivo, e specialmente per
dirimere testardamente il conflitto che si perpetua tra società e individuo, che pure sono entrambi
condannati a morte, in favore della società secondo i criteri degli amministratori che di essa si
sono impadroniti”
(Adorno 1972,
19)
.
Gli autori della Scuola di Francoforte sviluppano
inoltre alcune teorizzazioni riguardanti la
sociologia dell'arte, sottolineando anche qui l'utilizzo dell'arte al fine di mantenere l'ordine sociale
costituito: la maggior parte della produzione artistica dipenderebbe, nell'analisi di Adorno
(1959)
e Horkheimer, dal potere dominante che sfrutta l'arte per distogliere l'attenzione della collettività
dai meccanismi repressivi in atto nella società capitalista
(Horkheimer, Adorno 1966)
.
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