Realtà: L’ISTAT certifica l’aumento della povertà assoluta
in Italia. I dati, riferiti al 2017, riguardano circa 5 milioni di
individui, l’8,3% della popolazione residente, in espansione rispetto al
7,9% del 2016 e al 3,9% del 2008. Le famiglie in povertà assoluta sono
1,8 milioni, con un’incidenza del 6,9%, in crescita di sei decimi
rispetto al 6,3% del 2016 (era il 4% nel 2008). La ripresa dell’inflazione
nel 2017 spiega circa la metà (tre decimi di punto percentuale)
dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta, la restante parte
deriva dal peggioramento della capacità di spesa di
molte famiglie che sono scese sotto la soglia di povertà (Fonte:
Presidente dell’ISTAT, Giorgio Alleva, in scadenza di mandato – 14
Luglio 2018 – con indennità di carica di 240.000,00 € lordi annui).
Complessivamente, si stima che nel 2017 siano in povertà assoluta 154
mila famiglie e 261 mila individui in più rispetto al 2016. Dal punto
di vista territoriale, i dati provvisori mostrano aumenti nel
Mezzogiorno e nel Nord, e una diminuzione al Centro. L’aumento delle
famiglie in povertà assoluta è, inoltre, sintesi di una diminuzione in
quelle in cui la persona di riferimento è occupata, e di un aumento in
quelle in altra condizione.
Inoltre, un milione di famiglie è senza lavoro, sono
raddoppiate in 10 anni. Nel 2017 in 1,1 milioni di famiglie italiane
“tutti i componenti appartenenti alle forze di lavoro erano in cerca di
occupazione”, pari a 4 famiglie su 100, in cui non si percepiva dunque
alcun reddito da lavoro, contro circa la metà (535mila) nel 2008. “Di
queste, – dice Alleva – più della metà (il 56,1%) è residente nel
Mezzogiorno. Nel complesso si stima un leggero miglioramento rispetto al
2016 (15mila in meno), ma la situazione al Sud è in peggioramento
(13mila in più)” (Fonte: ANSA).
Politica: … Ehm. Secondo il timbro col quale viene
pronunciata può sottolineare un moto di incertezza, di imbarazzo, di
incredulità, o di indifferenza, riassumere una larvata minaccia (Non si lasci scappar parola… altrimenti… ehm! aveva detto uno di que’ bravi
– “I promessi sposi” di A. Manzoni, 1827) o semplicemente servire di
avvertimento per qualcuno che parla a interrompere o cambiar discorso.
“Conservazione”, “progresso”. “Destra”, “Sinistra”. La verità oltre lo storytelling
«Ogni nuova verità nasce nonostante l’evidenza», Gaston Bachelard
Per avviare il discorso sulla “conservazione” nella
società contemporanea, si propone qui una riflessione sui cambiamenti
economico-sociali e politico-culturali in atto che riguardano,
prevalentemente, la forma e non la sostanza dei rapporti sociali.
Più precisamente, si ritiene che all’orizzonte non sia affatto
possibile scorgere nuove strutturazioni e/o ribaltamenti gerarchici
nella “composizione” [1] e “situazione” [2] di classe su scala
planetaria; semmai, alcuni aspetti di costume “politically correct” hanno distolto l’attenzione dai processi di emancipazione storico-sociale,
ritenuti ormai quasi inessenziali, considerata, con pervicacia
antistorica ed antiteorica, l’inalterabilità della dimensione mercantile
ed interdipendente delle formazioni economico-sociali nell’odierno
capitalismo globale [3].
Tra l’altro, le alternative di costume [4] –
apparenze fenomeniche di mutamenti affatto fondativi di un inedito
vivere sociale – non procurano gli effetti auspicati, bensì sono esse
stesse congegnate come perfettamente funzionali all’attuale
consolidamento del cosiddetto capitalismo post-borghese e post-proletario. Ecco perché la categoria filosofico-politica della “conservazione”
è quella che meglio s’adatta all’odierno scenario nell’interpretare le
tipiche dinamiche delle attuali formazioni economico-sociali. Infatti, “conservazione” non significa “inazione”, “immobilismo”, “stasi”, “blocco nostalgico”; palesa semanticamente, viceversa, l’azione del “mantenére”,
l’agire in modo che il presente, con le sue caratteristiche, duri a
lungo, perduri appunto, rimanga in essere e in efficienza; questa
accezione mette in rilievo l’intenzione, l’opera, i mezzi volti a tal
fine; evidenzia, dunque, il ruolo indispensabile della soggettività che
orienta i comportamenti nel far rimanere la situazione sociale in una
determinata stabile condizione, oltre la quale non vuole andare.
Le battaglie sociali di retroguardia – quelle sui
“diritti” sociali e politici, ad esempio –, rispetto a quella centrale
per il “potere”, sono diventate, quindi, veri e propri ostacoli
culturali per l’elaborazione di un pensiero e di una cultura
efficacemente anticapitalistiche e delle correlate prassi antagoniste.
Concentrare su questo tema – la “conservazione” – il
pubblico dibattito è arduo perché si rischia il fraintendimento o il
linciaggio da parte delle vestali della realpolitik ignare queste
ultime, in verità, del fallimentare problem solving connesso al
“pragmatismo” che avrebbe dovuto secolarmente generare.
Le critiche a questa analisi sono fin troppo chiaramente presenti
nella coscienza di chi scrive; tuttavia, rinunciare non favorirebbe il
superamento del pregiudizio tardo-illuminista, veicolato dal positivismo
e contrastato dal marxismo, secondo cui non potrebbe essere realizzato
se non ciò che storicamente si realizza. Scrive a suo modo, in
proposito, Il giovane favoloso (rif. al film del 2014 diretto da Mario Martone), Giacomo Leopardi (rif. al Canto XXXIV – La ginestra, o fiore del deserto, 1836):
Dipinte in queste rive Son dell’umana gente Le magnifiche sorti e
progressive. Qui mira e qui ti specchia, Secol superbo e sciocco, Che il
calle insino allora Dal risorto pensier segnato innanti Abbandonasti, e
volti addietro i passi, Del ritornar ti vanti, E proceder il chiami.
Distaccandosi dal lirismo, più in generale, le definibili magnifiche
sorti e progressive ci portano ad affermare che, secondo il pregiudizio tardo-illuminista,
l’umanità avrebbe operato indefessamente, pur nell’affiorare di
contraddizioni, pur nell’inevitabilità dei conflitti e del fiorire di
dilemmi teorico-pratici, per il progresso economico, tecnico,
scientifico, sociale e politico dei popoli. A questa errata convinzione è
necessario opporre domande obiettive riguardo alla realtà della
condizione umana 5 e sulla sua configurazione attuale circa il possesso
d’una specifica dimostrazione di verità sul raggiunto “progresso”. Pertanto, ci si propone di scomporre questi interrogativi in due delimitate questioni, che saranno affrontate in successione.
- La prima può essere così formulata: esiste una comprensione “obiettiva” dell’idea di progresso consegnataci dalla rivoluzione socio-culturale, prima che politico-istituzionale, dell’intraprendente borghesia del Settecento europeo? Esiste, cioè, un’ermeneutica super partes di questa nozione, capace di metterne in luce aspetti nuovi e originali rispetto a quanto farebbero l’organizzazione economica della società, la filosofia o le scienze, di chiarire eventuali ambiguità o esplicitarne meglio le implicazioni?
- La seconda quaestio alla quale si giunge è la seguente: può l’interpretazione di classe, il punto di vista partigiano, aiutare a comprendere i rapporti che intercorrono fra progresso economico-sociale, scientifico e progresso umano, la dinamica delle loro interazioni, ma anche le condizioni richieste per una loro convergenza?
In ambedue i casi ci si chiede, in definitiva, cosa il tempo presente possa aggiungere ad un ragionamento sul “progresso” e, specularmente, sulla “conservazione”.
Come chiosa a queste riflessioni, si riferisce la formulazione, per
certi versi la più avanzata nonostante l’aspetto feuerbachianamente
alienato, dell’idea di progresso decodificata come “sviluppo umano”: secondo la definizione dell’United Nations Development Programme, esso consiste in «un
processo di ampliamento delle possibilità umane che consenta agli
individui di godere di una vita lunga e sana, essere istruiti e avere
accesso alle risorse necessarie a un livello di vita dignitoso»,
nonché di godere di opportunità politiche economiche e sociali che li
facciano sentire a pieno titolo membri della loro comunità di
appartenenza.
Gli obiettivi generali dello sviluppo umano sono i seguenti:
* promuovere la crescita economica sostenibile, migliorando in
particolare la situazione economica delle persone in difficoltà; *
migliorare la salute della popolazione, con attenzione prioritaria ai
problemi più diffusi e ai gruppi più vulnerabili; * migliorare
l’istruzione, con priorità all’alfabetizzazione, all’educazione di base e
all’educazione allo sviluppo; * promuovere i diritti umani, con
priorità alle persone in maggiore difficoltà e al diritto alla
partecipazione democratica; * migliorare la vivibilità dell’ambiente,
salvaguardare le risorse ambientali e ridurre l’inquinamento.
Al posto degli indicatori che si riferiscono alla sola crescita
economica (come il prodotto nazionale lordo), che nulla dicono degli
squilibri e delle contraddizioni che stanno dietro alla crescita,
l’U.N.D.P. utilizza dal 1990 un nuovo indicatore di sviluppo umano (ISU o
HDI nell’acronimo inglese).
Bisogna riconoscere che corrispondere in maniera conoscitiva alle
problematiche poste va incontro ad alcune difficoltà. Nei riguardi della
prima, circa l’esistenza di una specifica ermeneutica teleologica di progresso, va osservato che molte delle visioni filosofico-politiche sul tema affondano le loro radici proprio nel pensiero classista borghese e in alcuni casi ne rappresentano sviluppi, ma anche derive e radicalizzazioni.
Sarebbe difficile scrivere una storia dell’egemonia economica e
culturale della borghesia, fino all’assetto globale della
contemporaneità, eterodiretto dall’Occidente, senza chiamare in causa
categorie originariamente elaborate dal processo rivoluzionario che ha
fatto i conti con l’ancien régime (ricordiamo che con il colpo di Stato
del 9 termidoro, il 27 Luglio del 1794, le vicende volgono verso altre
mete determinando l’ascesa di Napoleone); se non lo si fa è perché
queste vengono di solito implicitamente assunte, non più tematizzate
verificandone l’applicazione storica, o in alcuni casi perfino
espropriate dei loro originari significati.
In merito alla seconda domanda, quella inerente le eventuali luci che
i principi di uguaglianza, libertà e fratellanza, precocemente
abbandonati, avrebbero gettato sul rapporto fra progresso
economico-sociale, scientifico, tecnico e progresso umano, la difficoltà
nasce da alcune visioni oggi non più compresse e non più comprimibili
nell’ideologia della classe dominante, come ad esempio quella di una
supposta dialettica armonia fra ragione capitalistica e democrazia,
fra materialità dell’esistenza e sistema giuridico-valoriale, fra
scienza e umanesimo, fra poteri e popoli, che finisce col condizionare
anche la comprensione del rapporto fra ciò che è umanamente
rivendicabile e ciò che è ritenuto oggetto di immodificabile,
totalitaria organizzazione (secondo il criterio di naturalizzazione dei
fatti storici) dei rapporti di produzione e di riproduzione della vita
sociale. Desiderando sintetizzare, si può dire che la tela può più volte
essere dipinta, ma sempre all’interno d’una stessa cornice, mentre è il
perimetro del quadro oltre che l’effige a caratterizzarne la qualità;
nel caso in questione, l’estensione del capitalismo e la tutela di
società e natura (rif. a K. Polanyi).
Solo lasciando alla storia
e non alla storiografia la libertà di impiegare le proprie potenzialità
piuttosto che affidarsi alla retorica ed all’apparato teorico
categoriale, sarà possibile superare alcuni schemi predeterminati e
giungere perfino a suggerire, come si mostra in questo intervento, che progresso economico-sociale ed emancipazione umana
sono, per la ricerca non prezzolata, intimamente legati. Un vero
progresso non può che essere progresso sociale, ed una vera
emancipazione umana non può che includere in sé, come sua dimensione
costitutiva, un vero ed irreversibile avanzamento nelle forme storiche
dei rapporti sociali.
Pertanto, vigente tutt’ora il sistema capitalistico-borghese
[6] (i cui prodromi sono di epoca remota e affondano alcune delle
proprie radici nell’Europa tardo-medioevale, in particolare in quel
protocapitalismo finanziario e commerciale incarnato dalla figura dei
mercanti imprenditori e dalla fenomenologia dell’accumulazione
originaria), nient’altro si può affermare che la sussistenza strutturale
d’una compatibilità tra “conservazione” e regime politico planetario.
Tale compatibilità non è mai stata scalfita in oltre quattro secoli,
nonostante la legislazione sociale, il Welfare State universalistico, la
fuoriuscita nominale dallo schiavismo che autorizza alcuni a ritenere
avvenuto un miglioramento delle condizioni di vita senza precedenti
nella storia dell’umanità mettendo sotto silenzio in quali circostanze e
come avesse avuto origine e come continua tutt’ora l’accumulazione di
ingenti somme di danaro che sole hanno potuto avviare e consolidare la
grande produzione capitalistica e la “società di massa”.
Per valutare quale contributo la borghesia abbia recato all’idea di
progresso non è la concezione imprenditoriale della tecnica o del lavoro
umano che va messa a tema, perché un rapporto fra capitalismo e progresso
coinvolge comunque in primis la concezione della storia e della
libertà, e solo secondariamente l’emancipazione umana dallo sfruttamento
e la riconciliazione tra lavoro manuale ed intellettuale
nella generalità delle persone. Questo perché la “rivoluzione
borghese”, nell’ambito dell’affermazione definitiva del modello
capitalistico, ha sostituito funzioni ed inventato “figure” sociali, ma
non ha alterato la gerarchia del comando politico a difesa dei propri
interessi economici sussumendo, nella logica del profitto, le classi
subalterne.
Forgiata soprattutto nella “modernità”, l’idea di “progresso” contrapposta a quella di “conservazione”, viene ampiamente perfezionata nel Seicento da Francesco Bacone e da Cartesio,
allo stesso modo nel Settecento con la fondamentale stagione
illuministica che si immette nell’indirizzo di pensiero positivista di
Comte e trova, successivamente, un importante crocevia rappresentato
dall’Idealismo hegeliano il cui portato filosofico darà
più tardi origine a commistioni con le utopie veicolate nell’Ottocento
dal socialismo non scientifico. Nel crocevia idealistico-hegeliano
avviene la contaminazione di tutti i discorsi filosofico-politici
provenienti da altri “luoghi” teorici e delle diverse opzioni culturali
al punto tale da agevolmente incorporare nei pur disparati impianti
teorici lo sviluppo dello Spirito come concettualità aprioristica
assumendone, ciascun impianto, conseguentemente, i caratteri del
determinismo, dell’autorealizzazione e della totalità.
Il punto in questione è che tutte queste visioni, da Bacone fino alla “rottura epistemologica” (rif. a Gaston Bachelard e, in particolare, a Louis Althusser) di Marx,
nascono e prendono forma grazie a concezioni e categorie introdotte dal
superamento dell’oscurantismo medievale, o che hanno comunque in esso
le loro radici oppositive [7]. Inoltre, non poche delle risorgenti
utopie politiche o sociali dell’epoca moderna con propaggini nella
contemporaneità, anch’esse fondate sull’idea di progresso, si basano su
idee e concezioni proprie di un idealismo borghese alle quali però, come
da tempo è stato osservato (rif. a Romano Guardini ne La fine dell’epoca moderna,
1950), è rimasto solo il guscio esteriore e sono pertanto condannate a
esaurirsi o ad impazzire, venendo a mancare, a motivo del materialismo e
della secolarizzazione, la linfa spirituale che le sosteneva e che
generava con il misticismo logico l’equazione tristemente nota tra
“ragione “ e “realtà”.
Guardare l’andamento storico obiettivo delle vicende umane
significa fare esperienza del movimentato assetto della
“conservazione”, della conoscenza scientifica mediante la diuturna
osservazione dell’attitudine alla riconferma del potere classista
statuito, del recepire lo storytelling del comando sociale come
“conoscenza” delle contraddizioni e non come “l’adattivo ed omologante
racconto di un’esperienza”, efficace per manipolare le menti ottenendone
la subalternità e passività. La conoscenza operativa genera una
possibilità: avanzare alla volta di un effettivo oltre, dirigendosi
collettivamente verso un obiettivo di irreversibile liberazione.
Giovanni Dursi
Note
[1] Ci si riferisce all’elemento soggettivo, leggendo lo stesso
sviluppo capitalistico, la tecnologia, l’organizzazione del lavoro posto
come esito perennemente in divenire dei rapporti di forza tra le
classi; pertanto, l’accumulazione non è governata esclusivamente da
leggi oggettive, ma riflette il continuo gioco tra iniziativa del
capitale e comportamenti dei proletari. Come è stato osservato
(intervento di Salvatore Cominu all’incontro sulla “composizione di
classe” nel ciclo COMMONWARE di autoformazione di Piacenza, 3 Marzo 2014
), Sergio Bologna, all’epoca giovane militante e in seguito promotore
di una delle principali esperienze intellettuali del marxismo degli anni
Settanta, la rivista Primo Maggio, al precedente ciclo di incontri
COMMONWARE, ha fornito della composizione di classe la seguente
definizione“capire”: «la classe per come si dà “nel processo produttivo e
in rapporto con l’organizzazione tecnica, ma anche per cosa pensa, come
vive, di quali valori, desideri, aspettative è portatrice”. E
certamente l’idea che l’operaio taylor-fordista fosse diverso, per
valori, atteggiamento verso il lavoro, l’azienda, la professionalità,
dalla vecchia generazione in possesso di un “mestiere”, ha rappresentato
la principale intuizione politica dei Quaderni Rossi». Fonte:
COMMONWARE – GENERAL INTELLECT IN FORMAZIONE (web site).
[2] Si ritiene adeguata la seguente definizione: “Il sistema delle
disuguaglianze strutturali di una società, nei suoi due principali
aspetti: quello distributivo, riguardante l’ammontare delle ricompense
materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una
società e quello relazionale, che invece ha a che fare con i rapporti di
potere esistenti tra essi” (rif. A. Bagnasco, 1997).
[3] Rif. a “Capitalismo e globalizzazione”, di Nerio Nesi e Ivan
Cicconi, Prefazione di Luciano Canfora, biblio-sitografia e
contestualizzazione a cura di Giovanni Dursi, Koinè Nuove Edizioni, 2002
[4] In questa sede ci si riferisce alla potenzialità del classico
tradeunionìsmo di mobilitazione e di unificazione di diverse
soggettività sociali, all’interno della complessa organizzazione della
vita pubblica, la cui azione rivendicativa non intacca il carattere di
merce dei beni prodotti dal lavoro e delle relazioni di mercato che
vengono estesi anche a moneta, terra, ambiente, non più fuori dalla
produzione, alle attività di cura e sociali.
[5] Per approfondimenti, si propone la lettura di Mutamenti della
struttura di classe in Italia di Alberto Baldissera, il cui testo
integrale è in https://journals.openedition.org/qds/1470.
[6] Per capitalismo (termine entrato in vigore solo nei primi decenni
del XIX secolo) si intende un insieme di condizioni e relazioni
socioeconomiche quali: la proprietà privata dei mezzi di produzione; la
libertà di perseguire il profitto, in conseguenza dell’investimento del
proprio capitale nel giro degli affari, con criteri di razionalità e
quindi di efficienza; l’esistenza di una manodopera che vende al
capitalista la propria forza lavoro in cambio di un salario; il comando,
da parte del detentore del capitale, sulle modalità del processo
produttivo e di accesso dei prodotti stessi al mercato; la propensione
all’investimento di nuovi capitali per l’innovazione delle tecnologie;
la logica dell’allargamento del mercato come conseguenza del progresso e
come presupposto per l’accaparramento di materie prime; il
proseguimento e l’allargamento dell’impresa in un contesto globale
segnato dalla concorrenza tra imprese. Non vi è dubbio che il
capitalismo in quanto sistema assunse una sua fisionomia compiuta tra
XVIII e XIX secolo, durante la rivoluzione industriale, trovando la sua
più tipica espressione nella fabbrica come luogo di concentrazione delle
macchine, del ciclo di lavorazione e degli operai salariati inquadrati
in una definita organizzazione del lavoro. Di qui il concetto e la
realtà del capitalismo industriale.
[7] Sarebbe sufficiente una lettura dei capitoli centrali delle
Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel (postume, 1837) per
rendersene conto: qui la fenomenologia dello Spirito che si realizza
nella storia, giungendo alla sua autocoscienza come Assoluto, è spiegata
in costante dialogo, quasi in parallelo, con il fine soprannaturale
della religione cristiana, tanto il processo di perfezionamento ascetico
del singolo, come quello di universale glorificazione di Dio.
FONTE:
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