Il
termine occāsŭs vuol riferirsi, nel medesimo momento, al tramonto,
al declino, alla rovina, all'occidente e all'occasione. Tutte le
accezioni (… Niente di sorprendente accade a chi scrive. Si
muore pensando alle parole,
scrive, in LINGUE MORTE, con appassionato pragmatismo, l'autrice di
«Occāsŭs», Edizioni Tracce, Pescara, 2019), non tanto e
non solo per una perizia etimologica, sono dentro la silloge poetica
di Diomira Gattafoni, opera d'esordio contraddistinta da un'evidente,
fisiologica, originalità d'invenzione e di riflessione propria di
versi che l'autrice dona, cercando manifestamente un contatto non
banale con il lettore, cesellandoli in modo erudito.
I
componimenti fanno i conti, alludendo al fotogramma aurorale della
conseguita consapevole maturità di donna, con la scrittura smart
e performante di aedi improvvisati. I testi di tal fatta socialmente
egemoni, adatti all'attuale “mercato della bellezza” ed avvezzi
al permanente happing pseudoculturale,
sono messi in ombra, senza timore alcuno, dall'impegnativa tenzone
che Diomira Gattafoni con «Occāsŭs»
ingaggia vincendo su criteri di scrittura e lettura piegati
alla volgarizzazione dell'arte poetica come luogo di elitaria,
edonistica socializzazione e, fatto ancor più importante,
convincendo il lettore.
Il
paradosso d'una coraggiosa estraneità mai saccente che riverbera
autenticità e purezza, in modo sublime, viene così espresso in ANNI
LUCE: Sento
di non appartenere al mio tempo, Sento che il mio tempo non esiste.
Una menzogna intrappolata nell'etere, Una menzogna che non so
definire …;
le risonanze affettive e spirituali dell'essere nel mondo sono
intenzionalmente ed apprezzabilmente consegnate all'estro creativo.
Le immanenti “possibilità” della prosa poetica di Diomira
Gattafoni, quindi, si dispiegano ridisegnando ed arricchendo la gamma
di significati che raggiungono, per questa via, l'universalità del
sentire, emancipandosi, in forma gradualmente esuberante, dalla
robusta radice biografica.
I
ventisei componimenti brevi, alcuni brevissimi, quasi sperimentali
haiku, di Diomira Gattafoni,
infatti, sono densi, non solo letterariamente, non inclinano affatto
al compiacimento di invadenti committenti. Essi, non del tutto
estranei alla tradizione post-crepuscolare (… Sempre
amico imperfetto, Adesso aoristo disseminato di stelle cadenti …,
scrive Gattafoni ne IL TEMPO, lirica d'apertura della raccolta
oggetto della presentazione), si
candidano, altresì, ad indicare una coraggiosa possibile fuoriuscita
da un lungo processo di dissoluzione di forme artistico-letterarie
dominanti in Italia.
L'opera
cerca palesemente inediti sentieri verso universi linguistici
efficacemente votati all'apertura di “senso” del dire e della
narrazione poetica, ma – soprattutto – dell'esistenza (come
l'autrice verga con enfasi nell'aforistica SIGIR: Amicizia,
che grande parola, quella che unisce voi umani disumani. Terribile la
vostra storia di ipocrisia e di sopraffazione. Non c'è azione
innocua negli adulti che possa rispondere al solo Amore. Amore,
Amore, Amore ch'a nullo amato amar… Perdona! Chi perdona?),
in maniera anche spietata, morale, scuotendo lo spirito,
lodevolmente, senza concessioni alla “maniera”. Scrive l'autrice
in D’INCANTO: Vorrei fotografare
d'incanto Ogni scorcio adombrato Della tua anima. Sospirare ogni tuo
respiro Avvolta nel manto della tua presenza;
null'altro che conoscenza e frequentazione degli “altri”,
comprensione e confidenza indispensabili a ripudiare e contrastare
l'inerte ripetizione di aridi antropologici luoghi comuni.
«Occāsŭs»,
tuttavia, non esaurisce il suo pregio nella ricerca prospettica d'una
prosa poetica come indirizzo estetico nuovo; tutt'altro (citiamo
nuovamente, esemplificando, da ANNI LUCE: “ … Sento
di aver attraversato tutti i meandri del mio tempo. Quello rimasto
abita nel vuoto cosmico. Dimmi che non ti sto cercando invano, mia
amata Libertà
...).
L'autrice,
usa il linguaggio alto, aulico (come in IMITATIO IMITATIONIS con i
corroboranti, espliciti riferimenti a Diogene Laertio, Omero e
Tommaso Campanella; come in AΔΙΆΦΟΡΑ, con l'esaltante verso di
chiusa pregna di suggestione epica: ... La morte si profila
ecosistema che funziona a decomporre gli alibi dell'amore;
come
in [N]EGO o in LIMES VITAE ed altre liriche contenute nella raccolta)
non solo perché lo conosce perfettamente, ed è ermeneuticamente
attrezzata, bensì per riconnettere le sensibilità del presente,
devastato da sincopati neologismi e da prepotente colonialismo
lessicale, alle autentiche radici greco-latine ed etrusche dell'VIII
secolo a. C.; tali etimi scaturiscono dai vari antichi sermo
plebeius
trovando
nell’insieme delle varietà un coagulo di convergenze idiomatiche
tanto ancestrali quanto genuine in una lingua in grado di programmare
il riscatto del “dire” e del “pensare” dal reiterato rischio
dell'omologazione ideologica e dello stesso spazio intimo.
Uno
degli oggettivi pregi dell'opera risiede proprio nella mirabile
amalgama che i versi realizzano tra l'essenza immateriale (il
pensiero; il riferimento emblematico è alla splendida TOTENTANZ:
Leggevo
di un tronco legato alla scure di un desiderio ghiacciato. Il sole lo
strinse per il cuore di sughero condannandolo a bruciare. Il ghiaccio
che avvampa si chiama amore. Danza solitario il gas nobile gonfio di
nomi che sono stati vivi.)
e la dimensione tangibile (visibile e sonora) delle parole scritte,
come in SANGUE FREDDO (… Non
c'è nessuno con cui poetare
…),
in CATASTERISMO DELLA FINE (… Beviamo
il giorno, ingoiamo la notte con un nome buttato al vento degli
eventi
… Andiamo
nell’ombra dove il sole può violentare dove le tenebre resistono
inoffensive al vanto della luce che ci strugge perduti e vinti
...),
in DIVINA PAX ( … L'aroma
terso che attutisce la più cupa malinconia disarma la contesa ed
annuncia la pace dei sensi. L'armonico gusto è l'inestimabile meta
dal fulmineo approdo nel senso della pace: regno di satiro e di
baccante dell'autentica natura).
«Occāsŭs»
è l'opera che svela e trova Diomira Gattafoni pronta ad uscire dal
cono d'ombra rappresentato dai non-sense
costruiti
di Antonio Porta, dal solido “realismo” descrittivo di Elio
Pagliarani, dall'esuberante, infocata “narrativa poetica” di
Edoardo Sanguineti, intrisa di sapori concettuali e sarcastici, per
costituire una soluzione di continuità rispetto alla già corrosiva
lirica crepuscolare che ha saputo rifiutare la poetica dannunziana,
superomistica e mitizzante, preferendo cantare, in forme dimesse
e
colloquiali, la stanca condizione umana, o la chiusura nel proprio
silenzio personale. Diomira Gattafoni, al contrario, non intende
essere passiva rispetto al coriaceo potere della realtà, vuole agire
- conscia e insoddisfatta - su di essa, sulla falsariga
dell'incomparabile Ada Merini, a sua volta assimilabile allo stile
letterario di Dino Campana, procedendo per accostamenti di immagini –
riuscendo nell'ardua e gratificante saldatura di ῎Ερως,
πάϑος, ἦθος e
λόγος -, senza il sostegno di alcun stereotipato collegamento
logico, rivelando, viceversa, ad una seconda necessaria lettura,
un'identica “fantastica irruenza” saldata ad una genuina esigenza
narrativa che l'accomuna senza dubbio alla poetessa milanese.
In
LABIRINTO (… Pensieri
girovaghi si insinuano nell’antro di un uscio precluso. Prospera
l’anima autodistruttiva, apice di ogni negazione: ricordo che non
potevo volere … Spingevo più in là il destino di detenzione senza
sollevare l'ostacolo dell'inibizione
...),
la trentaduenne poetessa abruzzese condensa saggezza ed arte, il
saper fare e il saper diventare, la ragione che allontana e il corpo
che attira, in un guardarsi sincero dentro che diventa cifra
dell'umano trascorrere e fonte genuina della sua ispirazione.
Il
lettore resta attonito, rilegge avido e resta nell'entusiastica
attesa di altri capitoli a venire (… questo
occāsŭs
è
pien di voli ...,
Carducci) in un tempo non lontano nel quale il sole di questa
scrittura pare non debba tramontare.
Giovanni
Dursi
Il
testo qui pubblicato appare nel volume come postfazione