menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

sabato 30 aprile 2016

M I A: Fiera dell'arte fotografica a Milano

Dopo l’arte contemporanea e il design, a Milano scocca l’ora della Fotografia. Mercoledì scorso si è aperta l’undicesima edizione del Photofestival e venerdì 29 aprirà i battenti MIA Fair 2016, l’unica fiera italiana dedicata alla fotografia d’arte di respiro internazionale. Due appuntamenti che si presentano ricchi di importanti novità.

MIA PHOTO FAIR 2016 | 28 APRILE - 2 MAGGIO | THE MALL | PORTA NUOVA VARESINE, PIAZZA LINA BO BARDI 1, MILANO

Photofestival 2016: segni, forme e armonie


Il 2016 è, per Milano, l’anno del design e della creatività ed attorno a questi due temi ruota anche l’undicesima edizione di Photofestival che, in occasione della XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, ha scelto un titolo – “Segni, Forme, Armonie” – che vuole rendere espresso omaggio proprio al design, un mondo che ha un legame imprescindibile con la Fotografia e che è servito da stimolo per gli autori che si sono voluti confrontare con questo tema. La grande rassegna, promossa da AIF – Associazione Italiana Foto & Digital Imaging, animerà, fino al 12 giugno, tutta Milano, creando un percorso articolato che porterà la fotografia in tutta la città, con appuntamenti di grande qualità, quasi tutti aperti gratuitamente al pubblico.
Una foto di Michael Kenna. Al fotografo inglese è dedicata la personale che inaugura oggi presso l'Associazione Culturale Baricentro
Una foto di Michael Kenna. Al fotografo inglese è dedicata la personale che inaugura oggi presso l’Associazione Culturale Baricentro
L’undicesima edizione di Photofestival si articola in 120 mostre fotografiche distribuite in 80 sedi espositive tra gallerie, musei e spazi espositivi. 108 mostre sono in Città, di cui 10 nei Palazzi della Fotografia: Palazzo Bovara (Marco Lanza e Stefano Ferrante); Palazzo Castiglioni (Franco Donaggio, Renato Bosoni, Erika Zolli e Alessandro Giardini); Palazzo Giureconsulti (collettiva) e Palazzo Turati (Andrea Nannini, Paolo Barozzi e Jacopo Golizia). Altre 12, invece, si sono allestite nell’hinterland di Milano tra gallerie e spazi espositivi. Accanto ai nomi famosi (da Robert Doisneau a Oliviero Toscani, da Mario Cresci a Eadweard Muybridge, da Felice Beato a Michael Kenna ad Aurelio Amendola), figurano 12 fotografi esordienti assoluti alla loro prima personale. Da segnalare, infine, accanto alle 24 mostre collettive e alle 75 personali di autori maschili, la presenza di 20 personali di donne fotografe. Il catalogo completo delle mostre è disponibile sul sito del Photofestival che si presenta, peraltro, completamente rinnovato nella grafica e nei contenuti: www.milanophotofestival.it

MIA Fair 2016: nasce Collection MIA

80 gallerie provenienti da 13 diverse nazioni del mondo con 230 artisti esposti in 109 stand, e poi 16 editori specializzati e 16 artisti indipendenti: questi i numeri della sesta edizione di MIA Photo Fair, la fiera dedicata alla fotografia d’arte ideata e diretta da Fabio Castelli, in programma a The Mall, centro polifunzionale nel quartiere di Porta Nuova Varesine a Milano, da venerdì 29 aprile a lunedì 2 maggio 2016.  Confermato il format della fiera, che alla partecipazione delle gallerie – libere di esporre collettive o progetti monografici – associa Proposta MIA, con una selezione di fotografi che presentano il proprio lavoro individualmente. Il tutto accompagnato da un interessante programma culturale che, nel consueto focus dedicato al collezionismo, presenta tre appuntamenti speciali a cura di Sabrina Donadel, che nelle giornate di venerdì, sabato e domenica incontrerà tre coppie di collezionisti, compagni nella vita e uniti dalla passione per la fotografia: Pier Luigi e Natalina Remotti, Giovanni e Anna Rosa Cotroneo, Antonio e Annamaria Maccaferri.
Una vista dell'edizione 2015 di MIA Fair
Una vista dell’edizione 2015 di MIA Fair

Tra le principali novità di questa edizione: Collection MIA, vera e propria vetrina online di MIA Photo Fair. Per la prima volta, infatti, la fiera dà vita ad una piattaforma virtuale a misura di collezionista, rivolta sia a chi muove i primi passi nel mondo dell’arte sia a chi intende implementare la propria collezione. Collection MIA è un hub che crea connessioni tra il collezionista, il gallerista e l’artista, permettendo l’acquisto diretto di opere selezionate dai curatori di MIA Photo Fair ed esposte nelle varie edizioni della fiera. Il tutto nella piena garanzia delle transazioni, con la comodità di ricevere l’opera scelta, con relativo certificato di autenticità, direttamente a domicilio. Il sito sarà on line entro il 15 maggio 2016, espandendo quindi l’esperienza di MIA oltre il periodo canonico della fiera: www.collectionmia.com

sabato 23 aprile 2016

A proposito di Shakespeare Lives


Cosa è Shakespeare Lives?
Shakespeare Lives é un programma globale di eventi e attività volti a celebrare - nella ricorrenza del 400mo anniversario della sua morte -  l’influenza di uno dei maggiori drammaturghi e poeti mai esistiti.

Shakespeare Lives, è anche un modo di esplorare, attraverso varie realtà, l’eredità globale di Shakespeare, riflettendo anche su come le sue storie, i temi raccontati e il suo linguaggio siano ancora rilevanti nel mondo attuale, e come debbano restare centrali anche per le future generazioni.
Un’opportunità per milioni di persone  in oltre 140 Paesi, quindi, di partecipare attivamente, online e non, e fare esperienza diretta del lavoro di Shakespeare, grazie a nuove e innovative produzioni teatrali, film, mostre, letture pubbliche e risorse dedicate al mondo della scuola e all’istruzione nel suo complesso. 
I partner della campagna GREAT Britain a capo di Shakespeare Lives sono il British Council, il Ministero degli Esteri britannico, UK Trade and Investment e VisitBritain.
Come posso partecipare?
Uno degli eventi principali sarà un progetto di partecipazione di massa dove le persone di tutto il mondo saranno invitate a rispondere in modo creativo alle scene delle opere di Shakespeare. L’iniziativa culminerà con una reinterpretazione digitale dei lavori di Shakespeare da parte della comunità virtuale.
Tante altre opportunità di partecipare agli eventi e seminari di Shakespeare sono disponibili sul sito Shakespeare Lives
Segui l’evento su Twitter #ShakespeareLives.


Gli eventi Shakespeare Lives in Italia


Il British Council Italia presenta, durante tutto il corso del 2016, una serie di eventi che sono una parte integrante e particolarmente vivace del programma Shakespeare Lives.




A lecture on the nature of Shakespeare’s ten plays on English kings and their coverage of 400 years of power struggles.

William Shakespeare, chi era davvero il grande poeta?

A 400 anni dalla morte di William Shakespeare non si sa né il vero nome, né il viso, né la storia. Era comunque il più grande poeta... inglese? Forse. Italiano? C'è chi lo pensa. Ecco chi era davvero William Shakespeare.

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Nessuna certezza. Un ritratto di Shakespeare (1564-1616) che viene fatto risalire al 1610: molti ritengono perciò che sia l’unico dipinto “dal vero” del poeta inglese. In realtà non ce n’è certezza.
Tra gli studiosi c’è chi, analizzando la sua firma, ha sostenuto che non fosse neppure capace di leggere e scrivere. E uno studioso italiano afferma anche che Shakespeare non fosse altro che un prestanome di John Florio, poeta di origine italiane, attivo in Inghilterra nel '600.
Scaltro e ignorante paesanotto, socio di una fortunata associazione letteraria, o geniale autore dei drammi e dei sonetti che resero grande la letteratura inglese elisabettiana? Sono passati 400 anni dalla sua morte, eppure i misteri che avvolgono William Shakespeare (nato nell'aprile del 1564 a Stratford-upon-Avon e morto il 23 aprile 1616) continuano a infiammare accademici e studiosi. E il fatto che su di lui esistano solo pochissimi documenti non fa che aumentare la curiosità: il figlio del guantaio di Stratford-upon-Avon fu davvero l’autore di opere immortali come Romeo e Giulietta, il Mercante di Venezia, Otello? O il Dante d’Inghilterra è solo quella che lo scrittore Henry James definì nel 1903 “la più grande e più riuscita frode che sia mai stata realizzata nei confronti di un mondo paziente”?

La più fedele alle fonti resta la lapidaria biografia del critico letterario settecentesco George Steevens: “Nacque a Stratford-upon-Avon, si fece là una famiglia, andò a Londra, fece l’attore e lo scrittore, tornò a Stratford, fece testamento e morì”. Il resto solo ipotesi. Persino il suo volto resta un mistero: i dipinti e le sculture che lo raffigurano furono realizzati solo dopo la sua morte, da artisti che mai l’avevano conosciuto. Con una sola eccezione: il busto sul suo monumento funebre, fatto costruire dal genero nella chiesa della Santissima Trinità a Stratford, tra il 1616 e il 1622.

Dal sacco alla penna d’oca. Shakespeare vi appariva accigliato, con barba e baffi all’ingiù, le mani appoggiate su un sacco di grano. O almeno questo è ciò che si vede nei due disegni che ritraggono l’originale prima che venisse modificato, nel 1720, quando i critici ne avevano fatto il più importante autore della letteratura inglese. Allora il poeta assunse i lineamenti dell’uomo raffinato con il pizzetto che conosciamo: nella mano destra gli fu messa una penna d’oca, nella sinistra un foglio di carta.

Eppure il William dei documenti giudiziari e commerciali, gli unici finora rinvenuti, era molto più simile al rozzo commerciante barbuto: all’Università di Aberystwyth (Galles) si è scoperto che comprava grano durante le carestie per rivenderlo a caro prezzo, che era un usuraio e un evasore fiscale.

Questa mancanza di spirito filantropico è confermata dal suo testamento: nell’atto William non nomina alcun patrimonio librario, né fa accenno alle sue opere. Si concentra invece sui beni materiali, destinando alla moglie Anne Hathaway “il secondo letto con il mobilio”. Da qui nascono le speculazioni sul matrimonio infelice di Shakespeare. Chi vuol difendere l’onore del poeta, ricorda che all’epoca in una casa inglese il primo letto era quello degli ospiti, il secondo quello maritale: l’eredità sarebbe stata quindi un romantico ricordo della loro unione. Come il sonetto 145, in cui il verso “hate away”, letteralmente “lontano dall’odio”, richiamerebbe il cognome della moglie, cui sarebbe dedicato.

Le malelingue invece notano che quando la coppia si sposò (1582), Anne era già incinta della primogenita Susannah e che, forse, il suo era stato un matrimonio riparatore. Sappiamo poi che, dopo l’ulteriore nascita di due gemelli (1585), Shakespeare lasciò Stratford: pare lo avesse fatto per sfuggire al processo intentatogli da un signorotto che lo aveva pizzicato mentre cacciava di frodo (o, forse baciava la figlia del guardacaccia) nella sua proprietà.

Comunque siano andate le cose, è da questo momento che si perdono le sue tracce: come trascorse i cosiddetti “anni perduti”, tra il battesimo dei figli e la sua comparsa sulle scene londinesi (1592)?

William Shakespeare
Secondo un altro studio, sarebbe questo ritratto, ingrandito sulla copertina di un erbario del 1597, l’unico “dal vero” di William Shakespeare. | Reuters
Da stalliere ad attore. Le alternative ipotizzate dagli studiosi sono diverse: si aggregò a una delle compagnie teatrali capitate a Stratford intorno al 1587, cominciando così la sua carriera da attore, o impiegò quel tempo per farsi una cultura (sempre ammesso sapesse scrivere, come obiettano alcuni esperti che hanno studiato a fondo la sua firma)? «Più probabilmente, arruolatosi volontariamente o coscritto, dovette attendere la fine delle ostilità tra l’Inghilterra e i Paesi cattolici prima di trovarsi una qualsiasi occupazione a Londra, si presume nel 1589», afferma Corrado Panzieri, studioso di Shakespeare.

Come scrisse nel XVIII secolo uno dei suoi biografi, l’inglese Robert Shiels, William “era un giovane ridotto sul lastrico, che si guadagnava da vivere a Londra prendendosi cura dei cavalli dei gentiluomini che si recavano a teatro”. Shiels però aggiunge che, colpiti dalla sua parlantina, alcuni attori lo avrebbero raccomandato ai gestori del teatro, dandogli l’occasione di calcare finalmente le scene e di ottenere la fama, “più come scrittore che come attore”.

Nella capitale sarebbe rimasto fino al 1613, ma allora perché non intrattenne con i colleghi letterati scambi epistolari, allora diffusi quanto lo sono ora i post di Facebook? E perché alla sua morte nessuno scrisse un elogio funebre in sua memoria? Viene proprio da chiederselo: Shakespeare fu davvero il celebrato autore elisabettiano? Troppi dati non tornano, dicono gli esperti di ieri e di oggi. E infatti, fin dalla metà dell’Ottocento, gli studiosi hanno pensato di intravvedere fior di papabili autori nascosti dietro quel nome: fra i più famosi il filosofo Francis Bacon, lo scrittore Christopher Marlowe, il colto Edward de Vere conte di Oxford, la contessa Mary Sidney di Pembroke (sorella del poeta Philip) e persino la regina Elisabetta. Tutti inglesi, ovviamente. Tranne l’ultimo e attualmente più gettonato candidato: John Florio, letterato di origini italiane, docente a Oxford, con incarichi di prestigio alla corte della regina d’Inghilterra.

Aiutato dal padre. «La verità è che certezze non ce ne sono, ma una congerie di nuove informazioni ricavate dallo studio di documenti d’archivio, fa ritenere che chi scrisse quelle opere non fu Shakespeare. Potrebbe essere stato invece John Florio che, avvalendosi degli appunti, dei racconti e dei testi portati dall’Italia dal padre Michelangelo e grazie alla collaborazione della cerchia di colti parenti e amici e di altri drammaturghi emergenti, avrebbe creato le opere che oggi vengono attribuite al poeta di Stratford», dice Panzieri, cofondatore dell’Istituto di studi floriani di Milano e autore di una biografia sui Florio, in corso di pubblicazione.

Lo confermerebbero le tracce lasciate fra le righe delle tragedie shakespeariane: i neologismi inventati da John per le traduzioni inglesi delle opere italiane; l’ambientazione nelle nostre città e nei luoghi al di fuori dell’Inghilterra frequentati dal padre; le storie romanzate di personaggi che il colto fiorentino aveva conosciuto. Jane Grey, per esempio, regina d’Inghilterra per 9 giorni e allieva di John quando insegnava letteratura italiana presso la famiglia reale, ispirò a Michelangelo un racconto del 1561 da cui il figlio avrebbe tratto Romeo e Giulietta.
William Shakespeare
Shakespeare è un nome di fantasia? Il più celebrato drammaturgo di tutti i tempi secondo qualcuno in realtà non è mai esistito. Di lui, in effetti, si conosce ben poco. Ma ciò non significa che non sia stato un personaggio reale. I più dubbiosi si chiedono come potesse avere sviluppato una così grande abilità letteraria, data la sua estrazione sociale, e come avesse potuto acquisire conoscenze tanto precise di politica, legge, scienza e geografia, presenti nelle sue opere, non avendo viaggiato più in là di Londra. Forse, è la conclusione, non si trattava di una persona, ma soltanto di uno pseudonimo.
Solo un prestanome. Ma se furono i Florio a scrivere le opere, Shakespeare che c’entra? Gli italiani, suggeriscono gli studiosi, volevano mantenere l’anonimato: il padre, uomo di chiesa che aveva abbracciato il riformismo di Lutero, perché temeva ancora le persecuzioni dei cattolici; il figlio, uomo di prestigio a corte, perché all’epoca era considerato sconveniente firmare le opere del teatro popolare. Ed ecco cosa c’entra William. «Per venderle e rappresentarle avevano bisogno di un socio come Shakespeare: un tipo volitivo, concreto e intraprendente, già inserito nelle compagnie teatrali», nota l’esperto. La loro collaborazione però non sarebbe rimasta segreta: il drammaturgo Robert Greene, offeso dalle arie che si dava quel prestanome, denunciò in un libello l’arroganza di “un corvo appena venuto alla ribalta, che (...) benché sia in tutto e per tutto uno Johannes Factotum (per alcuni il soprannome di Florio), si crede il solo Shake-scene (“scuoti-scena”) del paese intero”.

Un segreto di Pulcinella, insomma, forse ancora sepolto fra i 340 volumi e gli scritti dei Florio. John, infatti, lasciò tutto in eredità al conte William III di Pembroke, ma tuttora gli eredi si rifiutano di aprire le porte della loro biblioteca agli studiosi. Forse, per continuare a difendere il falso mito letterario d’Inghilterra.


Maria Leonarda Leone per Focus 281

sabato 16 aprile 2016

NEMESIS Una storia del tempo antico: Il nuovo romanzo di Giancarlo Giuliani

Dopo  Diospolis, uscito l'ultimo romanzo di Giancarlo Giuliani, NEMESIS Una storia del tempo antico. Presentato al Mediamuseum di Pescara Lunedì 16 Maggio, alle 17:00, questo post è un’anteprima di “condivisione”.

Il corpo di Antifrasio giaceva lì…”. Così, con la vista del cadavere straziato del suo discepolo più promettente, si aprono le prime crepe nelle sicurezze e nel tranquillo mondo di Alessandro, Esegeta per eccellenza delle opere di Aristotele e professore di filosofia peripatetica prima nella cittadina periferica di Afrodisia e più tardi ad Atene. Ma si apre, contemporaneamente, anche l’indagine del filosofo, deciso a svelare l’identità dell’assassino e a mettere al sicuro dei misteriosi papiri che, a loro volta, sembrano all’origine della catena di delitti susseguitisi in città. Sullo sfondo, la riflessione sui temi della condizione e dell’agire umani, la domanda se siamo liberi o determinati e, soprattutto, che cosa significhi essere liberi. Alessandro riuscirà a risolvere il caso e, nello stesso tempo, a darsi una risposta che riparte peraltro dai personaggi all’apparenza più deboli della vicenda e che, invece, finiranno per rivelarsi i più forti, i più affascinanti e carismatici, in un rovesciamento non casuale. Al susseguirsi incalzante degli eventi corrispondono dunque uno scavo psicologico e un’analisi filosofica non meno appassionanti.

Giancarlo Giuliani è nato a Pescara, si è laureato in Lettere Classiche ed ha insegnato Italiano e Latino nelle scuole superiori.  Presente in varie antologie, ha pubblicato negli anni Ottanta un saggio di Sociologia dell'immagine. Dal caos incomposto trascinato sulla terra alla fine di un cupo 1947, ha trovato le ali tra le antiche pietre di L’Aquila, nella solitudine delle montagne, dopo aver rifiutato il fascino indistinto del mare. Parole hanno trovato forma compiuta e sono state consegnate alla lettura: maschera e viandante incappucciato nei mondi della fotografia e della saggistica, tra squarci di poesia, riconosciuto da molti, ignoto a se stesso. Ora l’alchimia è compiuta, in attesa del prossimo caos, e il Liber Alchemicus dona una pausa al viandante perenne. Ma passano i giorni e l’immagine di un libro misterioso, smarrito da tempi lontani, si fa sempre più viva, finché anche il Libro perduto trova la sua forma. Dopo un lungo silenzio, ha pubblicato alcune raccolte di versi: Ulisse non è mai partito (Roma, 2009); Liber Alchemicus (Pescara 2010); Libro Perduto (Pescara, 2011) e Caos ipermetrico (Chieti 2012). Nel 2012 ha pubblicato un radiodramma noir in 30 quadri, Bisturi (Pescara 2012). Nel 2013 esce il suo primo romanzo storico sulla figura di Pitagora giovane: Diospolis (Chieti 2013)

Bibliografia:

Dentro e oltre le parole (antologia/rapporto) Palermo 1980

Quotidiano indicibile (antologia/rapporto) Palermo 1980

Quale immagine? (note sul ruolo della fotografia nella società attuale) Pescara 1980

Ulisse non è mai partito (poesie) Roma 2008

La parola che ricostruisce (antologia) Pescara 2010

Liber alchemicus (poesie) Pescara 2010

Libro perduto (poesie) Pescara 2011

Bisturi (radiodramma in 30 quadri) Pescara 2011

Caos ipermetrico (poesie) Chieti 2012

Diospolis (una storia del VI secolo a.C.) Chieti 2013

L’0mbra di N. (radiodramma in 26 quadri)  Chieti 2014


Traduzioni:

Alano di Lilla, Quasi Liber, Roma 2013

Alano di Lilla, De Planctu Naturae (ebook), Roma 2013

Arthur Schnitzler, Der Schleier der Pierrette, Roma 2014



NEMESIS Una storia del tempo antico
Presentazione di Giovanni D'Alessandro
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-490-8]
Pagg. 112 - € 10,00

Avatar. Penelope Chiara Cocchi

La ricerca artistica di Penelope, che da anni indaga sul rapporto con la natura, sviluppa per AVATAR una riflessione sull’origine della musica intesa come spontanea (naturale) risposta dell’essere umano alla sua esistenza. Penelope parte, quindi, da interrogazioni filosofiche sull’origine della musica e di come essa sia scaturigine spontanea della natura in relazione dialettica con quanto di elevato e spirituale sia stato compiuto nell’arte dalla cultura umana. 
Per Penelope la musica e l’arte sono germinazione diretta della natura, non copie di essa, ma una sua spontanea manifestazione.
Storicamente l’origine della musica non è certa, tuttavia si può pensare che essa sia nata per scopi sociali o per esprimere il sentimento del sacro, appena l’uomo scoprì la possibilità di produrre rumori. La natura è, dunque, la musa delle arti, nata agli albori dell’umanità.
Etimologicamente Musica (musikè) significa “arte delle muse” in grado di donare all’uomo la possibilità di trasformare la semplice aria in qualcosa che trasporta gli animi ben oltre i sensi, capace di incantarli ed elevare spiritualmente l’uomo.Il progetto di Penelope per il Museo della Musica non è inteso come una semplice esposizione di opere, ma come un evento multisensoriale in cui lo spettatore è parte attiva all’interno di un viaggio della mente tra pittura, installazioni ed opere multimediali.
Il visitatore della mostra verrà introdotto in una dimensione altra, un viaggio in cui ogni stanza sarà una scoperta ed una differente esperienza sensoriale tra suoni, sculture, installazioni.A supporto e completamento dell’installazione, Penelope realizza uno speciale libro d’artista che reifica e oggettivizza tale confronto tra istanza mitologica - archetipica - e successive trasformazioni: immagini, citazioni filosofiche e letterarie e riflessioni individuali si mescolano all’interno di un personalissimo coté artistico.

Penelope
, nome d’arte di Chiara Cocchi, nata nel 1983 a Cento (FE), vive e lavora tra Bologna, la Florida e la California. Concentra la sua ricerca artistica sul più importante tema sociale della nostra era: il rapporto tra l’uomo e la natura. L’artista è Ulisse quando viaggia e riempie i suoi occhi di meraviglia. Diventa Penelope quando chiude la porta del suo studio e trasforma quella meraviglia in arte.Penelope cuce le sue storie coi viaggi che la portano a girare il mondo, organizzando mostre site-specific. L’interazione con gli spazi e la cultura del luogo sono fondamentali per la nascita delle sue opere.È rappresentata da: Nina Torres Fine Art, Miami, USA; Rudolf Budja Gallery, Miami, USA; Geras Tousignant Gallery, San Francisco, USA; Venice Art Factory, Venezia; Arte+, Bologna.


Prenotazione visite guidate con l'artista su penelopearts.com 

La mostra è realizzata con il sostegno di Zarri s.r.l.; Cassa di Risparmio di Cento; Tipografia Altedo; Fonoprint; Casale Bauer; Enoteca Il Giacchero.

 Opening con l'artista venerdì 15 aprile ore 19
Presentazione del Libro d'artista con la partecipazione di Marcello Mariani che interpreterà al pianoforte le opere in mostra


Dal 16 Aprile 2016 al 15 Maggio 2016 Bologna

Luogo: Museo Internazionale e Biblioteca della Musica

Curatori: Olivia Spatola

Enti promotori:
  • In collaborazione con Istituzione Bologna Musei | Museo internazionale e biblioteca della musica

Costo del biglietto: ingresso incluso nel biglietto del Museo

Telefono per informazioni: +39 051 2757711


domenica 10 aprile 2016

Tra homo patiens e homo sapiens

Essere, agire, patire: l'anomali della finitezza - Un saggio di Luigi Alici
 
« “Fuori splendeva il sole e la gente sbrigava le solite faccende d’ogni giorno. Una donna si precipitò. Un’altra stava rientrando con la spesa. Nella mente di Charlotte si affollavano mille domande: Quanto tempo ci resta ancora ? Come supereremo le difficoltà ? E come pagheremo i conti ? Dal canto suo il mio vecchio professore era strabiliato dalla normalità di quanto vedeva intorno a sé: Non dovrebbe fermarsi il mondo? Non sanno quel che mi è capitato ? 
Ma il mondo non si era fermato, era rimasto completamente indifferente e, mentre apriva fiaccamente la portiera della macchina, Morrie si era sentito sprofondare in un baratro” (citazione da M. Albom, I miei martedì col professore. La lezione più grande: la vita , la morte, l’amore, tr. it. di F. Bandel Fragone, Rizzoli, Milano 1998, p.16). Con questa toccante annotazione ci viene descritto il primo incontro di Morrie Schwartz con il male che lo avrebbe ben presto portato alla morte; un incontro dal quale, tuttavia, egli sarebbe riuscito a ricavare e trasmetterci una esemplare lezione di vita. [. . .] Siamo in ogni caso ricondotti, attraverso questi riferimenti, ad una corporeità che s’annuncia come una sorta di linea vivente di frontiera tra la dimensione dell’essere e quella dell’avere: il ‘corpo che abbiamo’ e il ‘corpo che siamo’ attestano una duplicità, una sorta di ambivalenza originaria, che dischiude, come ci ricorda Marcel, l’orizzonte del metaproblematico. [. . .] ».



sabato 9 aprile 2016

Sex secondo Bedri Baykam

Un romanzo provocatorio, scabroso, sfacciatamente maschilista, che ha previsto con dieci mesi di anticipo i fatti dell’11 Settembre

Il libro
Un fotografo che cerca di ridurre la propria vita a un puro sguardo e che non può fare a meno di espugnare ogni orifizio delle sue amanti.

Un miliardario che, in attesa di conquistare il mondo, sborsa cifre vertiginose per portarsi a letto qualunque donna incontri.
Una ricercatrice che domina ogni campo di una scienza in evoluzione spasmodica. Il tutto in una dimensione parallela, dove una Turchia di inizio Millennio è il primo paese al mondo per civiltà e sviluppo. Personaggi in stallo per scelta e supereroi; nausee esistenzialiste e necessità di marcare il territorio; estetiche da comics di fantascienza anni ‘50 e anime anni ‘70, trash, fetish, cyber-punk e paesaggi ossianici; la paura della morte, i limiti della scienza, l’amore per una lolita come unica chance di fermare la vita sul fotogramma più intenso e l’esigenza di andare avanti, di scoprire, di sapere. Baykam condensa in Sex tutti i cliché e le contraddizioni di un secolo, il Ventesimo, troppo grande per essere contenuto in cento anni.
L'autore
Artista di fama internazionale (paragonato in patria a Andy Warhol), scrittore, intellettuale scomodo, Bedri Baykam è nato nel 1957 ad Ankara, in Turchia. Figlio di un membro del parlamento turco e di una madre architetto e ingegnere, ha iniziato a dipingere prestissimo e a soli sei anni le sue opere erano già esposte a Berna, Ginevra, Vienna, Parigi, New York, Washington, Londra, Roma, Monaco, Francoforte, Stoccolma, facendogli guadagnare la fama di ragazzo prodigio. 

Ha studiato a Parigi, conseguendo un MBA alla Sorbona e frequentando un corso di arte drammatica all’Actorat. Dopo essersi trasferito negli USA e avervi studiato per parecchi anni, ha fatto defi nitivo ritorno in patria nel 1987. Attualmente vive a Istanbul, con la moglie e il fi glio. Sex, vero e proprio romanzo scandalo, posto sotto sequestro dalla magistratura turca in quanto definito “osceno, indecente e pericoloso”, e successivamente riabilitato, ha ottenuto un grandissimo successo di vendite e di pubblico ed è stato tradotto in numerosi paesi.
INCIPIT

Una recensione (By Sergio G. Caredda) - Nel 2000 quando è uscito in Turchia, il libro “The Bone”1 di Bedri Baykam fece scandalo, e ne fu immediatamente bloccata la circolazione, in quanto giudicato “osceno”. Solo successivamente fu riabilitato, anche se dopo una lunga diatriba legale, e si avviò a divenire un caso2. Innanzitutto pittore e performer, Bedri Baykam, natp ad Ankara nel 1957, è celebre in Turchia per il suo anticonformismo e la sua arte di frontiera. Quando nel 2000 decise di dare alle stampe (peraltro in privato) questo libro, l’idea era chiara: mettere alla prova la laicità e la tolleranza di uno stato, quello Turco, attanagliato da mille contraddizioni.

“Sex” è un romanzo porno-fantascientifico, in cui si alternano scene di sesso gratuite e volgari, a scenari di fantapolitica sia domestica che internazionale. Il mondo in cui si muove Selim, personaggio centrale del libro, è un mondo in cui la Turchia ha un posto centrale nell’economia, un posto dove Bill Gates è diventate presidente degli Stati Uniti (ma ce l’ha ancora con Saddam Hussein), un posto dove, purtroppo, i paesi poveri si fanno la guerra a suon di testate nucleari, dove a Cuba governa Ernesto Che Guevara e dove un Boeing 797 si schianta sulle Torri Gemelle di New York a seguito del suicidio del pilota, deluso in amore.

La copertina riporta la seguente frase:

Un fotografo che cerca di ridurre la propria vita a un puro sguardo e che non può fare a meno di espugnare ogni orifizio delle sue amanti. Un miliardario che, in attesa di conquistare il mondo, sborsa cifre vertiginose per portarsi a letto qualunque donna incontri. Una ricercatrice che domina ogni campo di una scienza in evoluzione spasmodica. Il tutto in una dimensione parallela, dove una Turchia di inizio Millennio è il primo paese al mondo per civiltà e sviluppo. Personaggi in stallo per scelta e supereroi; nausee esistenzialiste e necessità di marcare il territorio; estetiche da comics di fantascienza anni ‘50 e anime anni ‘70, trash, fetish, cyber-punk e paesaggi ossianici; la paura della morte, i limiti della scienza, l’amore per una lolita come unica chance di fermare la vita sul fotogramma più intenso e l’esigenza di andare avanti, di scoprire, di sapere. Baykam condensa in “Sex” tutti i cliché e le contraddizioni di un secolo, il Ventesimo, troppo grande per essere contenuto in cento anni.
Gli scenari trascendentali e onirici ci sono tutti, un po’ cyber-punk, un po’ trash, un po’ legati ad un’ossessione sessuale esasperata. Sebbene non riesca certo a considerarlo un capolavoro della letteratura, credo che il libro vada contestualizzato nella cultura della sua provenienza. I richiami continui alla politica locale turca sono evidenti, e l’intero romanzo sembra assumere i contorni di un graffiante j’accuse contro il rischio, sempre più concreto, di una Turchia meno europea e più islamica.
E allora nella mente dell’artista (si nota la sua provenienza dalla arti visive in molti tratti del libro) si dispiega il disegno di rappresentare il riscatto attraverso l’eccesso, sotto tutti io punti di vista: disegnando un mondo in cui tutto (o quasi) gira attorno al sesso, in cui uno dei divertimenti praticati nei casinò è la “Roulette Russa”4, ma anche un mondo che sembrerebbe aver fatto meglio i conti col proprio passato (lo Stadio di Istanbul risulta, nel libro, intitolato al poeta Nazim Hikmet). L’intento catartico è evidente, ma forse non pienamente comprensibile ad un lettore, quello italiano, che non comprende più della metà dei personaggi turchi citati (di certo non a sproposito) nel testo. La storia, alla fine, è inconsistente, sfilacciata, fatta di lampi e sprazzi ma con l’assenza di un filo rosso. Anzi, questa assenza motiva ancora di più a cercare la forza di questo libro nella sua testimonianza profonda dell’esistenza di una Turchia laica, democratica, moderna. In definitiva, un libro dalle tinte forti che forse non piacerà a tutti (a meno che non si cerchi la dimensione pornografica), con un contenuto leggibile a più livelli, in ogni caso dirompente.

Basaglia, la rivoluzione dell'inclusione (By Luca Spanu)

L’11 marzo 1924 nasceva a Venezia Franco Basaglia.

A 92 anni di distanza, l’anniversario della sua nascita è l’occasione per sfogliare “L’Istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2000”, curato da Franco Rotelli. 
Rotelli, successore di Basaglia alla direzione del manicomio di Trieste e poi direttore generale dell’Azienda sanitaria della città friulana, ripercorre in questo imponente volume, a volte un po’ troppo oscuro per il lettore medio e con un po’ troppi refusi, le intense vicende che portarono alla chiusura dell’ospedale psichiatrico triestino. In realtà il lavoro di Rotelli nasce dall’esigenza di testimoniare la complessità dell’esperienza di Trieste, non tanto concentrandosi sul periodo della rivoluzione basagliana (di cui già esiste una ricca storiografia) quanto ricordando ciò che è successo dopo la promulgazione nel 1978 della legge 180, quando c’è stato da “inventare” l’istituzione, dopo averla, giustamente, “negata”. Il succedersi di fatti, testimonianze, citazioni di Basaglia e cronache, suscita un turbine di emozioni e di riflessioni. La storia che ci viene raccontata da Rotelli è la storia della lotta contro ciò che sembrava inattaccabile e che da secoli distruggeva identità e dignità umana. E fu anche e soprattutto una storia di coraggio, di quell’immenso coraggio che ti porta innanzitutto a mettere in discussione te stesso, il tuo potere, il potere del tecnico. È stata certo una liberazione dei matti ma anche e soprattutto, come ricordavano Basaglia e Sartre, liberazione dell’intellettuale e presa di coscienza del suo essere ingranaggio del sistema, del suo essere complice della negazione dell’uomo. Nelle pagine dell’almanacco troviamo la violenza psichiatrica, l’oppressione, la contenzione fisica, le reti, ma anche l’intenso lavoro, la passione, il clima febbrile e i conflitti di chi si sta rendendo conto, in quel momento e in quel posto che, pur tra mille resistenze, si sta facendo qualcosa d’importante. Si sta cambiando il mondo dalla periferia del mondo. Si sta per diventare un modello destinato a essere ammirato e a insegnare la sconfitta dello stigma e una nuova psichiatria a giovani medici brasiliani, argentini, greci. Trieste, terra di confine da cui si superano altri confini, è il teatro dove si distruggono le istituzioni totali e vi sostituisce rispetto e produzione di cultura e creatività, diviene il luogo in cui concetti troppo spesso astratti si concretizzano in lotta sul campo: partecipazione, democrazia, diritti, cittadinanza, inclusione, smettono di essere involucri vuoti. Rotelli rivendica giustamente il merito che quella parola, inclusione, fa parte oggi delle agende di molti governi e di organismi internazionali, ma ci ricorda che allora tutto doveva essere conquistato e lo fu a caro prezzo, passando per infamie, processi, momenti di tensione. E la psichiatria è stata soltanto il punto di partenza per una più generale discussione e organizzazione del modello sanitario triestino, l’inizio di una de-istituzionalizzazione e di de-ospedalizzazione che lentamente sono andate avanti, seguendo un concetto di territorialità, di cittadinanza attiva grazie all’attività di una molteplicità di soggetti diversi: medici, operatori sociali, associazioni culturali, cooperative, anche di ex internati. Se la battaglia è stata vinta, certamente la guerra è ancora lunga.

http://www.istituzioneinventata.it/


Si racconta qui, con parole e immagini l’esperienza di un vasto gruppo di persone che, a Trieste, dapprima con Franco Basaglia e poi per trent’anni dopo la sua morte, ha cambiato la storia delle istituzioni psichiatriche non solo in Italia. Scriveva Enzo Paci nel 1968: “La contraddizione tra istituzioni chiuse e istituzioni aperte è forse la dialettica fondamentale della nostra epoca.”
Tutta l’ esperienza qui raccontata si muove dentro quella dialettica.“Rotelli racconta nella Istituzione inventata/Almanacco. Trieste 1971-2010 l’esperienza collettiva per cui – pezzo dopo pezzo, atto dopo atto – vengono soppressi i luoghi classici, gli spazi chiusi della follia e si snoda e libera il lento riscatto dei protagonisti del disagio psichico, della anomalia e della marginalità – dall’isolamento familiare e sociale, dalla marginalità ribelle e povertà, alla quotidiniatà comunitaria. E si rifonda il sistema sanitario complessivo”.
P. Del Giudice

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