menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

giovedì 31 marzo 2016

I murales di Blu, o cosa ne pensiamo oggi della distruzione dell’arte [By Graziano Graziani]

Quando si parla di opere d’arte distrutte, cancellate, la prima cosa che viene alla mente sono le epurazioni naziste della cosiddetta “arte degenerata”, i roghi di libri che hanno ispirato un grande classico come Fahrenheit 451 o tutt’al più l’atto sconsiderato di un vandalo. C’è la possibilità che la soppressione di un’opera d’arte cambi segno e diventi un gesto politico? Sembrerebbe di sì, se a farlo è lo stesso artista che ha creato l’opera, e se lo fa con un obiettivo preciso. Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre a Berlino sono scomparsi due grandi murales di Blu, artista italiano considerato tra i più importanti della street art internazionale. A riportarlo è un quotidiano berlinese on line in lingua italiana, Il Mitte, che già il giorno dopo avanza l’ipotesi che sia stato lo stesso artista a procedere alla cancellazione di “Chains” e “Brothers”, due opere che campeggiavano dal 2007 e  dal 2008 su quello scorcio di Kreuzberg, diventandone un segno distintivo.

Blu conferma su suo blog. Cosa è successo? Semplicemente: la città sta cambiano di segno, l’area sta subendo una gentrificazione massiccia e in quel punto di Cuvrystraße che affaccia sul fiume Sprea – dove fino a poche settimane fa risiedeva un “villaggio autonomo” di senza tetto e artisti oggi sgomberato – tra non molto verranno costruiti appartamenti di lusso. Blu, che da sempre utilizza la sua arte a sostegno e valorizzazione delle occupazioni (se fate un giro a Roma a via del Porto Fluviale trovate un bell’esempio) ha semplicemente scelto di anticipare quello sarebbe stato il probabile destino dei due lavori: la cancellazione. C’è anche chi sostiene la possibilità che le due opere potessero essere “inglobate” nella metamorfosi di quel pezzo di città, divenendo elemento decorativo e di una Berlino più “cool”, e che dunque Blu avrebbe voluto con la cancellazione sottrarre le due opere a questo destino. Si parlava infatti della costruzione di appartamenti con vista panoramica su quello scorcio di Sprea. Quale che sia la ragione, oggi su quei muri si può vedere soltanto una tinta nera uniforme.
La cancellazione di un’opera d’arte è qualcosa che ci impressiona. Siamo abituati a pensare all’arte come a un bene dell’umanità che va preservato ad ogni costo (e spesso è davvero così). Certo, nel caso della street art la scomparsa di un’opera va messa in conto, le città e i loro muri cambiano, sono soggetti alle intemperie a alla speculazione. Ma nel gesto volontario di Blu c’è un aspetto che ha a sua volta dell’artistico, che completa il senso delle sue opere – che sono apertamente schierate. C’è la volontà di sottrarsi al meccanismo che ingloba l’arte e la ricontestualizza nel mercato.
Una sottrazione che, all’epoca della grande influenza delle teorie sul postmoderno sembrava inapplicabile: non esiste un “fuori”, e questo ci autorizza ad ammiccare al “dentro” in una confusione di posizioni che rende impossibile qualsiasi presa di posizione. Mi ha ricordato, il gesto di Blu, l’incipit di uno spettacolo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, “Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni”, a cui proprio ieri a Milano è stato assegnato il Premio Ubu come miglior novità drammaturgica. Anche lì si esordisce con una sottrazione, con un “no”. Gli attori entrano e spiegano al pubblico che non è stato loro possibile “rappresentare” quello che volevano rappresentare: la morte di quattro pensionate greche, suicide a causa della crisi e della conseguente impossibilità di condurre un’esistenza magari povera ma dignitosa.
L’immagine è tratta da alcune pagine di un romanzo, L’esattore dello scrittore greco Petros Markaris, e per quanto non sia una vicenda reale è resa in modo tale da essere comunque dirompente. Ma il meccanismo spettacolare si interrompe prima ancora di cominciare. Gli attori – che sono anche autori – si sottraggono alla rappresentazione dell’immagine e si lanciano in un ragionamento scoperto assieme al pubblico. Ovvio, si tratta di un artificio, siamo pur sempre in teatro e lo spettacolo è stato pensato come tale. Eppure qualcosa si sposta: l’opera, prima che oggetto di consumo o spettacolo, torna ad essere pensata come un processo che tiene in considerazione il contesto e le persone che la guardano.
Parliamo dunque di sottrazione e non di distruzione anche per le opere di Blu. L’iconoclastia, con il suo potenziale di scandalo nel contesto della società dell’immagine, può facilmente strizzare l’occhio all’iconolatria (come ha segnalato il critico Attilio Scarpellini). La distruzione di opere d’arte praticata dallo “young british artist” Michael Landy nel 2010 ha trovato, e giustamente, il suo posto presso la South London Gallery. Ora, non penso che la sottrazione sia la soluzione a tutti i mali: si può tranquillamente continuare a dipingere e a fare teatro. È però un segnale interessante, che ci dice che l’arte può tornare ad essere politica non perché si ispira a principi astratti, ma perché si pensa tale rispetto ad un contesto. E rispetto alle persone che quel contesto lo vivono quotidianamente.
Fonte: MINIMA&MORALIA
http://www.minimaetmoralia.it/wp/

G T

Gianmaria Testa, classe 1958, viveva nelle Langhe in Piemonte, eppure c’è voluta la Francia per scoprirlo (Nicole Courtois Higelin, la sua prima produttrice francese) ... Da quando ha mandato al Festival di Recanati la sua cassetta registrata chitarra e voce, vincendone il primo premio una prima volta nel ’93 e poi di nuovo nel ’94, sono passate un bel po’ di cose: sei dischi -Montgolfières (1995), Extra-Muros (1996), Lampo (1999), Il valzer di un giorno (2000), Altre Latitudini (2003) e l’ultimo Da questa parte del mare (2006)-, più di 1500 concerti in Francia, Italia, Germania, Austria, Belgio, Canada, Stati Uniti, Portagallo, quattro serate tutte esaurite all’Olympia e una lunga teoria di articoli omaggianti sui principali giornali (“Le Monde” in testa).
In Italia il percorso è stato un po’ più complicato e difficile perché condotto davvero senza compromessi, con pochissime apparizioni Tv o passaggi radiofonici e nessun tipo di pubblicità. La sua vera forza è stata ed è ancora il passaparola. Chi va ad un suo concerto non riesce a dimenticarlo: l’emozione nasce palpabile e si divide tra tutti; Gianmaria scherza coi suoi musicisti ed è naturalmente comunicativo; i testi sono belli, sono semplici, sono piccole poesie che parlano della vita e che vivono anche al di là della musica; e lei, la musica, insieme ad una voce che si muove tra rauche asprezze e teneri velluti, i testi li trasporta, li puntualizza, li sottolinea.

Perché le cose cominciassero a cambiare anche in Italia c’è voluto -paradossalmente- Il Valzer di un giorno, quarto disco della sua carriera e il primo di produzione totalmente italiana, che è forse il suo lavoro più ‘difficile’: canzoni riportate alla loro forma più nuda ed essenziale, due chitarre e voce soltanto.

A seguito dell’uscita del disco, nella Stagione 2000/2001 Gianmaria Testa ha realizzato una tournée che l’ha portato in alcuni dei più importanti e prestigiosi teatri italiani: dal Teatro Regio di Torino al Valle di Roma, dal Duse di Bologna, alla Pergola di Firenze, per non citarne che alcuni.

Nel marzo 2001 Il valzer di un giorno è uscito anche in Francia e nel resto d’Europa con l’etichetta Harmonia Mundi, riscontrando un unanime consenso di critica e pubblico. Ad oggi ha superato le 100 mila copie vendute in tutta Europa.

Moltissime le collaborazioni con altri musicisti italiani del jazz e del folk: da Gabriele Mirabassi e Enzo Pietropaoli a Paolo Fresu; da Rita Marcotulli a Riccardo Tesi (col quale ha dato vita al “Progetto Saramago”, una sorta di omaggio al grande nobel per la letteratura); da Enrico Rava (insieme al quale ha presentato con grande successo per Fuorivia Guarda che luna!, spettacolo dedicato alla figura di Fred Buscaglione che ha visti protagonisti, oltre a loro, la Banda Osiris, Stefano Bollani, Enzo Pietropaoli e Piero Ponzo) a Battista Lena per il quale ha fatto la voce recitante e ha cantato nel suo ultimo lavoro discografico (I cosmonauti russi) dedicato alla navicella spaziale MIR, sempre prodotto da Fuorivia.
A settembre 2003 un’altra esperienza importante: lo spettacolo Attraverso realizzato al Festival della Letteratura di Mantova per Produzioni Fuorivia con Erri De Luca, Marco Paolini, Mario Brunello, Gabriele Mirabassi.
Il 24 ottobre 2003 è uscito in tutta Europa, Canada e Stati Uniti un nuovo disco, Altre Latitudini (Harmonia Mundi / Ird),14 canzoni di amore trovato o perso per le quali hanno suonato alcuni grandissimi musicisti (Mario Brunello, Enrico Rava, Rita Marcotulli, David Lewis, Gabriele Mirabassi, Luciano Biondini, Fausto Mesolella, ecc.). Altre Latitudini è stato presentato in Francia per una settimana al Café de la Danse di Parigi e in Italia per una settimana al Teatro Gobetti di Torino. A questi hanno fatto seguito naturalmente altri concerti (al Nuovo Auditorium di Roma, al Teatro Rossini di Pesaro, al Teatro Alfieri di Asti, ecc.). In estate è stato presentato anche in Canada, al Festival di Québec, oltre che in Germania, Austria e Olanda. Nel novembre 2005 è stata programmata un’importante tournée negli Stati Uniti (New York, Los Angeles, Cleveland e Chicago) che ha riscosso molto successo.
Da ricordare, per il 2004, due altre produzioni importanti alle quali Gianmaria ha preso parte: RossinTesta, viaggio surreale con Paolo Rossi e Chisciotte e gli invincibili, da un testo inedito di Erri De Luca. Quest’ultimo ha girato per 4 stagioni con grande successo in Italia e nel 2008 ha iniziato anche un suo percorso francese con spettacoli a Grenoble, Parigi, Calais… e un dvd edito da Gallimard.
Alla fine ottobre 2005 è stata distribuita una nuova versione, completamente rimasterizzata e con una nuova veste grafica dell’album Extra-Muros, ormai introvabile sul mercato
Il 13 ottobre 2006 è uscito il suo nuovo lavoro discografico, DA QUESTA PARTE DEL MARE, un concept album totalmente dedicato al tema delle migrazioni moderne, una riflessione poetica, aperta e senza demagogia sugli enormi movimenti di popoli che attraversano questi nostri anni. Sulle ragioni, dure, del partire, sulla decisione, sofferta, di attraversare deserti e mari, sul significato di parole come “terra” o “patria” e sul senso di sradicamento e di smarrimento che lo spostarsi porta sempre con sé. A qualsiasi latitudine. Prodotto da Paola Farinetti per Produzioni Fuorivia, ha la direzione artistica di Greg Cohen. Da segnalare la presenza di Bill Frisell accanto a quella dei musicisti che da sempre collaborano con Gianmaria: Gabriele Mirabassi, Paolo Fresu, Enzo Pietropaoli, Philippe Garcia, Luciano Biondini, Claudio Dadone, Piero Ponzo.
Da questa parte del mare ha ricevuto la TARGA TENCO 2007 come miglior album dell’anno. Dopo una presentazione a Parigi (L’Européen dal 17 al 21 ottobre 2006), il nuovo disco sarà presentato anche in Italia (il 25 ottobre al Teatro Regio di Torino, il 26 ottobre al Teatro Modena di Genova, il 27 e il 28 ottobre alla Galleria Toledo di Napoli, ecc.), in Germania e Austria (dicembre 2006), in Olanda (The Hague Jazz Festival – 18 e 19 maggio 2007) e in Canada (Festival di Québec – 15 luglio 2007). Il 25 maggio 2008 è stato presentato anche al Joe’s Pub di New York con un bel sold out.
Per l’inizio del 2009 è prevista l’uscita di un nuovo cd: per la prima volta Gianmaria presenterà un LIVE -“SOLO-dal vivo”, il titolo dell’album- frutto della registrazione di un concerto in solo all’Auditorium di Roma. Il disco uscirà in Italia il 19 gennaio con EGEA RECORDS e nel resto del mondo il 12 febbraio con l’etichetta HARMONIA-MUNDI / LE CHANT DU MONDE. La presentazione al pubblico avverrà nel mese di MARZO 09 con concerti a Parigi, Milano, Roma, Bruxelles, Amsterdam, Berlino, Vienna e in altre città.
Per ulteriori notizie, dal sito del cantautore: gianmaria TESTA
Alcune opere  di Gianmaria Testa

Da questa parte del mare Album musicale di Gianmaria Testa
http://www.gianmariatesta.com/news-italiano/

mercoledì 30 marzo 2016

Investimenti ZERO in istruzione e cultura

L'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata all'istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). E' quanto emerge da dati EUROSTAT sulla spesa governativa. La percentuale di spesa per istruzione è scesa di 0,1 punti rispetto al 2013. Se si guarda alla percentuale sul Pil - rileva l'Eurostat - la spesa italiana per l'educazione è al 4,1% a fronte del 4,9% medio Ue, penultima dopo la Romania (3%) insieme a Spagna, Bulgaria e Slovacchia.  
Nell'istruzione la spesa è in linea con la media nell'istruzione primaria, lievemente più bassa per quella secondaria mentre è molto inferiore per l'istruzione terziaria ovvero universitaria e post universitaria e nella ricerca.

La spesa in percentuale sul pil nell'istruzione terziaria è allo 0,8% in media Ue e allo 0,3% in Italia mentre se si guarda alla percentuale sulla spesa pubblica l'Ue si attesta in media sull'1,6% e l'Italia sullo 0,7%. 
Nella spesa per l'istruzione terziaria il nostro paese è fanalino di coda in Ue, lontanissimo dai livelli tedeschi (0,9% sul pil e 2% sulla spesa pubblica).
La spesa pubblica nel 2014 in Italia è stata pari al 51,3% del pil (48,2% la media Ue), in crescita, ma al di sotto di quella francese (57,5%), belga e di diversi paesi del nord Europa.
L’istruzione doveva essere il vanto del nostro Paese, ne avevamo il primato e studiavamo su testi scritti in lingua originale, un popolo di letterati e di filosofi, eccellenze nell’arte e nella poesia, finché non è arrivato il report dell’Eurostat.
L'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata all'istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). Nel report si specifica che la posizione è valutata sugli investimenti da parte del Governo italiano nel settore dell’istruzione.La percentuale di spesa per istruzione è scesa di 0,1 punti rispetto al 2013. Se si guarda alla percentuale sul Pil, rileva l'Eurostat, la spesa italiana per l'educazione è al 4,1% a fronte del 4,9% medio Ue, penultima dopo la Romania (3%) insieme a Spagna, Bulgaria e Slovacchia.  Nell'istruzione la spesa è in linea con la media nell'istruzione primaria, lievemente più bassa per quella secondaria mentre è molto inferiore per l'istruzione terziaria ovvero universitaria e post universitaria e nella ricerca. La spesa in percentuale sul pil nell'istruzione terziaria è allo 0,8% in media Ue e allo 0,3% in Italia mentre se si guarda alla percentuale sulla spesa pubblica l'Ue si attesta in media sull'1,6% e l'Italia sullo 0,7%. Nella spesa per l'istruzione terziaria il nostro paese è fanalino di coda in Ue, lontanissimo dai livelli tedeschi (0,9% sul pil e 2% sulla spesa pubblica).La spesa pubblica nel 2014 in Italia è stata pari al 51,3% del pil (48,2% la media Ue), in crescita, ma al di sotto di quella francese (57,5%), belga e di diversi paesi del nord Europa. 
Stiamo vivendo un processo di imbarbarimento? Probabilmente no, tuttavia la certezza è che l’insufficienza delle risorse destinate all’istruzione ma anche la carenza di investimenti nelle generazioni future soprattutto nelle università rischia di danneggiare irrimediabilmente la futura classe dirigente e che dovrebbero rappresentare l’élite del paese. Più grave degli scarsi investimenti sull’istruzione è la totale assenza di progettualità e di una visione ad ampio raggio per il futuro del paese che rischia sempre di più, in un mercato del lavoro ormai diventato globale, di penalizzare i nostri giovani.
Inoltre, contestualmente ai dati "strutturali" del sistema scuola / cultura, va ribadito che dal confronto tra le retribuzioni dei docenti, i diversi livelli di responsabilità e le varie voci integrative dello stipendio emerge come questa figura professionale sia in molti paesi pagata ancora troppo poco. Servono politiche attive che valorizzino la professione e accrescano la motivazion. La maggioranza degli insegnanti europei percepisce retribuzioni inferiori al PIL pro capite del rispettivo paese, per cui sarebbe necessario attuare al più presto politiche in grado di valorizzare, perché no anche attraverso un’adeguata remunerazione, la professionalità degli insegnanti e ne accrescessero la motivazione.
Il recente studio Eurydice dal titolo “Teachers' and School Heads' Salaries and Allowances in Europe, 2012/13”” segue di pochi mesi l’indagine più approfondita della rete Eurydice sulla professione docente, Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa, e analizza, per l’anno scolastico 2012/2013, i seguenti aspetti: gli organi decisionali per la definizione degli stipendi; gli stipendi del settore privato; gli stipendi lordi minimi e massimi stabiliti per legge in rapporto al PIL pro capite; la progressione salariale in funzione dell’anzianità di servizio; le diverse tipologie di indennità e gli organi responsabili dell’assegnazione. Quello che accomuna quasi tutti i paesi è l’ampliamento della gamma di competenze richieste agli insegnanti, che ora non debbono solo più appunto insegnare, ma devono essere in grado di eseguire una serie di compiti aggiuntivi, come l'utilizzo delle nuove tecnologie, lavorare in team  assistere l'integrazione dei bambini con bisogni educativi speciali, e partecipare anche alla gestione della scuola. Allo stesso tempo, il settore dell'istruzione è sempre più in concorrenza con il mondo del lavoro per attrarre i migliori giovani laureati qualificati. Stipendi e condizioni di lavoro dovrebbero dunque essere competitivi per far sì che i giovani qualificati siano attratti dalla professione e per fare questo dovrebbero essere attivate politiche riguardanti proprio il guadagno dei docenti. Cosa che attualmente non avviene in gran parte dei paesi della rete Eurydice, dove dal 2009 le retribuzioni degli insegnanti in termini di potere d’acquisto hanno subito una battuta di arresto, se non addirittura un arretramento per via della crisi economica, con il blocco degli stipendi, com’è avvenuto in Italia.

sabato 26 marzo 2016

P P

Avrebbe compiuto 87 anni il prossimo 23 maggio Paolo Poli che si è spento ieri a Roma dopo un periodo di malattia. Un artista versatile, libero, come il sindaco di Firenze Dario Nardella, la città in cui era nato, l'ha voluto definire diffondendo su twitter la notizia della scomparsa. I funerali saranno nella sua città. Paolo Poli è stato un maestro per tutto un teatro tra varieta' e lazzi e sberleffi con una solida cultura dietro ad evitare il cattivo gusto. Poli è rimasto sempre, anche quando ne aveva di certo superato l'età, un bambino, e non si puo' disgiungerlo da quella vocina impertinente della sua celebre lettura e interpretazione di Pinocchio, lui, figlio di Collodi e buffo palazzeschiano sin nell'impronta toscana del suo eloquio, come dalla malizia con cui raccontava favole per i piu' piccoli o novelle famose alla Radio negli anni Settanta. Era gia' li' la cifra dei suoi spettacoli futuri, che passano dai grandi classici alla letteratura rosa per signorine. Attore brillante per vocazione, dalla comicita' intelligente e provocatoria, ma sempre con un sottofondo giocoso, come nei suoi famosi en travesti', Poli amava i testi surreali, i lati onirici, il ridicolo del sentimentalismo, il rapido sberleffo, l'ironia che smonta e rivela anche quella sotterranea nota malinconica e esistenziale propria di ogni vero artista. Nato nel 1928 a Firenze Paolo Poli era laureato in letteratura francese con una tesi su Henry Beque ed aveva cominciato lavorando in radio e nel teatro vernacolare, sino a quando era entrato a far parte, a Genova, della Borsa di Arlecchino fondata da Aldo Trionfo.


Da li' approdera' a Roma, alla Cometa, con uno spettacolo sul Novellino nel 1961, cominciando il suo viaggio attraverso testi letterari di ogni genere. Particolare e spettacolare affabulatore sarcastico, ha il suo primo momento di vera gloria con Santa Rita da Cascia nel 1967, che scandalizza e viene accusata di vilipendio alla religione. Alla ricerca sempre di quel lato paradossale proprio della vita, fuori e sopra il palcoscenico, Poli si prendeva sempre gioco di tutto, ma e' un'apparenza, se, per poterlo fare sempre con tanta sicurezza, vuol dire che sa prendere prima tutto sul serio, con un sicuro criterio critico e una sensibilita' vera, cosi' da poter passare con lo stesso atteggiamento dalla letteratura alla vita, per esempio non nascondendo la propria natura omosessuale, cosa seria, ovviamente, ma su cui scherzava con la stessa impertinenza di tutto il resto. E' cosi' che riesce, con naturalezza e in compagnia di Ida Ombroni, che ha firmato con lui i testi di tanti celebri spettacoli, passare da Carolina Invernizio o la Vispa Teresa a Savinio o Queneau, senza dimenticare alcuni eroi romantici come l'Alfieri.

E cosi' esemplare, se si vuole, resta nel fatidico 1969, la sua proposta de 'La nemica' di Niccodemi con una compagnia en travesti' di soli uomini e dando vita a una scatenata, italica mamma duchessa tutta vezzi, gesti ad effetto, che si sventola le ascelle con un ventaglio o si mordicchia provocatoria il povero boa di struzzo, gorgheggiando avvolta nella bandiera, intonando vocine di ogni tipo e isteriche urla, che diventano una critica dall'interno, un ridicolizzare quel mondo borghese a cavallo tra Otto e Novecento, che ha portato senza alcuna coscienza il paese alla guerra e al fascismo. Lui si divertiva, si mascherava, tirava fuori tutti i vezzi possibili, alla fine di ogni spettacolo improvvisando e quasi dialogando col pubblico, da beato immoralista dell'ambiguita' e della crisi dei valori, provocatore amato ma solitario, unico, esibizionista che rompeva gli ipocriti confini del perbenismo, facendolo sempre anche sulla propria pelle. Nonostante l'età, energico e irriverente, aveva continuato anche dopo gli 80 anni a frequentare il palco, a realizzare libri - come l'audiolibro Emons in cui leggeva da par suo ''La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene'' di Pellegrino Artusi - ed era anche tornato in tv nel giugno scorso dopo oltre 40 anni su Rai3 con 'E lasciatemi divertire', 8 puntate insieme all'amico Pino Strabioli. Era stato, al solito, mattatore. ''Il mio peccato preferito? E' la superbia. Quello che non sopporto, invece, e' l'accidia. Il borbottio continuo di certa gente", aveva detto.

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D F compie 90 anni

Il 9 Ottobre del 1997 il drammaturgo e attore Dario Fo riceve a Stoccolma dalle mani del re Gustavo di Svezia il Premio Nobel per la letteratura, assegnatogli con la seguente motivazione: "Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi."

http://www.iodonna.it/personaggi/interviste-gallery/2016/03/24/dario-fo-90-anni-controcorrente/

giovedì 24 marzo 2016

Edvard Munch, tra malinconia e dolore

Bergen è una città che ho amato molto, affascinante e sorprendente, come del resto tutta la Norvegia. Qui il tempo sembra avere un'altra dimensione e la natura si svela in architettoniche forme, nei fiordi, nelle isolette, nelle montagne, nelle coste lambite dal mare. Anche il cibo è stato una piacevole sorpresa così come il clima, mite, con l'aria frizzante e pulita. E una sorpresa è stata anche la visita al museo Kode, ovvero l'Art Museums of Bergen, dove inaspettatamente ho trovato moltissime opere di pittori scandinavi, primo fra tutti il mitico Edvard Munch.

Munch nacque a Loten, in Norvegia il 12 dicembre del 1863 ed è morto in un paesino vicino Oslo, all'età di ottanta anni. La sua vita è stata segnata da innumerevoli lutti, tra cui la madre in giovane età e l'amatissima sorella, poi anche il padre cadde vittima di una forte depressione e quindi ancora una serie di disgrazie familiari che lasciarono il segno sia nella sua psiche che nella sua arte. Non a caso Munch è famoso nel mondo per la sua opera dal titolo “L'Urlo” e come lui stesso disse: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura»
Tutte le sue opere riflettono questa angoscia esistenziale, così come i personaggi dei suoi dipinti, quasi fossero solamente semplici involucri di sofferenza e malinconia. D'altra parte lui stesso scrisse in quello che poi divenne il ‘Manifesto di St. Cloud’: “...Non ci dovrebbero più essere dipinti di interni, con gente che legge e donne che lavorano a maglia. Al loro posto ci deve essere gente che respira, sente, soffre e ama”.
Ci sono stati molti critici d'arte che hanno comparato le sue opere, e in un certo senso anche la sua vita, a quella di Vincent Van Gogh: stessa solitudine esistenziale, stesso problema di alcool, stesso ricovero psichiatrico, stessa forza espressiva nei loro dipinti.
Il Munch Museum di Oslo e il Van Gogh Museum di Amsterdam –, hanno voluto esporre oltre cento capolavori dei due artisti mettendoli fianco a fianco, creando un evento di rara potenza espressiva. Sebbene Munch soggiornò piu volte a Parigi, pure non si hanno notizie di incontri tra i due grandi artisti, sebbene è certo che Munch conosceva le opere di Van Gogh mentre non è vero il contrario. Alcune opere di Munch furono considerate anticipazioni dell'espressionismo, e moltissime ve ne sono al Kode Art Museum.
Il KODE Art Museums of Bergen si articola in 4 edifici adiacenti in centro città, la maggior parte delle opere esposte sono di artisti norvegesi o nordici, ma ci sono anche molti quadri di Munch, e, sorprendentemente, molti dipinti riprendono il famoso 'Urlo, (come fossero tentativi e prove di pittura) che invece si trova ad Oslo.
Una scoperta curiosa è stata quella di vedere al Kode la foto (o disegno?) di una mummia, la cosiddetta mummia di Cuzco, che Munch vide esposta al Louvre di Parigi e che lo ispirò per il viso contorto e urlante del suo celebre dipinto.
Io ho avuto modo di apprezzare molti suoi dipinti tra cui “La malinconia” opera influenzata dalla simbologia di Gauguin, pittore che Munch ammirava molto. Bellissima opera “La fanciulla malata” e anche alcuni disegni, e i suoi autoritratti, tra cui, secondo il mio umile punto di vista, più significativo è quello nella sua camera da letto, in cui dipinge se stesso alla fine della vita, con gli abiti che penzolano informi mentre l'orologio senza lancette alle sue spalle indica che il suo tempo è finito.
Munch scrisse: “Che cos’è l’arte? L’arte emerge dalla gioia e dal dolore. Maggiormente dal dolore”. Lui ne è stato una conferma.
Fonte: Direttamente da Bergen, in Norvegia l'inviata speciale nel mondo dell’Arte, Ada Pianesi Villa, poetessa e pittrice, per la rubrica Scrivere d'Arte di destinazionearte.it, parla di Edvard Munch.
http://www.destinazionearte.it/

martedì 15 marzo 2016

La nobile "arte" di capire il mondo


Nota su «L'Impero virtuale - colonizzazione dell'immaginario e controllo sociale», Renato Curcio, Sensibili alle foglie, 2015

Un libro di poche pagine, si legge in qualche ora, ma lascerà la mente occupata per giorni interi. Tanti sono, infatti, gli elementi che Renato Curcio ha analizzato e che aprono a una riflessione cosciente sull’impero virtuale. La scrittura asciutta e discorsiva permette una comprensione del testo anche se i temi trattati sono enormi. Da non sottovalutare è la preziosa bibliografia che fornisce ulteriori indicazioni per chi abbia voglia di approfondire. Il libro non racconta la storia di InterNET e non veicola prese di posizione a favore o contro; il lavoro di Curcio non si pone né tra gli “apocalittici” né tra gli “integrati”: analizza la condizione sociale data, la forma propria produttiva e culturale che altera, ristruttura il rapporto individui, gruppi, corpo sociale. InterNET è tante cose: è evidente che ha velocizzato la possibilità di comunicare e semplificato lo scambio di contenuti, ma questo testo illumina, fornisce gli elementi di comprensione per svelare il mondo “altro” in cui il “me altro”, “un me con altro nome” virtualmente vive. 

http://www.sensibiliallefoglie.it/
Siamo oramai abituati a considerare come normale il controllo dei contenuti che scambiamo - anzi un tributo necessario alla sicurezza - e non ci rendiamo conto di quanto materiale personale, intimo volontariamente diamo in pasto alla nuova oligarchia economica esperta nell’esercizio del potere digitale; un potere sulle nostre identità digitali mondializzato e totalizzante che istituisce forme di sudditanza inedite, radicali.

Un potere che accumula un’enormità di informazioni su ogni essere che abita il pianeta e che interconnesso scambia contenuti digitali. E per la maggior parte privo delle conoscenze basilari per comprendere appieno le insidie; i poteri tentacolari che la rete nasconde fra le sue maglie. Anzi l’adattamento attivo ed entusiastico cresce sensibilmente senza distinzione di età o condizione sociale senza suscitare alcun allarme. La vita sociale ormai è instradata da pratiche ambientali e circostanze obbligatorie che accrescono il dominio virtuale e le nostre dissociazioni. Il libro si propone quindi un’analisi sociologica che permette di comprendere, di prendere coscienza che siamo dei colonizzati, d’altronde la colonizzazione delle anime, ideologica, economica o per ragioni strategiche accompagna la storia europea. Oggi la colonizzazione dell’immaginario di qualcuno, dunque, significa intervenire sui processi della sua immaginazione al fine di renderli compatibili con quelli che caratterizzano l’immaginario istituito del soggetto colonizzatore.
Le leve di attrazione sono potenti: l’alienazione del desiderio, la disseminazione di dispositivi informatici attrattori negli ambienti urbani, lavorativi, commerciali o di svago (Sensori e telecamere, casse automatiche e carte plastificate con microchip di ogni sorta, localizzatori, badge…), la pubblicità diretta e indiretta anche quella fittizia dell’amico, compagno di scuola, collega di lavoro che ti chiede l’account social per entrare in connessione con lui / lei, tanto è tutto gratis e hai un mondo “altro” nelle tue mani
Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.
Notizie sull'autore 
Renato Curcio, attualmente Direttore editoriale di SENSIBILI ALLE FOGLIE, svolge lavoro di ricerca socioanalitica e sugli stati modificati di coscienza e cura le attività promozionali della Cooperativa; ha pubblicato numerosi titoli, tra i quali ricordiamo qui: L'azienda totale, Il dominio flessibile, Razzismo e indifferenza, Sensibili alle foglie, 2010; con M. Prette e N. Valentino, La socioanalisi narrativa, Sensibili alle foglie, 2012; Mal di lavoro, Sensibili alle foglie, 2013

lunedì 14 marzo 2016

Lo SCAFFALE di destinazione[cultura].it

Nella pagina, N E W S: RECENSIONI, SEGNALAZIONI, SAGGISTICA, DOCUMENTAZIONE, RICERCHE, REPORTISTICA, INDAGINI, NOTE, NOTIZIE, "MATERIALI", BIBLIO-SITOGRAFIE, tutto quanto fa "informazione utile".

In quanto “essere sociale” l’individuo vive in continua interazione con gli altri esseri umani, inserito in un sistema comunicativo di relazioni indispensabili per la crescita e la formazione, e come rilevava Watzlawick “non si può non-comunicare” così come “non si può non-comportarsi”. La comunicazione determina la vita degli individui, poiché essa non ha luogo solo quando è intenzionale, conscia o efficace, ma anche quando è inattiva, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio e le interrelazioni umane sono costituite al contempo sia dai linguaggi verbali e sia da quelli non verbali, e ogni comportamento ha valore di messaggio e quindi di comunicazione. Scriveva Antonin Artaud: “L'attore è l'atleta dei sentimenti” e  come ogni atleta deve addestrarsi per essere capace di esprimere i vissuti dei personaggi, per dare vita ad emozioni, sentimenti, comportamenti, etc. Questo allenamento altro non è che la conoscenza dei segni e dei linguaggi che compongono la comunicazione culturale.

PORNdemia. La pornografia nell’arte

 
La pornografia nell’arte…
…a Paratissima 08
Ve la siete persa, non l’avete ancora vista, vorreste rivederla. Desideri esauditi, perché PORNdemia, la mostra ospitata da Paratissima e curata da Francesca Canfora e Daniele Ratti negli spazi dell’ex Moi, è qui.
Il porno come fenomeno sociale, culturale e artistico è al centro di questa esposizione, che racconta l’approccio dell’arte alla pornografia, conducendo il pubblico a superare lo shock estetico delle opere esposte per leggerne il messaggio profondo.
Nei lavori esposti il riferimento sessuale, anche quando esplicito, non è mai gratuito. Si passa dall’erotismo pionieristico di Carol Rama agli affreschi generazionali di Daniele Galliano alle immagini erotiche dell’icona pop Keith Haring (dalla collezione di Paolo Tonin), che denunciano i miti della civiltà dei consumi. Attratto dalla pornografia, Man Ray dipinge ispirandosi a De Sade e fotografa modelle, amiche e amanti. Vanessa Beecroft, invece, propone una nudità del tutto priva di erotismo. Il genio torinese di Carlo Mollino erompe nella ricca collezione di Polaroid realizzate negli anni ‘60, protagoniste fidanzate, amiche e prostitute ritratte nude in interni meticolosamente allestiti.
E ancora, una sezione dedicata al fumetto con opere di Milo Manara, Crepax e Frollo, e le opere di cinque artisti selezionati da Paratissima tramite un bando di concorso: Federica Bonani, Marco Corongi, Andrea Grucciart, Cristina Pirrone.




– Paratissima… C’est Moii!

sabato 12 marzo 2016

Note per la cultura - 5 - A volte capita di pensare, scrivere, agire ...

1. Sulla peculiarità della definizione ontologica della persona umana

Il dato di partenza della problematicità, enigmaticità o «ambiguità» dell'esperienza umana nel mondo rischia di collocare ogni definizione (meglio dire, intenzionalità chiarificatrice) nel contesto di una “metafisica influente” che ha dominato in modo contraddittorio e drammatico le vicende socio-culturali del ‘900, secolo nel quale le generazioni adulte dell’attuale contemporaneità sono cresciute e si sono formate culturalmente. Tuttavia, nel confronto e nell’onesta aspirazione all’accertamento delle verità sulla condizione umana, l'uomo viene collocato di necessità all'interno di un rapporto originario con l' “essere” e, solo all'interno di questo rapporto, può essere compreso e la sua esperienza acquista un senso.

La specifica collocazione umana nel mondo, la sua «situazione», è una via d'accesso che consente di indagare l'essere e se stesso nell’individualità e soggettività date, vale a dire in quella configurazione esistenziale tipicamente umana, artificiale ed extragenetica, definibile “cultura”. Altri tentativi – sempre possibili – aprono acriticamente all’influenza inestricabile d’una metafisica deteriore (teleologicamente dogmatica) secondo la quale l'uomo è in rapporto con l'essere, ma con un “essere” che resta alfine inoggettivabile, non circoscrivibile nella sua totalità, «altro» e, per certi versi necessariamente, trascendente. Questa inoggettivabilità dell'essere umano sta alla base di un’esauribilità di prospettive che da essa scaturiscono, tanto inopportune quanto inefficaci laddove lo scenario è la relazione d’aiuto, il sostegno e vicinanza alle giovani generazioni, la cura e la tutela dell’adolescenza, la rigenerazione dell’umano condividere, in una parola il “mutamento” d’emancipazione dalla tragedia novecentesca.
In secondo luogo, anche sostenendo che l'essere in cui l'uomo è collocato abbia i caratteri di un'ulteriorità irriducibile alla coscienza umana, sia dunque qualcosa di «altro», di «trascendente» rispetto all'uomo stesso poiché l'uomo non esaurisce mai la totalità dell'essere, ebbene l'essere è in questo senso presente nel rapporto, certo non nello stesso modo in cui è presente l'uomo. Uomo ed essere non sono due termini equivalenti, possono trovarsi antinomicamente uno di fronte all'altro, in una relazione di equipotenza o in una relazione estrinseca; in ogni caso, questa antinomia costitutiva di ogni osservabilità, di ogni atto conoscitivo, non può darsi una sussunzione dell’uomo all’essere.

2. Interpretazione ontologica sulle caratteristiche costitutive della persona


La questione di una ontologia della relazione è stata sollevata da Etienne Balibar in un testo del 1993 su Marx e più precisamente nel commento della VI tesi su Feuerbach che, come è noto, recita: «Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali»[Marx über Feuerbach], in Marx / Engels Gesamtausgabe, erste Abteilung, Band 5, hrsg. von V. Adoratskij, Glashütten im Taunus, Verlag Detlev Auvermann, 1970, p. 534; tr. it. di M. Rossi, in F. Engels, Ludwig Feuerbach, Roma, Editori Riuniti, 1985 (I ed. 1950), p. 84]. L’essenza umana è das ensemble der gesellschaftlicher Verhältnisse. Marx rifiuta, secondo Balibar, tanto la posizione nominalista che la posizione realista: «quella che vuole che il genere, o l’essenza, preceda l’esistenza degli individui, e quella che vuole che gli individui siano la realtà primaria, a partire dalla quale si astraggono gli universali»; in Marx sarebbe dunque presente in abbozzo una ontologia della relazione: la società sarebbe costituita/attraversata da una molteplicità di relazioni, cioè di «transizioni, trasferimenti, passaggi nei quali si fa e si disfa il legame degli individui con la comunità, che a sua volta costituisce essi stessi». Il solo contenuto effettivo dell’essenza umana starebbe nelle molteplici relazioni che gli individui intrattengono tra di loro. Balibar ritiene che così Marx prenda le distanze tanto dal punto di vista individualistico che da quello organicistico (olistico). Questa la ragione per cui Marx usa il termine francese «ensemble» e non quello tedesco «das Ganze». Allo scopo di rendere ancora più chiara la questione, Balibar propone di utilizzare una parola di Simondon per pensare il concetto di umanità nei termini marxiani: «il transindividuale». L’umanità sarebbe ciò che esiste tra gli individui. Balibar conclude: «le relazioni di cui parliamo non sono nient’altro che pratiche differenziate, delle azioni singole degli individui gli uni sugli altri». La più adeguata caratterizzazione costitutiva della “persona umana” scaturisce, pertanto, da un'affermazione difficilmente revocabile in dubbio che è rintracciabile nella Prefazione a "Per la critica dell'economia politica" (Gennaio 1859 - Opere complete, Vol. XXX, pagg. 298-299); Karl Marx, sostiene che «nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. 
E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca soprastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere costatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, in una parola le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo». C’è una saldatura in itinere tra ontologia ed epistemologia che forgia la valenza problematica e le stesse categorie, entrambe connesse ai fondamenti, alle condizioni di validità, ai principi guida della conoscenza intorno all’uomo, ma soprattutto dalla conoscenza scientifica che distingue l’apprezzamento antropologico da una pur legittima Weltanschauung

3. Sul fondamento e caratteristiche della dignità della persona

Già in Hegel il problema dell'estraneazione – quello che in ultima istanza pare configurarsi come insieme d'ambiti individuativi d'indagine delle caratteristiche della dignità della persona umana - appare per la prima volta come problema della posizione dell'uomo nel mondo rispetto al mondo. Essa è tuttavia in lui, con il termine di alienazione (Entiiusserung), al tempo stesso la posizione di qualsiasi oggettività. L'estraneazione si identifica perciò, se viene coerentemente concepita, con il porre l'oggettività. Il soggetto-oggetto identico deve quindi, nella misura in cui supera l'estraneazione, superare al tempo stesso l'oggettività. Poiché tuttavia l'oggetto, la cosa, in Hegel, esiste soltanto come alienazione dell'autocoscienza, la sua riassunzione nel soggetto rappresenterebbe la fine della realtà oggettiva, quindi della realtà in generale. Anche in Storia e coscienza di classe Lukàcs sembra seguire Hegel nella misura in cui anche in questo libro l'estraneazione viene posta sullo stesso piano dell'oggettivazione (per far uso della terminologia dei Manoscritti economico-filosofici di Marx). Lo smascheramento nel pensiero dell'estraneazione era già allora nell'aria; ben presto esso divenne una questione centrale della critica della cultura che indagava la condizione dell'uomo nel capitalismo del presente. Per la critica filosofico-borghese della cultura, basti pensare a Heidegger, era del tutto ovvio sublimare la critica sociale in una critica puramente filosofica, fare dell'estraneazione per sua essenza sociale un'eterna "condition humaine", usando un termine invalso solo più tardi. È chiaro che questo modo di presentare le cose, benché avesse di mira tutt'altro, anzi l'opposto, favorì atteggiamenti di questo genere. L'estraneazione identificata con l'oggettivazione era bensì intesa come una categoria sociale - il socialismo avrebbe dovuto appunto superarla - e tuttavia l'insuperabilità della sua esistenza nelle società classiste e anzitutto la sua fondazione filosofica la rendevano vicina alla "condition humaine".  

Questa è appunto la conseguenza di questa falsa identificazione, su cui occorre ancora insistere, tra concetti fondamentali opposti. Infatti, l'oggettivazione è effettivamente un modo insuperabile di estrinsecazione nella vita sociale degli uomini. Se si considera che ogni obiettivazione nella praxis, e quindi anzitutto il lavoro stesso, è un'oggettivazione, che ogni modo di espressione umana, e quindi anche la lingua, i pensieri e i sentimenti umani, sono oggettivati, ecc., è allora evidente che qui abbiamo a che fare con una forma universalmente umana dei rapporti degli uomini tra loro. 

Come tale l'oggettivazione è naturalmente priva di un indice di valore; il vero è un'oggettivazione allo stesso titolo del falso, la liberazione non meno dell'asservimento. Solo se le forme oggettivate nella società ricevono funzioni tali da mettere in contrasto l'essenza dell'uomo con il suo essere, soggiogando, deformando e lacerando l'essenza umana attraverso l'essere sociale, sorge il rapporto oggettivamente sociale di estraneazione e, come sua conseguenza necessaria, l'estraneazione interna in tutti i suoi caratteri soggettivi. Si comprendono bene, da quest'ottica, le affermazioni marxiane secondo le quali “tutta la via sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che trascinano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana e nella comprensione di questa prassi.” (Tesi VIII - Tesi su Feuerbach nel 1843 ); “i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo” (Tesi XI - Tesi su Feuerbach nel 1843 ). 

Conseguentemente, non sembrano più necessari approcci volti a fondare il comportamento etico o su un potere trascendente (divino) o su una componente soggettivo-intuitiva o emotivo-sentimentale. A simili approcci è possibile contrapporre la concezione, secondo cui l’etica è da un punto di vista storico evoluzionistico un prodotto di auto-creazione umana; è la stessa etica materialistica ad esigere un fondamento ontologico. 
Anche se può considerarsi paradossale, la questione della dignità della “persona umana” va ancorata ad una tradizione culturale che lega l'etica a grandi opere come la Fisica di Aristotele (piuttosto che la Metafisica) o i Principia di Newton; esse hanno rappresentato per lunghi periodi il fondamento delle ricerche condotte, definendo problemi e metodi da considerarsi legittimi in un determinato campo e sono stati dei modelli che hanno dato origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica. Riferendosi a queste tradizioni, Kuhn impiega il termine di “paradigma”; la scienza si sviluppa all’interno di un paradigma, mentre la rivoluzione scientifica è il passaggio da un paradigma all’altro. Kuhn impiega la definizione di “paradigma metafisico” per indicare ciò che nell’epistemologia contemporanea è chiamata “metafisica influente”. 

Un progresso dove l’incremento conoscitivo è guidato da un unico paradigma non fornisce garanzia di “una comprensione sempre più raffinata della natura” se non affermando di voler partire da piuttosto che andare verso. Questo atteggiamento è valido anche in campo etico.

4. L'importanza di una chiara visione personalista dell’uomo

L'adolescenza essendo considerata da un lato l'ultima fase dello sviluppo infantile, dall'altro come fase d'inserimento nel mondo adulto, comunemente va individuata in un arco di alcuni anni che stanno intorno alla maturazione sessuale, ma a cui corrispondono anche mutamenti d'atteggiamenti, di capacità, di partecipazione sociale e, pertanto, necessita d'una visione d'insieme. Il porre l'accento più sull'uno o sull'altro di questi mutamenti ha portato ad indicare come più ampio o più ristretto il periodo adolescenziale (per alcuni esso va dai 10 ai 16 anni circa, cioè corrisponde alla pubertà, per altri dai 13 ai 20 anni, cioè in accordo con la definizione ormai obsoleta anch'essa di “teen-ager”, per altri ancora è un periodo che si estende anche ulteriormente fino alle opportunità di lavoro, con il portato dell'autonomia e delle responsabilità piene sul piano sociale, ed alla vita coniugale, con il portato eventuale della maternità e paternità; ovviamente, negli ultimi decenni a cavallo del XX e XXI secolo in particolare, l'elaborazione identitaria si è, per così dire, deregolamentata, venendo meno le componenti esperienziali proprie della maturità equilibrata delle persone ed i ritmi peculiari di sviluppo sono fuori dagli schemi teorici; talvolta, proprio il terreno della life long learning restituisce – con il portato problematico della neotenia -, con risvolti drammatici, l'aspetto dei cambiamenti in atto circa il mondo giovanile). 

Certo l'adolescenza non è contraddistinta dalla sola maturazione puberale, fatto biologico rilevante; tuttavia, essa ha una connotazione tipicamente umana, cioè extragenetica, “artificiale”, culturale (i primi studi sistematici, come quelli di Satnley Hall, vedevano un parallelismo assoluto fra i due livelli della vita, o meglio, la riduzione del secondo al primo: l'adolescenza come una “nuova nascita” della coscienza, provocata dallo sviluppo puberale; tale sviluppo si iscriveva nella prospettiva di Darwin, secondo cui l'ontogenesi ricapitola la filogenesi: l'adolescenza, per l'individuo, come uomo totale, cosciente e responsabile di sé). La concezione che accentua l'aspetto biologico, infatti, è stata messa in crisi dallo studio delle differenze individuali e culturali, in particolare dagli studi antropologici come quelli della Mead, a dimostrazione di un reale relativismo nella fenomenologia adolescenziale (culture primitive, cultura “occidentale” …). Ciò ha indotto la ricerca a studiare non più l'adolescenza, ma diverse adolescenze mettendo in discussione l'universalità del fenomeno. Del resto, certa Psicologia (Wallon) o indirizzo psicoanalitico si sono opposti a questo apprezzamento dell'adolescenza considerando come certi aspetti biologici e psicologici siano connaturati con lo “sviluppo” della persona. 

La problematicità dell'adeguata visione dell'adolescente deriva proprio dal fatto che si esaltano, in certi campi d'indagine, gli aspetti maturativi, biologico-fisici, intellettivi o istintuali, più universali o supposti tali; altri orientamenti, viceversa, enfatizzano la socializzazione e l'acquisizione dei ruoli, relativamente ai diversi contesti sociali di appartenenza e formazione. Il tentativo più riuscito di tenere insieme gli “sguardi” sulla gioventù e sul divenire complesso delle persone è quello di Erikson che salda le fasi psicosessuali con quelle della socializzazione; costituisce un modello orientato all'integrazione dei “saperi” specifici che può sempre più avvalersi dell'empiria in stretta connessione con l'ampliarsi di un quadro concettuale teorico per certi versi indeterminato (non può oggi che essere così), nei confini della comprensione, altrimenti si rischia di perdere l'oggetto stesso. 

Pertanto, altra acquisizione, nel merito dell'obiettiva considerazione degli adolescenti come persone, è l'evitare di perseverare in punti di vista “specialistici”; ad esempio, insistere nell'importanza rivestita dalla relazione con la figura materna nel condizionare il successivo sviluppo creativo del bambino (Klein, Winnicott; quest'ultimo sottolinea come ineludibile sia la funzione di rispecchiamento svolta dalla madre, nella restituzione di affetti e vissuti che il bambino da solo non è in grado di rielaborare ed integrare all'interno del sé), in un contesto sociale di vita d'accentuato decentramento di figure di riferimento. Di fatto, la strutturazione della personalità spontanea e creativa è garantita dall'ambiente di sostegno rappresentato da una pluralità di soggetti interagenti, nell'ottica in cui non può esistere alcuna identità armoniosamente formata a prescindere da relazioni plurali. 

Il ruolo delle interazioni sociali nello sviluppo degli adolescenti può essere compreso solo se si coordinano i concetti e i dati derivanti dall'analisi di tipo sociologico con quelli relativi alle interazioni sociali concrete tra individui e alle caratteristiche funzionali di questi ultimi, a livello psicologico. Da un lato, infatti, le situazioni sociali specifiche che gli individui si trovano di fronte nella vita di ogni giorno sono determinate da un tessuto sociale e da un ambiente fisico assai ampi, dotati di significati e valori culturali loro propri maturatisi storicamente. Esse non possono essere ridotte ad un flusso della coscienza individuale o a conflitti psichici, ma richiedono uno studio in quanto strutture sociologiche, culturali e fisiche. Se in queste situazioni le interazioni sociali tra individui hanno una struttura, le forme e i contenuti che sono loro propri non sono riducibili a stimoli discreti che colpiscono la persona di momento in momento. Dall'altro lato, un individuo, nel corso del periodo adolescenziale, si trova ad aver vissuto almeno da una decina di anni, ed ha esperienza di interazioni sociali. A parte i casi di traumi precoci gravi, il bambino, in quanto maschio o femmina, ha stabilito delle relazioni all'interno di un milieu specifico, relazioni con il proprio corpo e con le proprie capacità, con oggetti e con valori sociali. Alcuni di questi legami antecedenti devono modificarsi durante l'adolescenza, lasciando alle spalle la dipendenza della prima infanzia per avviarsi a responsabilità, attività e modi di condotta tipici nella società di uomini e donne adulti. Contemporaneamente il corpo, ormai familiare, cresce ad un ritmo più rapido, e ciò si accompagna a modificazioni fisiologiche e strutturali che portano al corpo adulto di un uomo o di una donna. Il condensare questi due universali evolutivi in «incidenti» dell'analisi sociologica significa trascurare i contributi individuali alle interazioni sociali e il loro ruolo nello sviluppo. Il coordinare il sociologico e lo psicologico implica una sequenzialità di studio ben definita. La sequenza inizia con lo studio dello sviluppo delle interazioni sociali, una valutazione delle situazioni sociali reali che gli adolescenti si trovano di fronte, inclusa la situazione ambientale più ampia di cui fanno parte; infine considera il funzionamento individuale in rapporto a tali situazioni sociali e ai processi d'interazione. Il gruppo procura uno status simbolico autonomo.

In secondo luogo, gli adolescenti trovano nel gruppo uno status autonomo, fondato sulle proprie realizzazioni, che è loro negato nella società. Molti adolescenti vivono quanto possono in gruppo perché vi sono considerati persone autonome e non, come nei luoghi gestiti dagli adulti, bambini che devono esser guidati e controllati. L'esigenza di parità e di partecipazione, che caratterizza molti adolescenti nella nostra società, viene di continuo frustrata. In reazione, gli adolescenti si creano una società diversa - il gruppo - in cui possono sentirsi alla pari con gli altri. In altre parole, il gruppo è la fonte primaria di status autonomo durante l'adolescenza - uno status provvisorio, transitorio, marginale, in qualche modo solo simbolico poiché non garantisce diritti e prerogative reali al di fuori di esso. Esiste quindi un legame tra la marginalità sociale dei giovani e i loro gruppi che nascono appunto come tentativo di rimediare a questa creando spazi di partecipazione. Altre funzioni. Oltre a questa funzione essenziale, il gruppo può assolverne altre, di cui verranno indicate le principali seguendo la falsa riga di Ausubel (1977). Prima di tutto esso può procurare un'identità. Il problema dell’identità non è, come si legge spesso, il problema principale dell'adolescenza, è un problema che deriva dalla mancanza di status autonomo. Il gruppo può rimediare anche a questo problema appunto nella misura in cui fornisce uno status. Far parte dell'«Autonomia operaia», dei punk, dei paninari, permette di definirsi e di sapere con più sicurezza come orientarsi nella vita, quali valori perseguire, come comportarsi e porsi di fronte agli altri. Durante l'adolescenza, il gruppo di coetanei è spesso la fonte maggiore di status derivato ed è in grado di fornire al giovane una stima di sé e una sicurezza per il semplice fatto di essere accettato nel gruppo. Esso procura anche un forte appoggio nel processo di emancipazione dai genitori e dagli adulti e un quadro di riferimento e un sistema di valori quando quelli dell'infanzia devono esser abbandonati; assicura così un sollievo nei confronti dell'incertezza, dell'indecisione, dell'ansietà e della colpevolezza che spesso accompagnano la ristrutturazione della personalità su una base di autonomia. Conferendo al gruppo il diritto di proporre nuove regole di condotta, l'adolescente afferma il diritto all'autodeterminazione perché non è diverso dai suoi coetanei. Il gruppo è anche un mezzo per difendersi dall'autorità e dalle interferenze degli adulti. Come strumento di pressione (“tutti lo fanno”) fa guadagnare privilegi ai suoi membri. Aiuta anche l'adolescente ad affrontare con minore ansietà i cambiamenti che avvengono nella sua vita e nella sua persona, come quelli fisiologici. Riduce la massa delle frustrazioni, non solo quelle specifiche dell'età, ma anche quelle che toccano solo i singoli adolescenti. Il gruppo è anche luogo di apprendi mento dei modi di rapportarsi agli altri fuori della famiglia. Permette di assimilare maggiormente i ruoli socio-sessuali, la competizione, la cooperazione, i valori, le credenze, gli atteggiamenti dominanti del suo gruppo sociale. «Il gruppo di coetanei è la maggior istituzione formativa per gli adolescenti nella nostra cultura» (Ausubel,1977). Questo addestramento avviene in modo informale, spesso inconsapevolmente, nella vita quotidiana del gruppo, nel gioco delle interrelazioni complesse tra i suoi membri, nell'incoraggiamento di certi modi di comportarsi e lo scoraggiamento di altri. Il gruppo è quindi una preparazione alla vita adulta reale. Il gruppo rinforza le discriminazioni tra le classi sociali. Il gruppo prepara alla vita adulta reale anche perché rinforza le discriminazioni tra le classi sociali. Da Hollingshead (1949) in poi, molte ricerche hanno messo in rilievo il fatto che, abitualmente, vige nei gruppi di adolescenti una rigida separazione tra le classi sociali. Talvolta questa separazione si può già osservare nella diversità dei luoghi di aggregazione. Vri confronti per la diversità di classe. (Lutte et al., 1984). La cultura dei diversi gruppi, i lo ro valori, i loro argomenti di discussione, le loro attività sono differenti e rafforzano quindi la diversità derivante dagli ambienti familiari, sociali, scolastici e lavorativi differenziati. Negli Stati Uniti, la “razza” è un altro fattore di discriminazione tra i gruppi. Questa incomunicabilità tra classi ed etnie sembra più pronunciata nei gruppi di ragazze che sono più ristretti, chiusi e durevoli (Claes, 1983). Il gruppo rinforza le differenze sociali tra i sessi. I gruppi misti di adolescenti permettono ai ragazzi e alle ragazze di interagire tra di loro. Sono il luogo in cui nascono spesso innamoramenti e si formano le coppie. Le ragazze, abitualmente, entrano più precocemente in gruppi misti con ragazzi più grandi; fatto che crea problemi seri ai loro coetanei maschi che si sentono esclusi. Dumphy (1963; cit. da Claes 1983) pensa che la funzione del gruppo più largo sia di facilitare la transizione all'eterosessualità. Sulla base di ricerche effettuate in una città australiana, egli individua cinque stadi evolutivi. Nel primo, corrispondente alla preadolescenza, i piccoli gruppi sono formati di soli ragazzi o di sole ragazze e non si incontrano; l'interesse per l'altro sesso si manifesta solo in interazioni superficiali, spesso antagoniste. Nello stadio seguente, verso i 14 anni, ci sono i primi scambi tra ragazzi e ragazze che hanno uno status superiore nei loro gruppi, si formano i primi sottogruppi misti ma permangono le precedenti aggregazioni monosessuali. Nello stadio seguente si formano solo gruppi eterosessuali. In seguito, il gruppo più largo sparisce per lasciare il posto a gruppi piccoli formati da coppie stabili. Come tutti gli schemi evolutivi, quello di Dumphy indica una tra tante altre traiettorie evolutive. In questi rapporti tra maschi e femmine all'interno del gruppo si possono rafforzare le differenze sociali tra i sessi. Certo, ci sono gruppi giovanili in cui si tenta di eliminare ogni tipo di sessismo. Ma alcuni meccanismi di differenziazione rimangono inconsci. Si pensi, ad esempio, ai criteri diversi di valutazione a seconda dei sessi, al fatto solo che la ragazza è più apprezzata in funzione della sua bellezza. Ci sono anche gruppi, soprattutto negli ambienti popolari, in cui le differenze tradizionali tra i sessi vengono intenzionalmente riprodotte, in cui i maschi mantengono in uno status subordinato le femmine. I gruppi di adolescenti non sono necessariamente progressisti. Possono in alcuni casi riprodurre i valori più tradizionali del loro gruppo sociale. 

In definitiva, la società degli adulti è “parte”, ma non il “tutto” del processo di formazione identitaria delle nuove generazioni. L'atteggiamento degli adulti verso i giovani comprende sentimenti di protezione, per cui i figli e gli “immaturi” affidati sono sentiti come prova della propria potenza generativa e costruttiva, un prolungamento di sé; comprende anche sentimenti di timore e d'invidia, poiché essi sono avvertiti come minacciosi del proprio “potere”. Spesso gli adulti esprimono aggressività verso gli adolescenti; nello stesso tempo, gli adulti proiettano sui giovani i loro desideri irrealizzati, attribuendo così loro il bisogno di libertà, d'autorealizzazione e di soddisfazione sessuale. Si produce una profonda ambivalenza a detrimento della percezione e concorso nella costruzione delle “persone” che i giovani diventeranno, ambivalenza accentuata nella “cultura occidentale” dal fatto che essa non trova più quadri stabili in cui iscriversi, come avveniva negli antichi riti di iniziazione, o nella più recente stabilità di ruoli che definivano il posto di ciascuno. La società acquisitiva, basata sulla produzione e sul consumo individuali, ha distrutto le basi degli arcaici modelli familiari, e la conseguente stabilità delle prescrizioni di ruolo tra le fasce generazionali. L'ambivalenza degli adulti si esprime così in oscillazioni tra l'idealizzazione dei giovani (come se la vita fosse rintracciabile in una trama d'una fiction “ottimista” o in una certo messaggio pubblicitario o di “costume”) e desideri di rivalsa autoritaria (quando i giovani, ribellandosi, “tradiscono” la fiducia e l'idealizzazione riposta in essi), fra desideri di protezione – ormai, inadeguati o semplicemente superflui – e proiezioni di colpevolezza (insistenza sul sesso e sulle “droghe”), fra presunzioni di “innocenza” e accuse di animo corrotto (questa ambivalenza è tipica, in certe famiglie, dei rapporti dei genitori verso figlie e figli), che esprimono ancora il riflesso dei propri desideri ed insieme il timore e la censura di quest'ultimi. 

Così si arriva – ancora – a sostenete che i giovani “vanno tenuti a freno”, educati, oppure che deve essere data loro ogni possibilità di godere la vita “finché son giovani”, ed ogni permissività, senza d'altronde riuscire a mantenere a fondo e con coerenza ciascuna di queste posizioni; si tratta, evidentemente, di oscillazioni che eludono il problema di fondo, che è l'estraneazione degli adulti per primi dal controllo e dall'accettazione dei propri modelli di comportamento, delle proprie soddisfazioni istintuali, dei propri sentimenti di colpa. In questo senso, da tempo la Mead, dopo aver osservato come da una società in cui i modelli erano fissi e tramandati dai “vecchi”, si sia passati ad una in cui i modelli devono essere “reimparati” e sono comunicati dai pari – così come avviene quando si cambia paese in un'emigrazione nel “mondo globalizzato” -, afferma che oggi anche questa fase si dimostra superata, e i modelli di comportamento devono essere “inventati”, attraverso un reale potere di partecipazione dei giovani che prefigurano bisogni e possibilità non più solo del prossimo futuro, ma del presente stesso. A questo fine, è necessaria anche una certa dose di conflitto, ed è necessario non negare la sua realtà attraverso quella “violenza che si maschera d'amore”, che instaura un falso rapporto ed una falsa comunicazione: come ricorda, nel linguaggio paradossale, una massima di Laing: Quando le famiglie non vivono più armonia, si hanno figli devoti e buoni genitori; o, più semplicemente, instaurare decisamente il dialogo; nell'epoca attuale il “dialogo” è emerso come concetto importante e addirittura centrale sia nella filosofia che nella politica. Si parla di “dialogo tra civiltà” in opposizione a uno “scontro di civiltà”, e di “dialogo tra religioni” come antidoto allo “scontro dei fondamentalismi”. Perché il dialogo emerge oggi in termini così cruciali ? Perché esso denota l’opposto dell’unilateralismo e del monologo. Quindi, tornare alle scaturigini, all'etimologia di “dia” e “logos”, della relazione sociale fondamentale. “Logos” significa ragione, significato, e anche (semplicemente) parola. “Dia” significa “in mezzo a” o “a mezzo a mezzo”. Quindi dia-logos vuol dire che ragione o significato non sono il monopolio di una parte, ma affiorano nel rapporto o nella comunicazione tra parti o agenti. Il logos qui è un logos condiviso e dipende in maniera cruciale dalla partecipazione di “diverse” o “molte” persone.